“La stessa vecchiaia è una malattia?”

“La stessa vecchiaia è una malattia?”

11 Novembre 2019 0 Di Vincenzo De Rosa

Calo delle nascite ed innalzamento dell’età media della popolazione pongono la necessità di ri-calibrare gli interventi assistenziali sui nuovi bisogni di salute.

 Nei paesi sviluppati gli anziani, intendendo con tale definizione la popolazione con la raggiunta età pensionistica, rappresentano una quota sempre maggiore. Alla base ci sono i miglioramenti dell’alimentazione e più in generale le migliori condizioni di vita delle persone, i progressi scientifici e tecnologici della medicina che hanno permesso di prevenire e debellare diverse patologie. La realizzazione di sistemi sanitari pubblici, estesi a tutta la popolazione, ha migliorato lo stile di vita delle persone e il loro ben-essere. Tutto ciò, però, ha anche generato un quadro di frequenze di malattie verso un modello cronico-degenerativo proprio dell’età anziana. Conoscere e monitorare lo stato di salute della popolazione anziana significa non solo tener sotto controllo la qualità della vita di una fascia ampia della popolazione ma anche comprendere la domanda di cure e assistenza di una quota importante destinataria della spesa sanitaria e sociale.

Le malattie croniche sono una delle cause del peggioramento della qualità della vita degli anziani. Entrambi i sessi condividono alcuni tipi di malattie quali artrosi e artriti, ipertensione arteriosa, diabete. Vi è una maggiore percentuale di donne rispetto agli uomini che soffrono di osteoporosi e di depressione e ansietà cronica mentre negli uomini una maggiore percentuale di bronchiti croniche e malattie del cuore. L’esame delle malattie croniche non può concludersi senza far riferimento a patologie che portano a entrambi i sessi a disabilità con forte impatto sulla qualità della vita: parkinsonismo, Alzheimer e demenza senile.

Se però si esaminano le condizioni di salute degli anziani con l’indicatore della “salute percepita” il quadro è meno negativo di quanto si ricava esaminandole attraverso la presenza di malattie croniche.

La maggior parte degli anziani dichiara di essere in buona o discreta salute. In ogni caso, uno su quattro fra gli uomini ottantenni dichiara di essere in cattiva salute, per le donne la dichiarazione arriva cinque anni prima. I tassi di malattie croniche intorno a quella età sono comunque intorno al 60-70 per cento, per cui la salute percepita qualitativamente buona è ribaltata  rispetto al tasso di malattia stabilita Ciò fa ritenere che, a dispetto delle patologie dichiarate, la stragrande maggioranza degli anziani in Italia, riesca a vivere questa fase della vita in condizioni di relativa buona salute complessiva e quindi con relativa buona qualità della vita e, pertanto, anche con un abbassamento della spesa pubblica.

Lo stato di salute degli anziani risente dalla correlazione socio-economica. In tutto ciò l’istruzione, in particolare, risulta associata positivamente con la longevità e negativamente con il tempo trascorso in cattiva salute. Coloro che hanno un titolo di studio alto hanno presentano condizioni di salute migliori di quelli con titolo medio o basso e quelli che hanno un titolo medio hanno condizioni di salute migliori rispetto a chi ha un titolo basso. Il fenomeno riguarda entrambi i sessi e vi sono prevalenze di “infelicità” dimezzate di chi ha un titolo alto; rispetto alla domanda di essere “felice” o “infelice” secondo le tabelle di rilevamento Istat.

Una politica attenta dovrebbe attenuare gli squilibri tra la popolazione anziana ed esistono spazi per incrementare le condizioni di salute e la qualità della vita della popolazione anziana intervenendo sulla disponibilità di risorse materiali e culturali.  L’obiettivo di un invecchiamento sano è morire giovaneil più tardi possibile nella vita. Investimenti orientati a rimuovere i fattori di decadimento della salute in età anziana potranno così anche contenere i rischi di appesantimento della domanda di cura derivante dall’aumento della popolazione anziana.