Lidia D’Alessio, la nostra pubblica amministrazione avrebbe bisogno di una riforma radicale
8 Marzo 2021
“Nel complesso, l’eccezionale sinergia delle politiche monetarie e di bilancio a livello mondiale ha contenuto significativamente la caduta della domanda. Ciò nondimeno le conseguenze economiche della Pandemia sono molto pesanti. Le politiche di bilancio e la politica monetaria, ancorché fortemente espansive, possono infatti solo mitigare la caduta del prodotto, perché questa non è una recessione ‘normale’ (con cause economiche o finanziarie): è una recessione con cause di tipo sanitario, che colpisce profondamente i settori legati alla mobilità e alle occasioni d’incontro delle persone, ostacolando la produzione ed il consumo. I tradizionali strumenti di politica economica non possono creare facilmente domanda per i comparti spiazzati dai vincoli di distanziamento o dai timori della popolazione. I livelli di consumo tendono a ridursi sia per le famiglie direttamente colpite dalla crisi, sia per le famiglie che, pur non avendo subito contrazioni del reddito, non possono, per esempio, spostarsi normalmente. È anche difficile rovesciare le aspettative quando l’incertezza ha origini sanitarie e non economiche. Le conseguenze, nel medio termine, saranno pesanti: il FMI stima che il PIL mondiale nel 2024 sarà del 6 per cento inferiore al livello atteso prima della Pandemia”.
Questo è uno stralcio extrapolato dall’intervento di Daniele Franco, Direttore Generale della Banca d’Italia, Ministro del Governo Draghi.
Di recessione, fallimenti, perdita di occupazione, PIL e Spread parliamo con una Valida Accademica ed Esperta di Economia. Lidia D’Alessio: Professore Universitario di Economia Aziendale (dal 2015 in pensione), Presidente dell’OSL di Giarre, Assessore al Bilancio nella Regione Campania dal 2015 al 2018. Tra le cariche che ha assunto nel tempo: Professore Ordinario di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Roma Tre, Professore incaricato di Programmazione e Controllo delle Amministrazioni Pubbliche, Direttore di Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università degli Studi di Roma Tre, Direttore Scientifico della Rivista Italiana di Ricerca di Economia Aziendale Rirea, accreditata Aidea, Membro della Commissione Nazionale per le regole sulla tenuta Albo dei Revisori Contabili del MEF.
In che modo Lidia D’Alessio ha gestito e gestisce la paura del contagio ed il notevole disagio legato alle forzate ed indispensabili misure restrittive?
Prima di iniziare questa intervista mi sembra necessario la seguente premessa.
Non sono esperta di recessione, fallimenti, perdita di occupazione, PIL e spread in quanto sono una aziendalista e non una economista. Credo che questa premessa sia fondamentale in quanto qualcuno potrebbe pensar che voglio parlare in un ambito scientifico non di mia competenza. Pertanto le mie risposte alle domande presentatemi sono collegabili solo alle mie riflessioni ed esperienze di aziendalista e di persona che, durante la sua vita professionale ha dato particolare attenzione al mondo delle aziende e delle istituzioni pubbliche che, a mio avviso, hanno tutte le caratteristiche di ogni altra tipologia di azienda. Certo le finalità, la managerialità e le gestione di un’azienda pubblica e di un’azienda privata sono diverse, ma non è ugualmente vero che il concetto di azienda sia corrispondente, come per tanto tempo la teoria e la pratica hanno affermato, solo al modello dell’azienda privata. Questa concezione è stata completamente superata già dalla fine del 1800. E quindi ci tengo a precisare che rispondo a questa intervista non come economista perché non lo sono, ma come una aziendalista che cerca di esaminare l’attuale realtà economica e sociale secondo i modelli e le teorie economiche applicate ai mercati ed ai contesti economici dei Paesi.
In questo periodo il mio modo di vivere non è diverso da quello delle altre persone, forse io sono stata un po’ più fortunata in questo periodo perché anche nella mia vita lavorativa, (ora invero sono pensionata), non ho mai avuto un orario di lavoro rigido che regolarmente mi portasse fuori di casa ogni giorno, ogni mattina alla stessa ora e mi facesse rientrare sempre con lo stesso ritmo alla stessa ora.
Tuttavia, non credo che in questo periodo di pandemia le mie paure ed il mio disagio siano risultati diversi da quelli degli altri; paura e sconvolgimento mi accompagnano giorno dopo giorno e con essi debbo fare i conti in ogni momento.
Sicuramente le limitazioni parziali e totali negli incontri, nella vita sociale e lavorativa hanno profondamente modificato il modo di gestire le ore della mia giornata standard.
Ed in questa situazione credo che mi sia cresciuta quasi naturalmente una diversa, profonda e pessimistica abitudine alla introspezione. Un punto di vista nuovo, che prima consideravo molto di rado, è oggi quello che mi fa mettere a confronto la forza e la genialità dell’uomo con quelle altre forze non troppo nemmeno conosciute in questa mia vita della natura.
La continua riflessione che mi trovo a fare sulle caratteristiche diverse di questo periodo mi hanno imposto un’analisi storica, sociale e globale diversa da quella che normalmente credevo fosse vera.
È difficile capire come è possibile andare a dormire la sera pensando che c’è un nemico invisibile che ti sta accanto e che non riesci a sentire, né ad allontanare, che in modo subdolo e silenzioso è in grado di toglierti tutto, gli affetti, la serenità di alzarti contenta domani e di costringerti a non fare ciò che vuoi. Ciò mi ha dato una sensazione di impotenza, di precarietà e di fragilità che non avevo mai provato in oltre 70 anni della mia vita. E’ scioccante anche perché la cosa che ti sta aggredendo è una cosa piccola che non puoi nemmeno vedere, eppure ha la forza e la resistenza per vincere.
E quindi ora ho uno sguardo più preoccupato per il futuro, pur essendo per natura (quindi non per mia capacità ma per una forse naturale predisposizione) una donna ottimista e quindi positiva che vede tutto a colori; e sono colori che mi piacciono chiari, vivi e luminosi.
Ma se vogliamo descrivere come conduco le mie giornate e come gestisco il mio tempo, credo che non ci siano grandissime differenze rispetto al passato, proprio perché come dicevo prima, non ho mai avuto orari rigidi pur lavorando quasi sempre più delle 8 ore giornaliere; in media potrei dire che il mio tempo di lavoro quotidiano si è sempre aggirato sulle 12 ore e più al giorno. A tal proposito occorre anche precisare che essendo donna non ho mai avuto solo il tempo del lavoro professionale, ma anche quello di cuoca, di casalinga e anche di padre essendo, da quando mio figlio era molto piccolo, separata. Comunque questa è un’altra storia che non c’entra in questo punto dell’intervista.
Per ora penso di soffermarmi prima sulle paure e poi sul disagio che ho dovuto e debbo gestire in questo periodo di pandemia.
Prima di tutto, forse sembra strano, ma posso affermare che non ho paura del contagio, pur ritenendo fondamentale e giusto seguire rigorosamente le regole del distanziamento e dell’igiene che sono state stabilite dalle autorità scientifiche e politiche. Ciò a mio avviso è necessario e doveroso per il rispetto prima di tutto dei miei familiari e di tutti gli altri con cui ognuno di noi è in contatto più o meno ravvicinato.
Non ho paura del contagio perché avendo 74 anni ed essendo ormai in pensione so che nel mio futuro ho un appuntamento importante da rispettare con la morte, di cui per ora non ho paura.
Ciò non vuol dire che sto ad aspettarlo. Mi sento felicissima di vivere e quindi sono costantemente e fortemente impegnata a vivere con intensità e gioia ogni attimo delle mie giornate.
Credo però di avere anche tutte le carte in regola, per andarmene in un attimo con qualsiasi tipo di morte mi venga proposta (purtroppo anche in questo caso non sono io a poter decidere e se sto bene, come sembra, non posso e non voglio prendere minimamente in considerazione una morte programmata). Sono, come credo tutte le persone di una certa età, cosciente che questo appuntamento si va avvicinando ed alcuni filosoficamente affermano: sia fatta la volontà di Dio!
Io invero non sono credente; mi è più semplice e sufficiente immaginare che la natura faccia la sua parte! Si, sono tranquilla che quando questo avvenimento si manifesterà sarò pronta senza paura. Almeno per ora così vivo in questo periodo.
Quindi se mi capita di andarmene con il covid, penso che questo sia un modo come un altro, forse più doloroso, ma chi mi potrebbe affermare che non me ne tocchi un altro anche più sofferente? Chi potrebbe farmi sapere quali siano gli altri modi riconosciuti come meno dolorosi?
Credo che questo tema ci porti fuori argomento ed è quindi da abbandonare. Sarà quel che sarà!
Ma certo io in questo periodo provo ad evitare che un evento covid o di morte si verifichi, non concorro certamente a farlo realizzare!
Come ho detto, mi piace vivere e sto bene in questo mondo.
Certo il disagio è un’altra cosa e lo sento molto. Non è facile vivere per un anno e forse due almeno, senza poter abbracciare le proprie nipotine, senza dare baci e toccarsi; senza esprimersi con il corpo così come mi piace e penso piaccia a tutti.
Tuttavia si sta provando, ma non sono sicura dei risultati che possano essere raggiunti negli impegni di carattere prevalentemente individuale, ad esprimere attraverso i freddi rapporti interpersonali che oggi si sprigionano dagli schermi dei computer e dalle videochiamate, un nuovo senso di vicinanza, una carica di empatia che appare difficile da assimilare ed un po’ di calore umano che possano far diminuire la mancanza degli abbracci e della vicinanza fisica e psichica che si riusciva a trasmettere nei precedenti contatti tra le persone. Per non parlare degli sguardi e di come la mimica facciale siano sempre stati in grado di sostituire le parole e di far capire sentimenti, sensazioni e stati d’animo ed anche molto di più alle persone. Oggi ciò non è più possibile.
Ma per fortuna che queste nuove tecnologie di vicinanza (computer e telefono prima di tutto) oggi esistano; esse sicuramente dovranno diventare centrali nelle nuove definizioni delle relazioni sociali ed umane ed ancora più dovranno essere utilizzati in futuro. Per cui lavoriamoci sopra per capire come utilizzarli al meglio.
La loro presenza nel mondo del lavoro in Italia era stato poco considerata finora, ma questo periodo di pandemia ha posto al centro dell’organizzazione del lavoro la loro essenzialità. Nell’ambito del lavoro deve necessariamente esserci una prossima rivoluzione organizzativa.
Per me queste nuove tecnologie sono risultate in questo periodo una ulteriore e grandissima opportunità che prima utilizzavo in altro modo e sicuramente minimale.
Come mi sono organizzata per superare questo disagio? Ho sviluppato nuovi interessi da seguire ed ho mischiato l’utilizzo del mio tempo tra i miei ancora diversi e numerosi impegni di lavoro ed i nuovi interessi quasi tutti organizzati mediante le tecnologie informatiche a disposizione e quindi incontri e attività online.
I nuovi interessi che, in precedenza coltivavo molto pochi, in questo periodo li ho incrementati seguendo corsi di arte e visite da remoto per musei e musica; ciò evidentemente senza mai abbandonare il lavoro da remoto e, quando possibile ed in sicurezza, in presenza.
Spesso passo anche otto ore al computer per lavorare e divertirmi con gli altri. Sono surrogati, ma fanno passare il tempo e ti fanno sentire meno sola. Ma io sono fortunata perché studio, scrivo libri di lavoro e sto anche scrivendo due libri su tematiche personali e favole per bambini. Quindi ho hobbies che mi accompagnano e non mi fanno annoiare. Amo anche cucinare e fare dolci che distribuisco tra i miei vicini di casa nelle ricorrenze o quando mi viene l’estro; offro a tutti coloro che mi sono vicini dolcetti a domicilio!
L’intervento salvifico di Draghi dovrebbe porre finalmente rimedio ad una situazione economico-finanziaria davvero disastrata. Quali, secondo la Sua consolidata esperienza, dovrebbero essere le misure urgenti atte a dare un efficiente impulso alla ripresa economica?
Prima di tutto speriamo che l’intervento di Draghi sia veramente salvifico per la nostra economia che invero, in questo periodo, è in condizioni estremamente complicate non tanto dal punto di vista finanziario quanto dal punto di vista economico.
Non credo comunque di poter indicare in modo significativo quali possano essere gli interventi urgenti e principali per la ripresa.
Sicuramente il grande obiettivo della vaccinazione per il superiore e fondamentale scopo di garantire il più possibile la salute dei cittadini è alla base di ogni ipotesi e/o di ogni possibilità di vera ripresa economica del Paese. E d anche questo principale argomento, in questi giorni, sta ponendo in evidenza le contraddizioni tra la politica del profitto che domina il mercato dei vaccini e la necessità globale di garantire la vita e la salute dell’umanità.
Anche gli interventi quindi concernenti la salute globale dell’umanità, che forse potevano uscire dalla ben nota logica economica dominante del profitto nel mondo delle produzioni ed a vantaggi di alcuni è purtroppo rimasta racchiusa in un modello di economia e di politica che sta privilegiando pochi e danneggia la maggioranza delle popolazioni.
Tuttavia questo tema è già troppo ampio per essere considerato nella domanda che mi è stata posta, quindi mi soffermo di più sui possibili ed utili interventi concernenti il nostro Paese. Credo quindi che raggiungere in tempi molto ravvicinati la più alta percentuale di vaccinazione della popolazione italiana sia il primo ed essenziale impegno di Draghi.
Certamente il secondo obiettivo di Draghi è quello di rendere effettivamente realizzabile una completa ed innovativa strategia degli investimenti veramente in tempi congrui con la politica dei finanziamenti posti a nostra disposizione dal recovery plan. Non esiste in questo momento altro e fortunato strumento per far partire nuovamente la nostra economia. Ma a mio avviso ciò non sarà facile con la burocrazia pesantissima ancora esistente nella pubblica amministrazione e con la tradizionale cultura economica di non realizzare velocemente le nuove opere strutturali di cui abbiamo bisogno.
La nostra pubblica amministrazione avrebbe bisogno di una riforma radicale in cui al centro i Ministeri abbiano un piccolo organico formato da piccoli team di super esperti (circa 200-300 persone e non di più) che elaborino le strategie del Paese (almeno in ottica di 5-10 anni). Nello stesso tempo presso ogni Ministero (o in modo più aggregato) dovrebbero esserci idonee e qualificatissime strutture di controllo strategico (ovviamente ampiamente popolate) la cui azione quotidiana sia quella di verificare l’operatività amministrativa sui territori.
In questo caso il collante principale tra il centro e la periferia dovrebbe realizzarsi, ed oggi finalmente è possibile, mediante gli strumenti informatici ed i già esistenti sistemi unitari ed integrati dei dati. Lo smart working anche aiuta e facilita tale divisione amministrativa: strategica centrale e operativa periferica. Ciò impone di conseguenza una riforma radacale della pubblica amministrazione che sia principalmente basata su una diversa e innovativa organizzazione del lavoro che parta appunto dal lavoro online.
Di conseguenza da tale riorganizzazione del lavoro pubblico amministrativo , nasce e si svilupperà quasi in modo automatico una nuova organizzazione sociale, ecologica e interpersonale dove i tempi ed i luoghi del vivere quotidiano risultino diversamente scanditi, per i rapporti di lavoro, per la vita familiare, per i momenti sociali e per il piacere di seguire lo sviluppo culturale individuale e collettivo; saranno così diversamente definiti e sviluppati i settori aziendali dei servizi alle persone ed alle famiglie (asili nido, sale di studio, cinema, edifici di lavoro, palestre, assistenza domiciliare,…) che costituiscono il terzo fondamentale filone degli interventi urgenti in questo periodo di pandemia.
Ancora è da approfondire il tema e la centralità della scuola. Non è possibile infatti lasciare i ragazzi lontani dalla scuola senza organizzare nello stesso tempo la loro vita sociale e personale. Non è possibile lasciarli a casa senza sapere cosa debbono fare e come debbono crescere. I giovani ed ancor più loro hanno bisogno di avere i loro momenti di incontro sociali, ovviamente protetti e sicuri, ma debbono poter avere una organizzazione politica e sociale che offra loro opportunità e certezze di formazione e di vita, idonei per la crescita e per la qualificazione professionale affinché siano pronti ad assumersi le proprie responsabilità nel futuro governo del loro Paese e nel mondo.
Piuttosto che chiudere le scuole o mantenere solo le palliative forme del DAD, occorrerebbe risolvere il problema dei trasporti degli alunni a scuola anche con ristori ai privati mezzi di trasporto attualmente quasi fermi.
L’economia si sviluppa e dà origine ad una adeguata ripresa se le diverse parti imprenditoriali e produttive possano essere tra loro sinergiche.
Accanto a tutto ciò sicuramente la totale revisione del nostro modello tributario oggi esistente è urgentissima e forse occorre anche pensare ad una revisione delle imposte con una probabile imposizione fiscale anche del patrimonio per evitare che il nostro Paese sia solo orientato e tesaurizzare i capitali e non ad investirli nella produzione. Dove invero i filoni fondamentali della nuova produzione da stimolare non sono quelli dell’industria manifatturiera ormai matura, ma quella dei servizi alla persona ed alla famiglia, inventare in modo diverso l’industria del turismo e della cultura con accanto un nuovo sistema aziendale che sviluppi sostegni veri, continui e significativi per la permanente lotta alla povertà.
Su questo punto non penso di saper e di poter dire altro.
Il tema richiede ampio approfondimento delle diverse parti principali di una economia coordinata ed occorre porre al centro della riflessione obiettivi strategici che nel nostro Paese sono sempre mancati. Forse non sono proprio mancati ma sono stati visti oggi in un modo e domani in un altro. Le strategie sono da definire per tempi lunghi e non possono essere portati avanti nel breve tempo in cui mediamente resiste in Italia un governo politico! In questo caso, le strategie mai finite danno origine solo a sprechi, a sfiducia nei confronti dei politici ed a un continuo rallentamento dello sviluppo armonico dell’economia.
Acclarato il Gender-Gap, secondo un modello Patriarcale, per cui su 101.000 posti di lavoro persi 99.000 sono donne! Qual è il Suo Pensiero a riguardo?
Il mio pensiero in proposito è sicuramente fondato sulla totale parità tra donna e uomo. Ma da quando avevo ancor meno di vent’anni ad oggi non ho visto grandi cambiamenti in proposito.
Che dire? La strada appare molto lunga in questo campo e le donne sul lavoro non sono mai state pari agli uomini. Ed anche nelle famiglie e nella società, dove comunque pochi e buoni cambiamenti pur ci sono stati, essi non sono ancora sufficienti per essere considerati significativi. È ancora lontano l’obiettivo della parità tra i sessi.
Basta guardare anche l’attuale governo Draghi, pur rispettando la su alta qualità professionale e personale, l’assenza o quasi delle donne presenti nella compagine governativa esprime di fatto una condizione di arretratezza esistente in Italia.
Da questo punto di vista la mia esperienza, che sarebbe molto lunga da raccontare, sottolinea l’enorme sacrificio che la donna deve fare quotidianamente per arrivare ad essere considerate per le sue semplici capacità e non per l’aspetto fisico e/o per l’accondiscendenza ai modelli maschili che la società comunque vorrebbe che fossero seguiti. Anzi diciamo meglio, la società preferisce e ci impone, oserei dire, solo il modello di divisione de lavoro, di studio, di cultura e di relazioni che è stato disegnato e modellato secondo le esigenze dell’uomo e non della donna. Questo modello sociale di riferimento la società (ovviamente maschile) ancora oggi non vuole cambiarlo ed anzi resiste affinché sia mantenuto valido sempre.
Spesso, e ciò si vede anche nella storia della politica di sinistra, anche il modello maschile di fare politica deve restare permanente e quindi essere acquisito da quelle donne, che pur più emancipate, debbono accettare come dogma per essere poi accettate nel gruppo di riferimento. Ciò vuol dire non andare verso la parità tra uomo e donna, ma far finta di dare alle donne un nuovo ruolo che però, spesso è fondato sulla cancellazione delle caratteristiche proprie della donna stessa che sono diverse da quelle del maschio.
Nella mia vita lavorativa, infatti, come professoressa universitaria, che vivevo in un mondo quasi del 98% di professori di sesso maschile (ovviamente diversa era la percentuale per il personale non docente), se avevo mio figlio malato ed essendo separata dovevo farmi carico da sola della mia situazione familiare, non potevo giustificarmi per l’assenza evidenziando tale situazione. Per i colleghi questa era una motivazione non pertinente con il mio ruolo professionale e con la mia assenza. Per fortuna i tempi sono cambiati, ma siamo sicuri che abbiamo fatto molti passi avanti?? Ne ho dei dubbi.
C’è anche da dire che in questo campo le modifiche comportamentali sono lente e difficili. C’è chi deve perdere una posizione dominante e chi deve saper conquistare una posizione di corretto rispetto delle proprie caratteristiche e capacità. E’ difficile tale cambiamento e le azioni e reazioni rallentano il processo.
I veri passi a mio avviso ci saranno quando in ogni posto di lavoro ci sarà parità di trattamento economico, di carriera e di rispetto delle capacità professionali e non di altre futili elementi di contorno.
Si registra nel nostro BelPaese un divario ed il Mezzogiorno è particolarmente penalizzato con un milione di lavoratori a rischio. Lei ritiene che il rilancio economico debba avere una pregnante valenza di Europeismo, protezione sociale e sviluppo sostenibile, quale alleanza tra Scienza ed Economia? Qual è la Sua proiezione futura per la Next Generation?
Il tema del Mezzogiorno è il più abbandonato nel governo e nella economia del nostro Paese da molto tempo. Basta anche vedere con quale modo superficiale e generico è stato risolto in tempo di pandemia il commissariamento in Calabria per la situazione sanitaria esplosa pochi mesi fa.
Basta guardale la condizione dei trasporti arcaica e precaria da oltre 20 anni, basta guardare le condizioni di molti ospedali che purtroppo sono fatiscenti e peggiori anche rispetto ai più criticati ospedali nel mondo, ed ancora si può ricordare come nel tempo ci sia sempre stata una crescita, diffusione e contemporaneamente espansione della mala vita che dal Sud si è estesa al Nord.
Che dire, esiste in questo momento una volontà politica di dare un contributo vero per la ripresa del Mezzogiorno?
La storia dall’unità di Italia ha mostrato tanti tentativi, tanti approcci di rinnovamento interessanti, tante iniziative, alcune anche di distruzione di ciò che c’era di buono e poi, quasi sempre interventi e sostegni finalizzati a dare “aiuto”, a riparare qualche criticità.
Ma il tema del mezzogiorno non si risolve con gli “aiuti” o qualche “agevolazione”.
Anche in questo caso occorre avere una idea strategica da realizzare in un concetto nuovo di economia circolare in cui ognuno, e quindi ogni porzione del Paese, faccia la sua parte.
Per esempio se al Sud si studia di più ed al Nord si lavora di più, allora perché non si sviluppa la formazione scientifica, culturale e professionale con adeguati e mirati centri di ricerca e di studio al Sud per formare le classi manageriali, le figure ricercate degli scienziati nel mondo e si creano le invenzioni tecnologiche che poi saranno portate nelle industrie del Nord, e come oggi essere portate e disponibili come nostri prodotti apprezzati nel mondo?
Se al Sud il clima è più salubre e il paesaggio è più bello, se l’ambiente è più naturale e meno contaminato, perché non si possono porre al centro di un nuovo modello di sviluppo industriale queste caratteristiche che sono le vere ricchezze del Sud? E perché non si può partire da queste analisi per definire un nuovo sistema aziendale in cui questi elementi risultino centrali, esaltati e fruiti?
Non si possono portare al Sud le industrie che al Nord non si vogliono tenere. Non si può ritenere che la ripresa economica del Sud debba essere la copia del modello economico del Nord.
Si deve creare un modello economico coordinato e coerente dove in ogni luogo ed ogni porzione del Paese sappia esprimere e far fruttare economicamente le proprie risorse in un sistema sinergico e circolare.
C’è qualcuno che sia indirizzato a creare un modello economico di questo genere, coordinato e differenziato sul nostro territorio nazionale? A me sembra di no quindi ho la sensazione che questo tema sia marginale ancor oggi e che nessuno sia in grado di dare nuovo impulso per la ripresa del Mezzogiorno. Certo se l’impulso di nuove riflessioni strategiche nascono dal contesto europeo, forse qualcosa di nuovo anche nel Mezzogiorno può accadere.
Ma sono convinta che ancora è lontano il tempo in cui l’Europa sia in grado di intervenire a risolvere le disarmonie territoriali dei modelli economici dei Paesi.
Il tema del Mezzogiorno è un tema antico che a mio avviso dovrebbe trovare una forza di programmazione e di definizione delle priorità da risolvere da parte degli stessi meridionali.
Quasi come le donne che, a mio avviso, non dovrebbero mai accettare, per essere riconosciute alla pari (che poi non è neanche vero!), i modelli maschili dominanti dei comportamenti, delle dinamiche personali, economiche e sociali del Paese, cosi occorrerebbe che i meridionali non risultassero subordinati ai modelli economici e produttivi di riferimento che spesso vengono imposti dal Nord. Perché il Nord è ricco e produce.
L’economia e la vita del Sud è diversa ma ciò non vuol dire che debba essere colonizzata.
Senz’altro l’alleanza tra scienza ed economia c’è sempre stata e ci sarà sempre. Sono due scienze interconnesse che non potranno mai essere disgiunte. L’economia dipende dalle scienze e le scienze risentono degli effetti generati dall’economia. Questa correlazione a mio avviso è un pilastro fondamentale per la protezione sociale e lo sviluppo sostenibile.
Alla next generation l’ardua sentenza!