La tragica morte di Emanuele Tufano: violenza, cultura e il ruolo delle serie TV

La tragica morte di Emanuele Tufano: violenza, cultura e il ruolo delle serie TV

25 Ottobre 2024 Off Di Fabio De Biase

Napoli è di nuovo teatro di una tragedia che lascia la città senza parole. Emanuele Tufano, 15 anni, è stato ucciso nella notte tra il 23 e il 24 ottobre in una sparatoria su via Carminiello al Mercato. Un ragazzo come tanti, incensurato e descritto da chi lo conosceva come tranquillo, che si trovava con due amici rimasti feriti. Il contesto dell’omicidio resta ancora avvolto nel mistero, ma le prime indagini fanno pensare a uno scontro tra gruppi di giovani, un’escalation di violenza che sembra ormai difficile da arginare.

Le serie TV e il rischio di un mito distorto

In questo scenario, ci si interroga sul ruolo che le rappresentazioni della criminalità organizzata nei media possano avere nell’alimentare certe dinamiche. Serie come “Gomorra“, “Mare Fuori” e “Suburra” hanno saputo raccontare aspetti della società italiana che spesso restano nell’ombra, ma c’è il rischio che trasmettano messaggi distorti, normalizzando e persino glorificando la violenza. In queste storie, i protagonisti sono spesso giovani delinquenti che vivono in un mondo in cui la sopraffazione e la brutalità sembrano l’unica via per emergere, e il successo viene misurato con potere e controllo.

La spettacolarizzazione del crimine non è una novità, ma oggi queste narrazioni sono diventate fenomeni di massa. Basti pensare al successo planetario di “Gomorra“, che ha trasformato i personaggi in icone, con un impatto che va oltre lo schermo. C’è chi si identifica nei protagonisti, chi emula i loro modi di fare, vedendoli come modelli da seguire. Ma dove si ferma la finzione e dove comincia la realtà? È possibile che queste storie alimentino un circolo vizioso di violenza, in cui la criminalità diventa l’aspirazione e non la condanna?

Vite giovani in bilico tra realtà e rappresentazione

La morte di Emanuele è una delle tante che affollano le pagine di cronaca di Napoli e di altre città italiane, ma ogni volta la reazione è la stessa: incredulità, dolore, sgomento. Quando un giovane perde la vita così tragicamente, ci si domanda se non sia giunto il momento di riscrivere un pezzo di questa narrazione. Le istituzioni hanno già espresso il loro disappunto, con il prefetto di Napoli che ha definito l’accaduto un “campanello d’allarme” per tutta la città, annunciando nuove misure di sicurezza e maggiore presenza delle forze dell’ordine nelle zone più critiche.

Eppure, la repressione non basta. È necessario chiedersi quale sia il vuoto che queste storie colmano. I giovani di quartieri difficili spesso crescono in contesti dove la violenza è un linguaggio abituale, una moneta di scambio per ottenere rispetto e attenzione. Se nelle loro vite reali mancano opportunità e speranza, la finzione criminale sembra offrire loro una via di fuga, un rifugio dove sentirsi potenti, anche se solo per poco.

La responsabilità dei media e la sfida educativa

Non è la prima volta che si discute della responsabilità dei media nel rappresentare la violenza. C’è chi difende queste serie come opere di denuncia sociale, capaci di portare alla luce le contraddizioni e le ingiustizie di un sistema che troppo spesso abbandona i più giovani a loro stessi. Dall’altra parte, c’è chi teme che queste narrazioni non facciano altro che normalizzare, e persino legittimare, la criminalità. La glorificazione del “boss” di quartiere rischia di sovvertire i valori fondamentali, dove il bene sembra sempre perdere, e il male appare vincente e invincibile.

Emanuele Tufano era solo un ragazzo, con la sua vita davanti. Non era un delinquente, non aveva precedenti. La sua morte ci ricorda che la vera sfida sta nel riuscire a cambiare questa percezione. Bisogna lavorare per offrire modelli alternativi, perché la cultura non è solo intrattenimento, ma anche educazione. La risposta, dunque, non può arrivare solo dalla polizia o dalle istituzioni, ma da una società civile che sappia ripensare il proprio ruolo. È necessario creare narrazioni che promuovano storie di riscatto, di giovani che scelgono il bene, nonostante le difficoltà.

Verso una nuova speranza

La soluzione non è semplice. Richiede un impegno collettivo, in cui ogni attore sociale, dalle famiglie alle scuole, dalle parrocchie alle associazioni, faccia la sua parte. Se vogliamo che la vita di Emanuele non sia stata spezzata invano, dobbiamo trasformare il dolore in azione concreta, affinché nessun altro giovane venga risucchiato in questa spirale di violenza. Le storie possono essere potenti, e forse è giunto il momento di raccontarne di nuove: storie di coraggio, di scelte difficili, di giovani che sfidano il destino per costruire un futuro diverso.