Lettera ai Curanti
11 Febbraio 2022In occasione della celebrazione della XXX Giornata Mondiale del Malato.
La gratitudine e la riconoscenza, il rispetto e la stima sono solo alcuni dei sentimenti che vogliamo esprimere a voi Curanti che da sempre, e negli ultimi tempi in modo decisamente più intenso, vi prendete cura dei malati e dei sofferenti.
Ciò che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, e continuiamo a vivere, vi vede impegnati fino all’estremo delle vostre risorse. Lo stress accumulato, il peso e la fatica, il disorientamento e la sensazione di impotenza di fronte ad una situazione globale, solo immaginata, hanno messo a dura prova la vostra dimensione professionale e personale.
La XXX Giornata Mondiale del Malato, con il tema «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36). Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità», mette al centro la persona malata e le persone curanti ed è l’opportunità per indirizzarvi un pensiero grato e rendervi onore. Le nostre parole sono appena sufficienti per esprimere e apprezzare il vostro impegno.
Già lo aveva evidenziato san Giovanni Paolo II quando nel 1992 istituì questa Giornata:
«La celebrazione annuale della “Giornata Mondiale del Malato” ha quindi lo scopo manifesto di sensibilizzare il Popolo di Dio e, di conseguenza, le molteplici istituzioni sanitarie cattoliche e la stessa società civile, alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi; di aiutare chi è ammalato a valorizzare, sul piano umano e soprattutto su quello soprannaturale, la sofferenza; a coinvolgere in maniera particolare le diocesi, le comunità cristiane, le Famiglie religiose nella pastorale sanitaria; a favorire l’impegno sempre più prezioso del volontariato; a richiamare l’importanza della formazione spirituale e morale degli operatori sanitari e, infine, a far meglio comprendere l’importanza dell’assistenza religiosa agli infermi da parte dei sacerdoti diocesani e regolari, nonché di quanti vivono ed operano accanto a chi soffre».[1]
In mezzo alla complessità preoccupante in cui siamo immersi sorge il desiderio di cercare insieme, nell’ascolto reciproco delle sofferenze, delle attese e delle prospettive, un segnale di speranza.
Situazione
Molti di voi sottolineano come la specializzazione medico-sanitaria sia diventata sempre più tecnologica e sempre meno umana; come la riduzione dell’umanesimo in medicina abbia comportato la quasi scomparsa della carità medica; come il dilagare di una pandemia abbia messo in luce alcune fragilità ormai consolidate del nostro sistema sanitario. Tra tutte, l’evidente mancanza di un numero adeguato di professionisti sanitari e un forte carattere di regionalizzazione che genera grandi differenze nell’offerta dei servizi.
Vi è inoltre una netta separazione tra la sanità vissuta nelle zone rurali e nelle periferie e le forme maggiormente organizzate come nei centri metropolitani. Un modello che sembra generare una nuova categoria, che potremmo definire degli irraggiunti: coloro che, pur avendone diritto, non riescono o non vengono messi in condizione di accedere al Servizio Sanitario Nazionale.
Vogliamo inoltre rivolgere uno sguardo particolare a chi si occupa di salute mentale, un’area di intervento che richiederà sempre più attenzione e sensibilità.
La pandemia ci ha colpito nella salute, ci ha impoverito nelle relazioni e ha compromesso anche la situazione economica. Il mondo sanitario e la pastorale della salute incrociano quotidianamente queste situazioni: non solo ne prendono atto, ma se ne prendono cura.
La pazienza, non passiva, ma capace di rispondere alle domande della vita, è oggi chiesta non solo al curato ma anche al curante. Fratelli tutti di fronte ad un’inedita malattia globale.
Ogni professionista sanitario è una persona chiamata a riconoscere i propri limiti e fragilità fisiche, psichiche e spirituali. Ogni operatore vive le preoccupazioni per la salute non solo di sé stesso, ma anche dei suoi affetti, della sua famiglia e di chi si è affidato alle sue cure. La quotidiana vicinanza con il dolore, con la domanda di senso che emerge nella malattia, assorbe molte energie sul piano umano.
Di fronte alla pandemia abbiamo riscoperto l’amore e l’attaccamento alla vita. Non solo quella biologica, ma quella fatta di relazioni, di vicinanza, di attenzione a tutti, di sofferenze e preoccupazioni condivise. Abbiamo vissuto insieme i lutti e per anni dovremo rielaborare quelli inespressi.
Gratitudine
Esprimiamo assoluta gratitudine a ciascuno di voi per la disponibilità e abnegazione con cui vive, in scienza e coscienza, la propria professione.
Guardiamo con gratitudine ai moltissimi medici, infermieri e professionisti sanitari che operano nelle strutture, come pure ai medici di medicina generale e ai pediatri, agli operatori dell’assistenza domiciliare, ai farmacisti, che sono presenti capillarmente sul territorio. Tutti voi svolgete non solo un fondamentale e irrinunciabile ruolo sanitario, ma anche sociale.
È sempre più apprezzabile quell’atteggiamento di cura che non disgiunge mai l’aspetto umano da quello sanitario, anzi, che cura il corpo e rincuora lo spirito, in una vicinanza empatica che illumina le giornate della persona malata.
La nostra riconoscenza e la nostra preghiera si estendono allora a coloro che a casa vi attendono, vi sostengono e con voi condividono le fatiche quotidiane.
Con voi guardiamo con gratitudine al Padre della vita. Ci testimoniate dedizione e capacità di sacrificio. Noi ringraziamo i Curanti, invitiamo ogni malato a ringraziare chi lo cura con rispetto, e con tutti voi ringraziamo il Dio dell’amore.
Preoccupazioni
I continui episodi di aggressione, in particolare nei pronto soccorso, generano nel personale sanitario un senso di solitudine e di abbandono che umilia sia la dimensione umana che quella professionale. In coloro che sono in prima linea vengono individuati obiettivi da colpire per responsabilità che non appartengono a loro. I decenni di tagli e mancata programmazione hanno contribuito a sortire anche questo effetto.
Una preoccupazione che ci avete rappresentato è il crescente peso delle procedure burocratiche, che non sempre paiono essere a tutela della persona, ma piuttosto a protezione di specifici interessi.
Ci manifestate, inoltre, una tensione che incrocia la dimensione personale con quella professionale: l’agire della collettività, della narrazione massmediatica e dei social, soprattutto quando assume caratteristiche aggressive o rivendicative, epiche o apocalittiche, ha una ricaduta anche sulla dimensione personale del professionista.
Il vostro lavoro – a qualunque dimensione sanitaria appartenga, comprendendo anche i compiti direttivi, amministrativi e gestionali – talvolta vi vorrebbe regolati da impietose leggi del mero commercio. Il recupero della dimensione umana e spirituale della persona non è quindi secondario, ma costitutivo della realtà che voi siete.
Infine, l’illusione che ogni farmaco e ogni terapia fossero facilmente a portata di mano si è scontrata con la necessità di riconsiderare il senso umano del limite. La fatica della ricerca scientifica, tecnica e tecnologica, che richiede costanza, viva intelligenza, geniale curiosità e risorse adeguate, viene sostenuta da tutti noi con piena fiducia e speranza perché tale impegno, pienamente orientato al bene dell’uomo, porti gli auspicati successi.
Speranza
Nonostante tutto, nell’ascoltarvi constatiamo come una delle costanti del vostro lavoro sia la speranza. Speranza nell’umano, speranza in Dio.
Un primo segnale di speranza viene dai giovani, che scelgono le professioni sanitarie, nuovamente chiamati a coniugare scienza e fede. La loro credibilità professionale si misurerà sul bene che faranno e che vorranno realizzare. Per sostenere la loro crescita umana e professionale sarà opportuno integrare nei percorsi formativi quelle dimensioni etiche, umane e relazionali, oggi scarsamente presenti.
Una delle legittime attese del mondo dei Curanti è il miglioramento delle condizioni globali in cui svolgere il proprio ruolo professionale. Sicuramente parte delle aspettative sono riposte negli interventi che vengono progettati nelle strutture e nei luoghi sanitari, così come nelle strumentazioni e negli aggiornamenti tecnologici.
Ancor di più, a nostro avviso, sarebbe opportuno investire in una rinnovata attenzione alle condizioni sociali ed economiche in cui voi, i nostri Curanti, operate; così come merita una seria riflessione il ripensamento della programmazione del numero di coloro che possono accedere ai percorsi formativi accademici. Il Paese ha bisogno di più professionisti della salute che vedano riconosciuto il loro ruolo e siano messi nelle condizioni di operare al meglio, per garantire una stabile sostenibilità del sistema universalistico di cura.
La speranza, poi, nasce anche dall’incontro con i testimoni, con quanti mettono a disposizione un patrimonio spirituale che arricchisce chiunque li incontri. I santi della sanità sono santi della bellezza, della speranza e della cura.
Oltre la dimensione fisica e psichica, sappiamo che la condizione di malattia facilmente invade la sfera spirituale. Ogni persona è chiamata a prendersi cura della propria anima. Nei corridoi degli ospedali come nel domicilio del malato la presenza testimoniante dei cappellani e degli assistenti spirituali assicura il necessario completamento della presa in carico di tutti i bisogni della persona sofferente, comprendendo la dimensione spirituale. Anche questi operatori di pastorale della salute, per competenza e ambito, li consideriamo Curanti.
Questo ringraziamento è esteso anche ai Curanti della porta accanto che in tante case dei sofferenti svolgono concretamente un compito di cura: sono nascosti e silenziosi portatori di bene.
Ogni credente, ogni fedele cristiano è chiamato a testimoniare nella diaconia la propria coerenza di fede. Ciascun battezzato, ci ricorda san Paolo, è membro di quella Chiesa che continua a testimoniare l’amore per la vita, ed è portatore del dono dello Spirito Santo, di una grazia particolare che accoglie, cura, accompagna con la materna tenerezza della Chiesa.
La speranza cambia lo sguardo: non si vede più la frammentazione della persona del paziente, talvolta ridotto a codice sanitario, non si vede più soltanto la patologia o l’organo malato. La speranza trasforma lo sguardo e permette di accogliere la persona come una totalità unificata. Quando si incontrano due persone, il curante e il curato, nasce la vera presa in carico. Il paradosso della cura è che il paziente diventa strumento di realizzazione umana, non solo professionale, e di esperienza di grazia per il Curante.
A tutti voi Curanti il nostro grazie: un ringraziamento fatto di preghiera e di attenzione, nei confronti vostri, dei vostri affetti e delle vostre famiglie, e di chi è affidato alle vostre cure. Siamo fratelli tutti, perché figli di un unico Dio.
*Direttore Ufficio Nazionale per la pastorale della salute