Luigi Croce, i danni “collaterali” del Covid sulla psiche
21 Dicembre 2020La diffusione del contagio ed il sovraffollamento degli ospedali impegnano costantemente, in prima linea, medici, infermieri e tutto il personale sanitario.
Si stanno strutturando disturbi psichiatrici per l’ansia da contagio, per l’indispensabile distanza sociale e per i disturbi del sonno.
Sentiamo, a tal proposito, il Professore Luigi Croce, Medico Specialista in Psichiatria e Psicoterapia, Docente di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università Cattolica di Milano, attuale Consulente del Comitato Scientifico di ANFFAS Nazionale per quanto riguarda lo sviluppo delle Matrici Ecologiche nel campo della Disabilità e della Psichiatria. Consulente Scientifico relativamente allo sviluppo di Servizi per la Disabilità e la Psichiatria, in età infantile e adulta, presso Enti Pubblici e Privati. Svolge attività clinica presso Centro Domino per l’Autismo, a Milano, attività di formazione presso diversi sistemi di servizi a livello nazionale e attività di ricerca con enti e organizzazioni a livello internazionale. Responsabile del Servizio di Psichiatria e Medicina del Comportamento, Dipartimento di Salute Mentale, ASST di Cremona. Membro effettivo dell’American Association on Intellectual and Developmental Disabilities. Autore di diverse pubblicazioni relative all’area delle disabilità intellettive, dell’autismo e della psicopatologia.
Come ha vissuto e vive Luigi Croce la paura della Pandemia da Covid 19 e le indispensabili restrizioni?
Personalmente ho vissuto e sto vivendo la pandemia lavorando a pieno ritmo e con il passo del montanaro, in un servizio di igiene mentale del territorio, Centri Psico Sociali in Lombardia, ,cercando di svolgere la mia professione come psichiatra di comunità, in un periodo caratterizzato da una impennata delle richieste di intervento da parte di una popolazione particolarmente colpita non solo dall’emergenza sanitaria, ma anche dagli effetti economici e dalle indispensabili difficoltà emotive, comprese le angosce per la salute dei propri familiari ed amici, che hanno minacciato in modo inaspettato e pesante la salute mentale di molte persone. Rispetto alle restrizioni riconosco la fatica di mantenere tutte le precauzioni e i dispositivi di protezione che tuttavia ci hanno garantito in termini di mantenimento del benessere e dell’efficienza necessaria per svolgere con continuità il nostro servizio e proteggere i nostri familiari e i nostri pazienti. Ai movimenti fisici da un luogo all’altro, pensando soprattutto ai trasferimenti anche a lunga distanza tipici di chi, come il sottoscritto è abituato a impegni formativi in Italia e all’estero, devo ammettere da una parte un certo dispiacere e dall’altro l’opportunità di esplorare nuovi luoghi, spazi della mente e dello spirito, vicinanze virtuali mediate dalle ormai diffuse videoconferenze, alla scoperta di nuovi modi e mondi della comunicazione. Ho sperimentato la sorpresa delle relazioni incorporee e la semantica comunicativa dei pixel, rifugiandomi tra una call e l’altra nei libri per riscoprire la meraviglia degli incontri più reali che mai con gli autori e i loro personaggi. Ho avuto, da uomo fortunato, la possibilità di materializzare l’intimità con le pochissime persone della mia cerchia familiare, approdo non più metaforico, ma consentito e reale alla fine della giornata lavorativa. Come tanti, e senza troppi rimpianti, ho reso più “rotondo” il mio giro vita.
La difficilissima situazione contingente influenza psicologicamente i comportamenti degli adulti, ma come affrontano i bambini questo dramma del distanziamento sociale e quali presidi il Neuropsichiatra infantile suggerisce?
Sorprendentemente la maggior parte dei bambini non sembra aver risentito così drammaticamente per quanto riguarda l’utilizzo dei dispositivi di tutela. Paradossalmente il dialogo tra genitori e figli e tra insegnanti e alunni riguardo all’uso della mascherina e il lavaggio frequente delle mani hanno creato una opportunità di relazione e scambio, non semplicemente focalizzato sulla necessità di proteggere e di proteggersi, ma ha facilitato una riflessione condivisa tra natura e salute, tra persona e comunità, generando i presupposti per una rivisitazione decisamente più ecologica del mondo in cui viviamo fornendo un assist strepitoso al valore della responsabilità personale in ogni percorso di educazione sociale. Più difficile da metabolizzare il distanziamento sociale, con la didattica da remoto che ha compresso lo spazio comunicativo, relazionale ed affettivo dello scambio tra pari, esperienza decisiva per lo sviluppo sociale di ogni essere umano. Una ulteriore semplice riflessione in merito alla domanda: il comportamento infantile, l’emergere di una risposta resiliente ed adattiva dipende dall’esempio che hanno la possibilità di “imitare” come modello dai genitori e dalle altre figure educative con cui possono entrare in relazione, anche in videoconferenza. La capacità e l’impegno dei genitori, del gruppo familiare e della scuola anche quando percepita “da remoto” rappresenta il fattore in grado di generare consapevolezza, responsabilità crescente e positività di convinzioni, atteggiamenti, azioni anche nelle condizioni di restrizione imposte dall’emergenza sanitaria.
L’O.M.S. ha coniato il termine di “Pandemic Fatigue”!! Cosa pensa Lei della stanchezza, dovuta allo stato di crisi prolungata dinanzi ad una Pandemia di cui non s’intravede la fine? Quali strategie di coping suggerisce?
Quando si parla di “pandemic fatigue”, ci si riferisce correttamente all’emergere di una crescente demotivazione delle persone nel mettere in atto i comportamenti protettivi raccomandati dalle autorità per la tutela della salute dei singoli e della comunità. Le indicazioni fondamentali rispetto al lavaggio frequente delle mani, alle mascherine da indossare sistematicamente e in modo corretto e il mantenimento del distanziamento sociale tendono ad inflazionarsi nella loro efficacia e riecheggiano sempre più flebili e distanti alle orecchie di chi, affaticato e sempre più passivo, non li ascolta più. Personalmente non nascondo la difficoltà di una parte importante della popolazione abituata a vedersi risolti i problemi piuttosto che a partecipare, magari localmente, a contribuire alla soluzione dei problemi. Il mantenimento delle precauzioni richiede continuità anche in termini di motivazione, scrupolosità, resistenza alla frustrazione, tutti atteggiamenti piuttosto in controtendenza per chi non tollera facilmente soluzioni che richiedono tempo e responsabilità individuale. La “pandemic fatigue”, oltre i limiti di una ragionevole percezione, rappresenta una vulnerabilità e una fragilità diffusa nel reggere il confronto con il “principio di realtà” che da persone mature e responsabili dovremmo integrare con il legittimo, ma spesso insaziabile “principio di piacere”. Il “lieto fine” , in questo caso il superamento dell’emergenza sanitaria, non è quasi mai un regalo da pretendere passivamente, ma il prodotto dell’impegno umano su diversi fronti, la scienza, la tecnologia, il diritto, la coesione e la solidarietà sociale. Alla delusione di un risultato magico che tarda ad arrivare dovremmo essere in grado di rispondere con la pazienza, l’ingegno e il riconoscimento di una appartenenza comune alla specie umana. Si tratta di un processo, mai di una folgorazione puntiforme, frutto dell’integrazione tra una capacità di pensare tipica del nostro cervello sinistro e di una sensibilità ad immaginare-immaginarci, sentire- sentirci, cogliere-coglierci intuitivamente e con i sentimenti propria del nostro cervello destro.
L’esperienza di cattività nei lockdown, la paura del contagio da Covid-19 ed anche eventuali lutti o contagi tra parenti, amici determinano l’implementazione di severi disturbi di ansia, di disturbi depressivi anche maggiori con eventuali suicidi. Ritiene che sia a rischio lo stato di salute mentale anche per la marcata e desolante recessione socio-economica?
Il riscontro dell’emergenza sanitaria si abbina con una serie di altre situazioni critiche, a livello economico, sociale, relazionale e personale. Ansia, depressione e più gravi episodi di depersonalizzazione e derealizzazione ovvero di fratture e vissuti di estraneità da sé stessi e dal mondo, insieme a difficoltà di relazione, di controllo dell’impulsività e comportamenti di intolleranza rappresentano il fronte allargato che i professionisti e ancora prima i luoghi di vita si trovano ad affrontare tra gli impatti della pandemia. Il benessere bio psico sociale e la qualità di vita di ogni persona sono drammaticamente a rischio quando aleggia il fantasma o addirittura si incontra lo spettro della povertà e dell’insicurezza. Una variabile poco considerata per confrontare efficacemente la destabilizzazione emotiva emergente dalla insicurezza e dalla povertà, si riferisce alla percezione di sé non più come consumatore, che non regge la concorrenza paradossale dell’acquisire nuovi oggetti che il mercato impone con la propria logica mercantile, ma nella ripresa di una soggettività sobria, che pensa, ragiona, sceglie condivide. Si tratta di un orientamento ed una inclinazione valoriale a tratti considerata obsoleta, ma di indubbia post modernità e meravigliosamente sostenibile ecologicamente.