Manuela Marchetti, tutti insieme possiamo fare la differenza
30 Marzo 2021L’ultimo report dell’Istituto di Statistica sulla criminalità e gli omicidi in Italia: nel primo semestre 2020 i femminicidi sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019 e hanno raggiunto il 50% nei mesi di marzo e aprile 2020. L’elemento più sconvolgente è che le vittime sono state uccise, prioritariamente, in ambito affettivo e familiare (90% nel primo semestre 2020) e da parte di partner o ex partner (61%).
Nel 2019, dei 315 omicidi commessi in Italia, il 47,5% è avvenuto in ambito familiare o in quello delle relazioni affettive extra-familiari, valore che risulta in costante aumento negli anni (+13,3% rispetto al 2018, +34,9% al 2017 e +126,5% rispetto al 2002, anno di inizio della serie storica dei dati) “anche a causa dell’incremento dei casi in cui è stato identificato l’autore ed al calo di quelli attribuibili ad autori sconosciuti alla vittima”, evidenzia l’Istituto Nazionale di Statistica.
I dati statistici riguardano il 2020, ma quest’anno continua a registrarsi un’implementazione dei femminicidi.
Di questo parliamo con una Specialista del Settore: Manuela Marchetti.
Criminologa, Vittimologa, Sociologa Professionista ANS, Counselor Supervisore. Presidente del Dipartimento Emilia-Romagna, ANS (Associazione Nazionale Sociologi). Educatore Professionale Socio-Pedagogico. È specializzata in Analisi Scientifica del Comportamento non Verbale. Da anni si occupa di crimini, violenza e abusi, percorsi di prevenzione alla violenza, legalità e aiuto alle vittime, nelle scuole, nelle famiglie, nelle comunità sportive/educative e nelle realtà aziendali. Formatore e Docente Esperto in Vittimologia, Criminologia, Sociologia, Counseling e Comunicazione non Verbale. Direttore Scientifico e Relatore di Convegni Multidisciplinari tenuti in Senato della Repubblica riguardanti i temi: Bullismo, Cyberbullismo, Violenza sulle Donne e giovani Ragazze, Abusi e Violenze sui Minori, Reati alla Persona, Crescere tra Reale e Virtuale. Relatore al Convegno Mondiale IAC Conference 2018 (International Association for Counseling), Titolo del convegno: “Temi e metodi nelle diverse età e culture”. Autrice di testi multidisciplinari, l’ultimo uscito nel 2018 inerente al Bullismo Cyberbullismo. Vive in Emilia-Romagna e lavora su tutto il territorio italiano e su richiesta all’estero.
Come ha gestito e gestisce Manuela Marchetti la paura della pandemia ed il forte disagio per le inevitabili, indispensabili misure restrittive?
Ho gestito questa pandemia pensando a cosa potevo fare io come persona, ma prima di tutto come avrei potuto gestire il disorientamento più totale in cui ci ha ribaltato nel giro di un mese.
Tutto potevo immaginare, fuorché una pandemia così travolgente e così aggressiva nei confronti dell’umanità. Il mio pensiero più grande è stato quello di mettere in sicurezza i pensieri di mia figlia, essendo anche mamma, fare in modo che i sogni di una adolescente non si interrompessero, davanti a una globalità di paura così complessa. Sicuramente è stato disarmante vedere quante vittime ogni giorno cadevano e continuano a cadere a causa di una guerra invisibile in cui non riesci a tracciare il nemico perché non lo vedi e soprattutto non lo senti arrivare. Il disagio delle misure restrittive, all’inizio non l’ho sentito molto era in parte desiderato e risultava essere l’unica arma per nasconderci dal nemico, mentre fuori sentivi solamente il suono delle sirene delle ambulanze. Faccio presente che io vivo in una regione tra le più colpite per il numero di decessi e contagi. Ho perso persone che conoscevo, che facevano parte della storia della mia vita e della mia famiglia. Ho vissuto la paura nel gestire due genitori anziani, proteggendoli il più possibile dal mondo esterno e dal rischio di contrarre il contagio. Ho sentito e toccato con mano la loro paura di morire lontano dalla famiglia e in solitudine. Mai come in quei periodi ho sentito forte e chiaro la loro paura che si ribaltava nei ricordi di una guerra che loro avevano vissuto da bambini e che non volevano rivivere. Ho vissuto io in prima persona come figlia una responsabilità decisionale oltre che di protezione sicuramente non comune, ma nello stesso è stato vivere un ruolo ribaltato: genitore dei propri genitori. Adesso a un anno di distanza, indubbiamente è pesante, la vita è completamente ribaltata e cambiata, con la presenza dei vaccini il conto alla rovescia dei giorni con la speranza di tornare a camminare liberamente è costante. Voglio però dire, che personalmente non ho mai perso tempo ad incolpare il mondo intero per quello che si poteva fare e per quello che ancora non si è fatto. Il mio pensiero e le mie energie le ho utilizzate e le sto utilizzando per costruire un nuovo futuro e cercare di sensibilizzare il più possibile su cosa voglia dire responsabilità personale e responsabilità collettiva e sociale. Questa pandemia ha messo in luce i punti nevralgici della società e della personalità di ognuno. Tra questi il concetto e la percezione di responsabilità, così necessaria e fondamentale non solo per ogni individuo, ma anche per la collettività. Ognuno di noi è parte ed è pezzo importante della costruzione di vita dell’altro e questo non dobbiamo mai dimenticarlo.
Le mie energie le ho spese cercando proprio di sensibilizzare sulla responsabilità e sul senso di libertà, che se gestiti male possono creare danni irreversibili a noi e agli altri.
Ho dialogato molto tramite internet con famiglie, studenti, docenti, professionisti che oltre ai confronti e a condividere il loro disorientamento mi chiedevano consigli su come gestire e affrontare una quotidianità complessa e imprevista, ma anche con colleghi per monitorare non solo l’andamento della pandemia nelle varie zone d’Italia, ma anche il comportamento sociale e comunicativo. È emerso quanto la comunicazione sia risultata il vero problema non solo all’interno delle famiglie, ma anche nella collettività, nei mass media e nei luoghi di lavoro e di studio. C’è tanto da fare per acquisire una comunicazione essenziale, ma rispettosa e costruttiva, che metta al centro la persona e i suoi bisogni, senza scadere nel pregiudizio, nel giudizio ad ogni costo e nella volgarità. Durante la pandemia si è visto di tutto sui social e non solo, aumentando il senso di insicurezza, ma anche l’arroganza e la cattiveria tra le persone. Una comunicazione urlata che si inseriva in un tam tam virtuale in cui tutto era concesso, tranne il rispetto e il doveroso silenzio davanti alle tragedie delle famiglie che perdevano i propri famigliari in situazioni di totale solitudine e abbandono.
“Nessuno, di fronte alle donne, è più arrogante, aggressivo e sdegnoso dell’uomo malsicuro della propria virilità.” Simone de Beauvoir. Quale l’antidoto alla violenza di genere?
Il miglior antidoto è la rivoluzione di pensiero e di conseguenza culturale che dobbiamo fare tutti insieme e vivere quotidianamente. Dove c’è violenza, ci indica chiaramente che qualcosa è mancato, qualcosa è stato sottovalutato, qualcosa ha preso il sopravvento, qualcosa è stato immerso nella indifferenza più totale.
Non si può fare prevenzione e basare tutto sull’efficacia delle reti di protezione e aiuto alla donna, se prima non si agisce in maniera capillare sull’educazione per una costruzione di pensiero rispettoso che coinvolga uomini e donne senza distinzione di sesso e provenienza.
Sono tanti anni che cerco di diffondere sia nel mio ruolo di educatore, che in quello di sociologo e criminologo lo sviluppo di un pensiero culturale, sociale e comportamentale che porti entrambi i sessi a sviluppare rispetto reciproco partendo dalla tenera età. Occupandomi da tantissimi anni di prevenzione alla violenza, ho manifestato più volte negli anni assieme anche a colleghi la necessità di percorsi strutturati di aiuto e assistenza anche per gli uomini, sia quando essi subiscono violenza da parte delle donne, sia quando sono loro stessi autori di violenza. La violenza di genere la si combatte anche cercando di essere presente in modo capillare nel territorio sia per aiutare la donna sia per aiutare l’uomo. Ricordiamoci che tutto questo ci porta anche a porre uno sguardo attento in merito all’educazione e sostegno nei confronti dei minori che vivono molto spesso situazioni al limite all’interno del nucleo famigliare. Una buona prevenzione rivolta agli adulti va inevitabilmente ad incidere e a favorire una sana educazione e relazione nei confronti dei minori. Questi minori saranno gli uomini e le donne del domani. Inoltre trovo che l’educazione alla parità di genere sia fondamentale, ma deve iniziare sin da piccoli, per contribuire alla costruzione di quel pensiero rispettoso di cui accennavo prima. Valorizzare la donna e l’uomo per le caratteristiche e per i talenti che essi stessi portano nella vita e nella società, portando anche quella ventata di aria costruttiva di cui c’è tanto bisogno. Inoltre non si deve parlare di donne solamente in circostanze dolorose e di violenza, ma parlarne in modo costruttivo e positivo. Abbiamo il dovere di farlo, lo dobbiamo a tutte quelle bambine e a quelle adolescenti, che ci guardano ogni giorno con gli occhi della speranza e dei sogni, tipici di ciò che vuol credere a un futuro solare e di realizzazione personale. Fare capire a loro che tutti insieme, uomini e donne possono fare la differenza, anche nella trasmissione dei valori che portano dentro. Pretendere rispetto nelle parole, rispetto nei gesti che ricevono e anche dei loro sogni e delle loro aspettative. Pretendere rispetto anche da parte di quei media che continuano a parafrasarle o a esporle come fossero oggetti vuoti senza anima e senza cervello. Deve invece passare un messaggio di rispetto del corpo e della mente della donna, Il rispetto della donna.
Nel 2020 una donna ogni 3 giorni è stata uccisa, ma preesistente e perdurante, per anni, è stata la violenza psichica con mortificazioni, umiliazioni, offese, vessazioni subite per possesso, gelosia, soprattutto per un fenomeno di effrazione intenzionale, ma la violenza è anche economica. Secondo Lei la Pandemia quanto ha implementato questi reati per l’effetto di cattività e per la lentezza giuridica?
Sicuramente nella pandemia lo stravolgimento della quotidianità ha destabilizzato anche la possibilità di chiedere aiuto, là dove vi era la necessità oltre all’indipendenza economica. Basta pensare alla crisi nel mondo del lavoro così forte e a tratti violenta, che ha creato rabbia e tristezza. Questi aspetti hanno sicuramente favorito moltissime situazioni di violenza all’interno di quelle famiglie dove già la situazione era degenerata o stava degenerando. La convivenza sotto lo stesso tetto con famigliari già di per sé potenzialmente violenti, non ha aiutato la donna, come non ha aiutato i minori presenti o altri componenti della famiglia che hanno subito o subiscono violenza assistita. Non dimentichiamoci che all’interno di un nucleo famigliare ruotano e spesso convivono diverse figure, che possono essere anche anziane o disabili. Inoltre la lentezza giuridica, dovuta anche da questa pandemia, si è sentita e purtroppo, le conseguenze si sono manifestate. In futuro tutto questo non deve più accadere, non bisogna trovarsi impreparati a gestire tali situazioni, dobbiamo sempre aver presente che azioni dovute a lentezza o sottovalutazione portano conseguenze non sempre gestibili e superabili.
La casa, nell’immaginario collettivo, è vissuta come riparo, rifugio, nido, ma in questo periodo ha costretto molte persone ad una lunga e, talvolta, forzata convivenza, che ha amplificato tutte le problematiche nel contesto familiare. Qual è il Suo pensiero a riguardo?
Non per tutte le famiglie la casa è risultata un riparo in cui stare sereni e metabolizzare questo momento di grande difficoltà e ansia collettiva dovuta alla pandemia.
Il mio pensiero nei momenti di grande sofferenza sociale, spesso è stato rivolto proprio a tutte quelle persone, non solo bambini o donne, ma anche anziani e disabili che si sono trovati in una condizione di totale abbandono all’interno delle proprie emozioni di paura, rabbia, tristezza e sconforto che stavano vivendo.
Ricordiamoci che questa pandemia ha travolto senza pietà le persone più fragili e più sole, lo spettro della morte è piombato all’interno di ogni nucleo famigliare, creando molte ansie e, dove la convivenza è risultata forzata, favorendo anche espressioni di aggressività o indifferenza nei confronti dei bisogni dell’altro.
I comportamenti generali emersi in questo ultimo anno di cui tutti siamo a conoscenza, hanno fatto da indicatore molto chiaro in merito a quante situazioni al limite di violenza vivono diverse realtà famigliari indipendente dalla provenienza sociale.
Alla fine di questo passaggio storico, ci ritroveremo tutti profondamente cambiati, e anche all’interno di ogni nucleo famigliare si percepiranno cambiamenti, chi in positivo, chi in negativo. Nella sofferenza i legami si possono rafforzare, ma si possono anche rompere definitivamente, questo non è legato solo a situazioni di violenza o presunta tale, ma anche a dinamiche affettive, comportamentali, relazionali che hanno subito uno stravolgimento interiore ed esteriore. Sono state fatte forzature, quelle si, pensiamo a quante persone si sono trovate ad agire con le tecnologie sotto lo stesso tetto , chi per la scuola, chi per il lavoro, questo sicuramente non ha facilitato i rapporti e le relazioni, ma in alcuni casi a peggiorare le tensioni famigliari già esistenti.
La casa nella sua centralità più intima in questo ultimo anno è stata stravolta, si è trovata a diventare in parte un campo lavorativo e in parte scuola, dove si è faticato anche a mantenere quella necessaria intimità a cui noi eravamo abituati. Vivere in spazi ristretti, condividendoli e negoziandoli, sicuramente ha fatto emergere anche le nostre fragilità e i nostri bisogni, ma nello stesso tempo a guardarci dentro con un occhio più attento, carico di domande e bisognoso di risposte.
Riguardo a internet, un elemento molto importante, che non deve essere visto solo in modalità distruttiva, ma anche come quella opportunità che ci ha permesso di rimanere in contatto con il mondo, con l’esterno e di fare rete, anche se solamente virtuale, e per tanti professionisti di continuare a lavorare, per gli studenti di continuare a rimanere in contatto con i docenti e con i compagni. Nonostante questo non possiamo non dire che ha portato anche problemi relazionali, una piazza virtuale, che se mal gestita ha consegnato situazioni di violenza e istigazione alla violenza, oltre che a truffe e attacchi informatici.