L’immunoterapia nella lotta al cancro
15 Giugno 2021Non si tratta di una panacea buona per tutte le “stagioni” ma all’immunoncologia guardano con interesse sempre più specialisti delle cure neoplastiche. La metodica, messa a punto negli anni novanta ha trovato il suo primo impiego terapeutico a partire dal 2011. Da allora continui i progressi che hanno allargato il campo d’impiego: non solo il melanoma o il tumore del polmone, ma anche alcuni tipi di tumore del seno, il cancro alla vescica, del rene e dell’endometrio. L’immunoterapia mira a risvegliare il sistema immunitario e si basa sul concetto rivoluzionario di combattere i tumori come se fossero un’infezione.
Le cellule tumorali sono cellule che hanno una proliferazione incontrollata e vengono normalmente riconosciute come estranee e dannose dal sistema immunitario, il quale scatena un attacco da parte dei linfociti T. Questa difesa dell’organismo non è però sempre efficace perché le cellule tumorali riescono ad attuare tutta una serie di strategie di fuga. Una di queste trae vantaggio dal meccanismo di autoregolazione del sistema immunitario basato su una serie di proteine che agiscono come “acceleratori” o “freni” sulle cellule T.
Una delle strategie di immunoterapia utilizzate oggi, chiamata “inibizione dei checkpoint immunologici”, si basa sull’impiego di anticorpi per disinnescare i freni del sistema immunitario e aumentare così la capacità dei linfociti di fronteggiare i tumori. L’idea, nata negli anni ’90 e arrivata alla prima applicazione terapeutica nel 2011 ma ha avuto così tanti e positivi sviluppi tanto da far decidere per l’assegnazione del premio Nobel per la Medicina 2018 a James Allison (capo del dipartimento di immunologia dell’Anderson Cancer Center di Houston) e a Tasuku Honjo (responsabile del dipartimento di immunologia e medicina genomica all’Università di Kyoto). Il panel del Karolinska Institutet ha scelto di conferire il prestigioso riconoscimento ai due scienziati, “per la loro scoperta della terapia del cancro mediante l’inibizione della regolazione immunitaria negativa”.
Un’altra strategia, di ultimissima generazione e denominata CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T cell therapies), si basa invece sull’ingegnerizzazione genetica dei linfociti T in maniera tale da potenziarli per combattere i tumori. Nello specifico, le cellule T vengono prelevate dal sangue del paziente, modificate geneticamente in modo tale da esprimere sulla loro superficie il recettore CAR capace di aumentare la risposta immunitaria, e reinfuse nel paziente stesso. A differenza della strategia basata sugli inibitori dei checkpoint, le CAR-T rappresentano la medicina personalizzata nel campo dei tumori. Ogni dose viene sviluppata e prodotta per un singolo paziente partendo dalle sue stesse cellule immunitarie. Le prime approvazione per l’applicazione delle CAR-T nei pazienti con alcuni tumori del sangue (leucemia linfoblastica nel bambino e linfoma nell’adulto) sono arrivate nel 2017 negli Stati Uniti e nel 2018 in Europa.
Non tutti i pazienti sono ovviamente candidabili a questo tipo di cura, ma nuovi studi presentati al Congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco) evidenziano importanti passi avanti per un approccio terapeutico all’avanguardia che oggi in Italia è accessibile e coperto dal Servizio sanitario su tutto il territorio nazionale, dal Nord al Sud.
“Si stanno facendo grandi passi avanti e la novità, come dimostrano anche gli studi presentati all’Asco, è che si è allargata molto la platea di neoplasie contro le quali oggi possiamo utilizzare l’arma dell’immunoterapia – ha spiegato all’Ansa il presidente eletto dell’Associazione italiana di oncologia medica Aiom, Saverio Cinieri. Nuove sperimentazioni hanno dimostrato che l’immunoterapia è efficace anche in fasi più precoci della malattia, ad esempio subito dopo l’intervento chirurgico, e non solo in fasi avanzate. È il caso del tumore al rene.
Le nuove terapie sono comunque oggi accessibili su tutto il territorio nazionale, “senza gap tra le Regioni, e questa – afferma Cinieri – è sicuramente un’ottima notizia: si tratta di farmaci somministrati in vena in day hospital e tutti i reparti di Oncologia, dal Nord al Sud, sono in grado di garantire tali cure. In questo caso si può dunque parlare di parità di accesso alle terapie”. Le immunoterapie, inoltre, sono coperte dal Servizio sanitario nazionale ma “purtroppo si tratta di farmaci che hanno costi molto elevati e ciò pone inevitabilmente un problema di sostenibilità economica. Per questo – conclude il presidente eletto dell’Aiom – è fondamentale che venga incrementato il Fondo da 500 milioni per i farmaci oncologici innovativi”.