Le reinfezioni da Sars-CoV-2
27 Ottobre 2020Per reinfezione s’intende il caso in cui un determinato paziente, che avesse già contratto e sviluppato una pregressa infezione da Sars-Cov-2.
Un “mostro” come il Covid si combatte anche con un’informazione scientifica chiara che metta a disposizione dei cittadini tutti i risultati che i ricercatori e i professionisti del settore stanno raccogliendo. Di questo virus, purtroppo, si sa ancora poco. Sono, ahinoi, appena dieci mesi che è entrato nelle nostre vite, e ne avremmo fatto volentieri a meno ma tant’è che c’è, e ora è tempo di documentarsi, solo così la nostra convivenza con il Covid sarà meno complicata. Tra le notizie che mi hanno colpito in questi ultimi giorni ho scelto quella che riguarda le “reinfezioni”, che sono state segnalate in molti Paesi sia europei che extra europei. Per reinfezione s’intende il caso in cui un determinato paziente, che avesse già contratto e sviluppato una pregressa infezione da Sars-Cov-2, il coronavirus responsabile della CoViD-19, ne acquisisca in epoca successiva una seconda, quest’ultima sostenuta da un ceppo virale con un background differente da quello del virus responsabile della prima infezione. A tal proposito ho trovato molto istruttivo un articolo pubblicato sul British Medical Journal e, in italiano, sul Mattino di Napoli (25 ottobre 2020) a firma del professor Giovanni Di Guardo (Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso l’Università di Teramo) che segnala come sia bene tenere conto non solo delle ricadute che il tema delle reinfezioni prospetta sul piano della difesa immunitaria dell’ospite nei confronti del virus, con particolare riferimento alla durata e alla protezione conferita dall’immunità anti-virale, come il rinvenimento di un ceppo virale geneticamente diverso da quello originario in un individuo il quale abbia già contratto una precedente infezione da Sars-CoV-2 che renderebbe oltremodo plausibile l’evenienza di una reinfezione, ma sarebbe bene sottolineare la possibilità che il virus, responsabile dell’infezione originaria, si possa essere annidato/nascosto/occultato in qualche distretto tissutale dell’ospite , dando così inizio ad una serie di eventi mutazionali da cui prenderebbe forma un virus con una struttura genetica (più o meno) diversa da quella dell’agente coinvolto nel determinismo della primitiva infezione acquisita dall’ospite. Per fare un esempio che ci chiarisca ulteriormente le idee è un po’ quello che accade con il virus dell’immunodeficienza umana (HIV), che una volta entrato nell’organismo dell’ospite, al cui interno si realizza un’infezione, che può protrarsi anche per l’intero arco della sua vita, va incontro a una serie di eventi mutazionali che lo porteranno a assumere nel momento in cui verrà eliminato all’esterno una configurazione genetica diversa rispetto a quella posseduta nel momento in cui l’HIV penetrava all’interno dell’individuo. Queste nozioni esposte dal professor Di Guardo ci permettono dunque di apprendere qualcosa in più sul Covid e di capire quanto il lavoro dei virologi sia difficile. Questo virus è pericoloso e, se permettete l’aggettivo, molto “subdolo”. Ancora una volta mi viene da scrivere, visto questa recrudescenza di negazionismo che oggi impera nelle piazze italiane: “non sottovalutiamo il virus, continuiamo a seguire i protocolli perché c’è ancora molto da capire su questo “mostro”, e dieci mesi di studi, sebbene ininterrotti, sono ancora troppo pochi, non facciamoci illusioni”.