La psichiatria, non abita più qui
4 Novembre 2018Nel Bel Paese, e la Campania non fa eccezione, si investe poco in salute mentale, solo 3,5% budget. A lanciare l’allarme Enrico Zanalda, neopresidente della Società italiana di Psichiatria.
Carenza di personale, strutture non sempre adeguate, a volte chiusure prolungate per mesi di reparti per acuti o di Centri residenziali e conseguenti, traumatici, “trasferimenti forzati di pazienti”. Tanto per andare sul concreto, il riferimento per acuti della psichiatria a Caserta, spostato a circa cinquanta chilometri di distanza in quel di Sessa Aurunca; il centro diurno di Sorrento con i dieci ospiti sparpagliati tra Terzigno ed i comuni vicini. In spregio, oltretutto, alle norme vigenti che vorrebbero il reinserimento nei territori di origine del paziente affetto da disturbi pisichici.
Un problema “locale” che ha origini lontane se si considera che in Italia si investe solo il 3,5% del budget della sanità per il settore della salute mentale, a fronte di medie del 10-15% di altri grandi paesi europei quali Francia, Germania, Spagna e Regno Unito.
A sottolineare l’esiguità delle risorse destinati alla branca il neopresidente della Società Italiana di Psichiatria Enrico Zanalda, che guiderà la società per il prossimo triennio.
“In questi 40 anni – illustra Zanalda – è stata creata in Italia una vasta e capillare rete di strutture psichiatriche. Questo sistema garantisce ogni anno assistenza a oltre 800 mila persone, grazie all’impegno e alla dedizione di circa trentamila operatori, che troppo spesso vengono lasciati soli di fronte all’immane e crescente onere di responsabilità e impegno che grava su di essi. Tutto questo nonostante in Italia si investa pochissimo”.
Una situazione non più sostenibile come spiega il presidente Zanalda che ha ricevuto le redini da Bernardo Carpiniello, “ perché significa lasciare sguarniti di personale i servizi, che attualmente hanno un deficit di operatori che va dal 25 al 75% in meno dello standard previsto di 1 operatore ogni 1500 abitanti in 14 regioni su 21”.
“Operatori – chiude lo specialista – che sono spesso vittime di aggressioni e violenze che spesso nulla hanno a che fare con le malattie mentali, perché commesse da persone con precedenti penali e sotto effetto di sostanze”.