La ricercatrice Fiorenza Taricone durante l’emergenza Covid
4 Agosto 2020Fiorenza Taricone è ordinaria di Storia delle dottrine politiche e di pensiero politico e questione femminile presso l’Università di Cassino e Lazio Meridionale. Presidente del Comitato Unico di Garanzia dell’Ateneo.
In che modo Fiorenza Taricone, in qualità di docente universitaria, madre, moglie, ha affrontato il lungo lockdown causato dalla pandemia da Covid?
Il mestiere di ricercatrice, studiosa e docente, oltre ad essere nella mia visione uno dei più appassionanti lavori nella vita di uomini e donne, si è rivelato utilissimo anche nei mesi bui della pandemia. Viaggiare con la mente, riflettere, imparare nuove tecniche per continuare l’attività didattica e scambiarsi idee con i Colleghi/e ha scandito parecchio la mia vita. Certamente il nomadismo che contraddistingue la vita di una studiosa non potrebbe mai essere rimpiazzato con la sedentarietà imposta dalla pandemia e dal web, ma certamente la rete ha offerto un’alternativa per soffrire meno della improvvisa cesura rispetto alla vita precedente. Improvvisamente, la frenesia dell’attività intellettuale nel pendolarismo fra la mia città, Roma, e la sede universitaria, Cassino, scompariva per lasciare il posto al silenzio, alle pause di riflessione ininterrotte; per un certo tempo, la novità è stata vissuta in tutta la sua positività; certamente a lungo andare il silenzio è diventato opprimente; la tranquillità eccessiva, per chi è nata in una metropoli come la sottoscritta, pur apprezzando i servizi giornalistici che facevano sentire la voce delle fontane di Roma nascosta solitamente dai tanti rumori, talvolta dava vita alla nostalgia del coro multiforme che tante persone producono.
La pandemia è stata scandita da varie fasi: la sorpresa per l’intrusione senza scelta di uno sconosciuto, il virus, nel quotidiano; la consapevolezza che occorreva adeguarsi repentinamente; la certezza che se il digitale poteva essere vissuto in solitudine, per superare tutto il resto occorreva compattarsi e dunque alternare rapidamente l’individualismo con la collettivizzazione del quotidiano. A ogni componente della famiglia, allargata perché nel mio caso comprendeva anche il nucleo di mia figlia, del compagno e della piccolissima nipotina, è stato assegnato un compito. La scansione del quotidiano è stata segnata dalle lunghe file per i rifornimenti alimentari, dal badare all’igiene, dal cucinare possibilmente con una adeguata fantasia per tenere lontana la nostalgia dei tempi migliori, dal mantenere i contatti con amici e parenti, dal condividere hobbies recenti e passioni antiche, dal passeggio nelle immediate vicinanze per distrarre o al contrario addormentare la nuova arrivata, adeguare i tempi lavorativi alle esigenze altrui. Un bell’esercizio di divisione del lavoro, pazienza, inventiva, sopportazione, di senso dell’humour, di fiducia nel futuro. Per giunta, vivendo in una zona molto verde, ma semi periferica, non abbiamo potuto godere del fenomeno musicale sui balconi e di momenti di collettivizzazione fatti di applausi e canti.
La didattica a distanza ha caratterizzato il mondo della scuola in generale e dell’Università in particolare; quali sono i vantaggi e i limiti di questa nuova modalità d’insegnamento?
Nel mio caso, occorre dare atto all’Università di essersi adeguata molto rapidamente e avere dato prova di efficienza; tutti e tutte abbiamo, obtorto collo, ricacciato indietro malumori e dissensi per operare insieme nella comunità universitaria; l’Università ha anche dato vita ad una serie di brevi video da parte dei docenti che aderivano, collegati alle materie insegnate e alla pandemia, denominati pillole di resilienza. Sia gl’insegnamenti, sia le prove d’esame, sia le sessioni di laurea naturalmente sono stati effettuati on line; al di là di ovvie considerazioni sull’utilità, perché ha consentito agli studenti di conservare la stessa tempistica, e per quelle Università come Cassino e Lazio meridionale che presenta un elevato numero di iscritti provenienti dai tanti Comuni del territorio, di evitare le difficoltà e le spese dei traporti, ha però presentato evidenti limiti, almeno per quanto mi riguarda. Il contatto personale, lo scambio non verbale, la socialità espressa lungo un intero corso è imparagonabile con la lezioni fruite da uno schermo, in cui la docente è ascoltata dagli studenti, e non ha modo di saggiare realmente la ricezione. I microfoni sono chiusi o aperti solo per parlare, ma normalmente le osservazioni e la richieste vengono digitate sulla chat. È facile immaginare come sia arduo stimolare l’interesse e quanto sia difficile avere una visione esatta della reale fruizione. Anche laurearsi on line lo trovo limitante, rispetto a una giornata del tutto eccezionale nella vita di uno/a studente e delle loro famiglie. Rimane pur sempre l’epilogo di un percorso solitamente costato impegno e sacrificio, per gli studenti e le loro famiglie, soprattutto per gli studenti lavoratori. Magari può essere più tranquillizzante discutere la tesi di laurea nello scenario casalingo, ma anche più banalizzante perché diventa ordinaria una giornata che non lo è, rende invisibile il corredo familiare e amicale che solitamente applaude e festeggia i neo laureati. Lo scambio umano insomma è del tutto insostituibile, e condivido solo un sistema misto, in presenza e in remoto, solo se le necessità lo imporranno. Del resto, le opinioni che ho raccolto fra gli studenti mi sembra che condividano questa mia opinione, anche perché le giovani generazioni passano già molta parte del loro tempo davanti ad uno schermo e aggiungerne dell’altro porta ad un eccesso.
Questa nuova pandemia ha prodotto molta confusione e disorientamento tra politici, virologi, infettivologi, ed opinionisti. Gl’interrogativi sulla natura del virus, sulla capacità delle Nazioni di affrontare l’emergenza, sulle ricadute della clausura sull’economia mondiale risultano ancora irrisolti. Cosa pensi al riguardo?
Il mestiere di storica ha rafforzato la mia convinzione sull’ovvietà della confusione davanti ad un morbo sconosciuto. Si è spesso tirato in ballo in questo periodo Manzoni con la figura dell’untore, che era del resto la risposta ad un bisogno di spiegazione. Pur con tutti i progressi della medicina dal ‘600 in poi, di fronte al nuovo e all’inspiegabile, il disorientamento, la paura, il bisogno di rassicurazione sono simili. Va da sé che con gli elevati livelli di specializzazione raggiunti oggi contemporanei, i confronti, gli scontri, le polemiche sono stati parecchi, ma in ballo c’era e c’è un virus sconosciuto, che ha interrotto il corso dell’economia mondiale, e prodotto un numero di decessi maggiore dei conflitti armati. Condivido che le decisioni politiche siano state prese solo dopo aver consultato il comitato tecnico scientifico, e non ritengo che la classe di governo abbia affrontato male l’emergenza, così come l’intera popolazione. Ritengo invece che data la subitaneità dell’evento, la gravità, la mondializzazione del contagio, l’Italia sia stata esemplare. Essere ipercritici vuol dire peccare di generosità, e non tener conto dello stile precedente di vita degl’italiani, amante delle grandi riunioni all’aperto, della convivialità, diversamente dai cosiddetti paesi frugali, quelli nordici, che certo non presentano le stesse caratteristiche e che pure hanno ignorato il virus e sottovalutato i pericoli dei contatti ravvicinati. I sacrifici per gl’italiani sono stati più pesanti se valutiamo il modello di vita che abbiamo dovuto abbandonare avendo come controparte solo l’incertezza del futuro.
In questo momento storico contingente ritieni che la questione femminile sia stata molto misconosciuta sottovalutata e pertanto abbia prodotto effetti nefasti?
Come tutte le situazioni emergenziali della storia passata e recente le donne hanno dimostrato di possedere un insieme di qualità che sono state spesso misconosciute o banalizzate, in primis la resilienza. La pandemia è stata paragonata anche ad una guerra, il che non mi trova del tutto d’accordo perché i rifornimenti alimentari sono stati assicurati, attorno a noi non c’erano distruzioni di ogni tipo, né esodi di massa per sfuggire dalle persecuzioni, né atomiche, ma un denominatore comune per le donne c’è stato: la tenuta e riorganizzazione del quotidiano. Come in tutte le guerre e gli eventi tragici le donne sono state eroiche non in modo eclatante, ma certamente altruistico. Dalle talentuose ricercatrici romane impegnate a combattere il virus, alle madri improvvisate maestre dei figli, dalle infermiere, alle dottoresse, alle volontarie, la popolazione femminile ha dimostrato nei fatti una resilienza degna della loro migliore tradizione; ma tutto questo ha messo in luce ancora una volta la misoginia e l’ingratitudine della società civile e politica nei loro confronti. La vicenda del monosessuato Comitato Tecnico scientifico e le proteste femminili sono state esemplari, con una riformulazione che ha previsto anche nomine femminili; ma gli esempi potrebbero continuare quasi all’infinito ricordando per esempio che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) è tutta al maschile; in un Paese come il nostro in cui le ragazze da molti anni si laureano prima e con votazioni migliori, le posizioni decisionali e apicali continuano ad essere un terreno di spartizione maschile, tanto che il Presidente del Consiglio è dovuto intervenire recentemente per l’inosservanza della parità di genere nelle prossime consultazioni regionali. Come sempre, molte lodi e pochi riconoscimenti sostanziali.