La vita del paziente prima della burocrazia

La vita del paziente prima della burocrazia

5 Febbraio 2019 0 Di Avv. Corrado Riggio

Il medico, in servizio sull’autoambulanza del 118, in caso di mancato ricovero, anche in assenza di specifica segnalazione ricevuta dalla centrale operativa, commette il reato di rifiuto di atti d’ufficio.

La suprema Corte di Cassazione Penale con la sentenza recante numero 34402 ha affermato che il dirigente medico in servizio sull’autoambulanza del 118 in caso di rifiuto di ricovero di un paziente, rifiuto giustificato per l’assenza di specifica segnalazione da parte della centrale operativa, commette il reato di rifiuto di atti d’ufficio.

Nel caso in esame vi era stata una richiesta di intervento urgente rivolta da un medico in servizio in un ospedale ad un collega che in quel momento svolgeva il servizio per conto del 118 e si trovava presso quel nosocomio, relativamente ad una situazione di estrema gravità di un paziente che necessitava di un ricovero urgente in un’altra struttura adeguata al caso di specie; dinanzi a tale richiesta il medico del 118 aveva opposto il proprio rifiuto, sostenendo che avrebbe potuto effettuare il trasporto solo a seguito di autorizzazione proveniente direttamente dalla centrale operativa sulla linea telefonica del 118.

Il medico del servizio 118, nel corso del giudizio, si era difeso sostenendo di essersi attenuto scrupolosamente alle linee guida del servizio 118 oltre che alle disposizioni di servizio, le quali riconoscono alla centrale operativa il compito di disporre gli interventi di soccorso.

A tal proposito, però, la Corte ha affermato che tale tesi di difesa non poteva essere accolta poiché se è vero, da una parte, che l’organizzazione del servizio 118 prevede che sia la centrale operativa a coordinare gli interventi nell’ambito territoriale di competenza, è pur vero, dall’altra parte, che al medico in servizio sull’autoambulanza è, comunque, riconosciuto uno spazio di valutazione, di azione e di discrezionalità, funzionale a fronteggiare in maniera adeguata le diverse situazioni di emergenza.

Nell’ambito di tale spazio di discrezionalità, sostiene la Suprema Corte, rientra la scelta circa la necessità non solo di assicurare l’immediata visita medica in presenza di una situazione di un grave stato di sofferenza del paziente, ma anche quella di approntare i mezzi necessari per la migliore e più sollecita cura, compresa, quindi, la scelta, in caso di urgenza, di trasportare il malato presso una struttura sanitaria che sia in grado di assicurare tale cura, anche attraverso le necessarie indagini strumentali e specialistiche.

Nel caso in questione, invece, ha affermato sempre la Corte in detta Sentenza, il medico del 118 ha opposto un rifiuto di carattere strettamente formalistico, richiamando il modello operativo standard del servizio 118, senza considerare che lo stesso servizio prevede che per i pazienti ad alto grado di criticità, deve essere il medico addetto all’emergenza territoriale ad operare la scelta dell’ospedale di destinazione, in questo modo riconoscendo un’autonomia di azione a tali soggetti a prescindere da ogni autorizzazione o contatto preventivo con la centrale operativa.

Alla luce di quanto sostenuto, pertanto, la Corte ha affermato che il medico del 118 era obbligato per i suoi compiti di istituto ad intervenire quale medico addetto all’emergenza territoriale e, pertanto, aveva il dovere di intervenire con tempestività, eventualmente verificando personalmente la situazione del paziente.

Va, altresì, ulteriormente evidenziato che nel caso de quo la Corte ha individuato anche la sussistenza del dolo da parte del medico del 118, il quale nonostante le sollecitazioni e le richieste del collega non solo si è rifiutato di parlarci ma non si è neppure recato ad accertare le condizioni di salute del paziente, né si è messo in contatto con la centrale operativa che, secondo la sua tesi, avrebbe potuto autorizzare l’intervento.

Alla luce di ciò, pertanto, il medico del servizio 118 è stato condannato per rifiuto di atti di ufficio.