Le disuguaglianze di salute nel periodo della crisi
27 Dicembre 2019Uno studio statistico rileva che il genere maschile è il gruppo più colpito dalla disoccupazione e dal senso di sfiducia e frustrazione derivante dall’incertezza lavorativa.
Lo star bene autopercepito rilevato nelle indagini Istat che coinvolge anche le condizioni sociali (Eusilc) è un indicatore sensibile per capire se la salute degli italiani stia migliorando o peggiorando e se le disuguaglianze correlate siano in aumento o in diminuzione. Il riferimento a cui si fa capo per le informazioni sono tratte dall’ultimo documento del Ministero della Salute “L’Italia per l’equità della salute” pubblicato nel 2017 che concentra oltre un decennio di indagini.
Per quanto sia ancora complicato comprendere la portata della crisi economica, le informazioni disponibili danno qualche indicazione per l’andamento delle disuguaglianze. I dati pubblicati mostrano, infatti, che nel 50% dei casi la salute autopercepita dagli italiani è migliorata nel tempo, nonostante la crisi.
Ciò potrebbe essere spiegato sia dall’ingresso nelle classi di età più avanzate di generazioni più sane che hanno vissuto in migliori condizioni rispetto alle generazioni precedenti, sia dalla crescente disponibilità di nuove cure in grado di migliorare il benessere psico-fisico della popolazione. Inoltre, da questi dati, le disuguaglianze sociali nella salute autopercepita sembrano essere stabili negli anni della crisi: infatti l’età in cui più del 50% degli intervistati dichiara di essere in non buona salute, è aumentata in modo omogeneo tra i benestanti e tra i meno abbienti.
Secondo i dati ripresi nel rapporto ministeriale la popolazione con redditi inferiori superava la percentuale del 50% di soggetti non in buona salute verso i 57 anni all’inizio della crisi (triennio 2007-2009) e, nel tempo, ha guadagnato cinque anni, arrivando a un’età limite di 62 anni nel triennio 2013-2015. La popolazione con redditi più alti ha avuto un “guadagno” simile, da 64 a 68 anni, mantenendo quindi il divario tra più e meno abbienti abbastanza stabile alla fine della crisi.
A mitigare gli effetti sfavorevoli della crisi, potrebbero aver contribuito processi di mobilità sociale discendente, che portano persone più ricche di risorse e di salute a perdere lo status sociale ma non la relativa salute, almeno nel breve termine; questo avrebbe consentito a migliorare i livelli medi di salute della classe più bassa in cui si spostano.
Un esempio, dato dal documento del Ministero della salute, potrebbe essere quello relativo alla mortalità prematura tra i disoccupati torinesi: rischio che prima della risi eccedeva di quasi tre volte quello degli occupati, e che dopo la crisi si mantiene il dato in eccesso, ma di sole due volte.
Se si analizzano le disuguaglianze per ripartizione geografica, sempre secondo il documento ministeriale, si nota che il Sud ha una percentuale di persone non buona salute superiore a quella delle altre aree, a partire dai 40 anni di età. Inoltre, le differenze per reddito mostrano che la salute dei più benestanti del meridione equivale a quella dei più poveri del Centro-Nord. Il divario socioeconomico risulta però maggiore al Nord, dove l’età in cui si supera il 50% di popolazione in non buona salute è di 61 anni tra i meno ricchi e 70 tra i più ricchi, mentre gli analoghi valori al Sud sono 57 e 62 anni. Infine, tra coloro che hanno un reddito inferiore alla mediana regionale le differenze di salute per istruzione appaiono molto limitate; è invece tra i più benestanti che l’istruzione gioca un ruolo nel diversificare l’auto-percezione della salute a favore dei più istruiti.
La crisi ha invece inciso sulla salute psichica e mentale: Gli indicatori segnalano, infatti, un peggioramento in tutta la popolazione, maggiormente tra i giovani e gli adulti. In particolare, il genere maschile è il gruppo più colpito dalla disoccupazione e dal senso di sfiducia e frustrazione derivante dall’incertezza lavorativa. Dal punto di vista delle disuguaglianze sociali, il rischio relativo di salute mentale compromessa è rimasto invariato tra i disoccupati: ad esempio, un disoccupato presenta una frequenza di disturbi mentali due volte e mezzo più elevata rispetto a un occupato, sia prima che dopo la crisi; con la crisi, il numero dei disoccupati è aumentato e i casi di disturbi mentali attribuibili alla disoccupazione sono raddoppiati.