Liam Savio: “Le doti ed il talento servono, ma ciò che fa la differenza è la forza di volontà”
24 Gennaio 2023“Nessuna palla è uguale a quella che la precede. Nessun colpo è identico a un altro. Ogni volta che ti prepari a riceverne uno devi quindi valutare, in una frazione di secondo, la traiettoria e la velocità della palla e decidere come, con quanta potenza e dove cercare di ribattere”. (Rafael Nadal)
Oggi parliamo di Covid, sport e salute con un giovane e talentuoso tennista: Liam Savio.
La fase pandemica più acuta sembra essere oramai alle spalle anche se i continui colpi di coda non lasciano del tutto tranquilli. Come ha vissuto, come vive, come ha affrontato e come affronta questa situazione di grande difficoltà per il mondo dello sport? Come ha gestito la paura del contagio ed il disagio legato alle severe misure restrittive?
Quando la situazione pandemica è cominciata io frequentavo l’ultimo anno del liceo scientifico ed il tennis stava andando molto bene visti i progressi fatti, e che stavo continuando a fare in quel periodo. All’inizio sembrava tutto temporaneo, come lo stop delle attività agonistiche. In quel periodo stavo giocando un torneo che è stato rimandato di una settimana a causa della pandemia, poi ripreso la settimana seguente per essere nuovamente cancellato. Si pensava di poter tornare a giocare presto ma così non fu. Passato il periodo del lockdown totale, un po’ come tutti, speravo che dessero di nuovo la possibilità di riprendere gli allenamenti, soprattutto agli agonisti. Il mio problema inizialmente era anche quello di vivere un’altra cittadina, rispetto a quella dove mi allenavo, quindi essendoci stata la restrizione dei comuni avevo dovuto compilare un sacco di fogli per poter viaggiare con la macchina e fare gli allenamenti. Immagino di non essere stato l’unico, però una volta ricominciati gli allenamenti e successivamente le competizioni è stato tutto un po’ diverso. Purtroppo i risultati non erano quelli che si erano visti ad inizio anno e faticavo a rimettermi al mio ritmo usuale a causa dei molti mesi fermo, lontano da tutto. Finito il liceo volevo fare l’università, ma anche giocare a tennis e ho avuto la fortuna di affacciarmi ad un’esperienza internazionale, quella del college tennis in America. Dopo aver parlato e riflettuto con la mia famiglia ho preso la decisione di partire. Sono riuscito a partire in piena situazione covid in Italia, mentre qui in America fortunatamente era un po’ meglio. Ero venuto qua per trovare di nuovo me stesso, ponendomi in un’ambiente di studio e sport. Purtroppo a causa di altri fattori non sono ancora riuscito a tirare fuori il massimo da questa situazione. La paura c’è sempre stata all’inizio, soprattutto viaggiando sempre, ero sempre esposto al contagio, infatti ho avuto la possibilità di vaccinarmi qui in America molto prima che altre persone potessero in Italia. Non posso dimenticare che a causa del covid, quando ero lontano dalla mia famiglia, ho perso due persone a me care e questo ha avuto un effetto negativo sul mio sport, oltre ad un infortunio che ha cambiato il mio modo di giocare il rovescio.
Insieme alle restrizioni i tentennamenti del mondo politico hanno causato gravi danni allo sport, soprattutto a quello, cosiddetto, minore. Cosa è successo, in particolare, nella sua specialità?
Nella mia specialità direi che fortunatamente il governo avesse agito in una buona maniera in quel periodo. Perché il mio sport non esige contatto fisico, in cui si ci può contagiare toccandosi, come potrebbe essere il calcio. Vi sono alcuni oggetti in comune che vengono toccati da entrambi i giocatori, ma solo con le mani, quindi il mio era uno sport “sicuro” per quanto riguarda la diffusione del virus. Gradualmente hanno cominciato ad inserire di nuovo la possibilità degli allenamenti e successivamente anche i tornei ufficiali. Una cosa che secondo me è stata gestita veramente male, sono le classifiche. La federazione non ha aiutato in alcun modo i giocatori a poter mantenere la loro classifica. Per le persone come me che dopo molti mesi di stop hanno ricominciato ed hanno faticato a ricominciare, non sono stati aiutati. A causa di questo errore, a mio parere, sono retrocesso di classifica, cosa per cui avevo lavorato negli anni, e che nell’anno precedente avevo addirittura scalato due classifiche alla volta.
Chi è stato a spingerla all’attività agonistica? o si è trattato di una folgorazione magari guardando ai modelli dei grandi campioni?
Diciamo che all’attività agonistica ci sono arrivato per l’amore dello sport. Quando ero piccolo oltre al tennis, praticavo anche nuoto, e facevo entrambi a livello agonistico, perché mi piaceva competere e poter vincere. Siccome avevo cominciato entrambi quando ero piccolo, non avevo cominciato quegli sport guardando ai modelli dei grandi campioni, ma semplicemente per divertirmi con gli amici. Con il passare del tempo ho cominciato a guardare ai grandi campioni, ad inspirarmi a loro, perché piano piano cominciavo a capire meglio le loro gesta e che quello che stavano facendo risultava impossibile a quasi tutte le persone su questa terra.
Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?
Le doti personali e il talento sono importanti, perché ti aiutano ad essere un gradino avanti rispetto agli altri, ma la forza di volontà è la più importante di tutte. Le più grandi imprese sono state compiute grazie alla forza di volontà, perché desideravano farcela più di ogni altra cosa. Anch’io nel mio piccolo posso dire di essere riuscito a cavarmela grazie alla mia forza di volontà, anche se davanti a me potevo avere un avversario che tecnicamente fosse superiore a me.
Se dovesse dare qualche “consiglio utile” ai ragazzi che si avvicinano alla sua specialità, cosa suggerirebbe?
Il tennis è uno sport molto solitario, perché ci siamo solo noi in campo, dobbiamo cavarcela da soli e se non ci sentiamo bene non abbiamo la possibilità di chiedere il cambio. Col tempo ho imparato che non si fa tutto da soli. In campo ci portiamo anche molte altre cose e molte altre persone, quelle persone che ci hanno aiutato ad arrivare fino a dove siamo in quel momento. Questo l’ho imparato durante la gara a squadre, in cui l’allenatore aveva la possibilità di stare in panchina con il giocatore. Li ho capito che potevo appoggiarmi a qualcuno, che c’era qualcuno li per me ad aiutarmi nei momenti più difficili. Nella gara a squadre l’allenatore si trova fisicamente vicino a te, ma anche nelle altre partite bisogna imparare che loro ci seguono anche da lontano.