Manuela Piancastelli, le ripercussioni del Covid sul settore vitivinicolo
13 Febbraio 2021
“La chiusura anticipata alle 18:00 discrimina ingiustamente le oltre 7mila enoteche presenti in Italia nei confronti di negozi alimentari e supermercati ai quali resta correttamente consentita la vendita dei vini”. È quanto afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. Questa grave pandemia ha messo in ginocchio molti produttori italiani ed oltre ai ristori governativi, sempre insufficienti e sempre in ritardo, si cercano soluzioni alternative.
Una soluzione finanziaria per sostenere il settore vitivinicolo l’ha introdotta Intesa Sanpaolo: le potenzialità per superare il difficile momento ci sono, proprio per questo Intesa l’Istituto di credito ha messo a punto un progetto nazionale per sostenere i produttori vitivinicoli d’eccellenza.
L’iniziativa trae impulso dal Decreto “Cura Italia” e si avvale della collaborazione di Federdoc e di Valoritalia, che certificherà presenza in cantina e qualità del vino. Intesa Sanpaolo crede sugli ampi margini di ripresa post Covid-19 del settore vitivinicolo e si rivolge ai produttori d’eccellenza del vino made in Italy, a tutte le circa 400 DOC e DOCG che vorranno collaborare con la Banca.
Il progetto, lanciato da Intesa Sanpaolo, si rivolge ai produttori di vini nobili e si basa sul principio del “pegno rotativo”. I finanziamenti della Banca saranno garantiti dalle scorte in cantina.
L’azienda vitivinicola può dare in garanzia alla banca il proprio prodotto, che è in fase di affinamento e che tiene nelle proprie cantine per ottenere nuove linee di credito. In questo modo mette in circuito il vino che si sta affinando e conferisce valore alla sua produzione.
Le aziende possono così smobilizzare il prezioso patrimonio custodito in cantina, che diventerà commercializzabile solo a distanza di anni.
Di questo parliamo con Manuela Piancastelli, napoletana, laureata in Lettere e Filosofia, per vent’anni giornalista professionista del quotidiano “Il Mattino”, dove ha ricoperto numerosi incarichi prestigiosi e che, attualmente, collabora a “Bell’Italia”.
Nel 2003 con il marito Peppe Mancini ha fondato l’azienda vitivinicola “Terre del Principe”, mirando alla valorizzazione di tre antichi vitigni autoctoni casertani: Pallagrello bianco, Pallagrello nero e Casavecchia.
È stata collaboratrice di Luigi Veronelli, con la cui casa editrice ha pubblicato le biografie di Mario d’Ambra e Pina Amarelli.
Ha scritto alcuni volumi sui grandi vini d’Italia per la Hobby&Work su Campania, Puglia, Basilicata, Calabria ed una storia dei vini del Sannio (Kat editore).
Ha presieduto il Movimento Turismo del Vino della Campania ed è stata tra le prime a far parte delle Donne del Vino e della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti). Tra i numerosi riconoscimenti è stata insignita dal Ministero dell’Agricoltura del Premio Cangrande della Scala, quale Benemerita della viticoltura ed ha vinto il Premio Luigi Veronelli.
Come ha vissuto e vive Manuela Piancastelli la paura del contagio ed il marcato disagio connesso alle indispensabili misure restrittive?
Personalmente, ho vissuto bene il lockdown e ho utilizzato quel tempo “recluso” per scrivere un nuovo libro. Però credo che questa pandemia ha avuto e continuerà ad avere, per molto tempo, un impatto disastroso sui comportamenti collettivi e sul mercato dei beni voluttuari, tra cui ormai da decenni si può inserire il vino. Aldilà dei timori individuali di contagio, che comunque determinano comportamenti assolutamente nuovi e impensabili fino a un anno fa, ci sono dei dati oggettivi: reddito diminuito per gran parte dei lavoratori, minori uscite, pochissime occasioni di socialità, nessuna propensione alla spesa, paura di andare nei locali pubblici, chiusura anticipata di ristoranti e bar.
Quali ripercussioni la crisi pandemica ha avuto sulla Sua attività imprenditoriale?
Ripercussioni pesantissime. La nostra azienda è legata a filo doppio col settore ho.re.ca., cioè non vendiamo alla grande distribuzione ma solo a enoteche e ristoranti, che sono i segmenti più penalizzati dalle misure restrittive. Noi abbiamo avuto un calo di fatturato pauroso, ma come noi le migliaia di piccole aziende italiane che fanno alta qualità e quindi hanno alti costi di produzione e margini modesti. Tra l’altro, essendo legati a un distributore nazionale, non abbiamo mai fatto vendita on line che è uno dei segmenti più in crescita nell’ultimo anno. Naturalmente i canali commerciali non si aprono dall’oggi al domani, quindi chi era già organizzato con piattaforme e-commerce è andato meglio. Comunque non dispero: la vita mi ha insegnato che l’essere umano dimentica presto e, appena possibile, sono sicura che ripartiremo tutti alla grande, con la voglia di riconquistare il tempo perduto.
Buona notizia: Lei è stata insignita di vari e prestigiosi Premi! Che testimonianza ci dà, quale Donna, che onora, celebra, consacra, promuove e tutela il comparto vitivinicolo?
Ho visto, negli ultimi vent’anni, cambiare il mondo del vino che era, almeno in Italia, un mondo esclusivamente maschile nel quale le donne erano relegate a ruoli aziendali marginali o confinate nei lavori in campagna, quasi sempre pagate meno degli uomini. Oggi ci sono moltissime cantine gestite, dirette e organizzate da donne, si sono moltiplicate le enologhe, le agronome, le consulenti di marketing. Si è aperta una porta sulla sensibilità femminile che, anche in questo settore, si accompagna a valori importanti come l’empatia con i lavoratori, un maggiore rispetto dei loro problemi, la capacità di fare squadra, ma anche una intensa sintonia con la natura. Credo che le donne abbiano contribuito in modo importante alla cultura ecologica, ambientale, riconvertendo le aziende ai valori del green e del biologico. Noi donne abbiamo presente, più degli uomini, che lasciamo in eredità ai nostri figli una terra da preservare e amare.
La Pandemia ci ha posto di fronte alla sfida del digitale. L’Italia vitivinicola, secondo Lei, dovrà investire in strategie innovative per il futuro e di quale tipologia?
Ne accennavo prima: il digitale è diventato parte del nostro quotidiano, il lavoro e lo studio da casa, gli acquisti “a distanza” hanno costretto milioni di persone a misurarsi nel quotidiano con i computer. Anche persone che non erano digitalizzate, penso agli anziani che non erano abituati all’uso continuo del computer, dopo la pandemia si ritroveranno internet-dipendenti. Questo comporta un cambio di abitudini, sempre di più il vino si comprerà on line: è comodo, sicuro, ti arriva a casa in pochi giorni e puoi pagare con la carta di credito. Ci sarà sempre, ovviamente, una piccola parte di consumatori che andrà in enoteca o nei wine bar ad acquistare una bottiglia, che verrà in cantina a conoscere le nostre storie di vita e di vino ma saranno meno numerosi di prima. D’altra parte, anche il vino sta seguendo il destino di tanti altri segmenti. Essendo stata giornalista, penso che vent’anni fa nessuno avrebbe immaginato la fine così rapida della carta stampata, eppure andiamo in quella direzione, basta vedere i dati di vendita dei giornali. Insomma, anche il mondo del vino dovrà investire sempre di più nei nuovi linguaggi, modificare i modelli di comunicazione, organizzarsi con canali e piattaforme on line. Chi non sarà capace di convertirsi ai tempi nuovi verrà purtroppo allontanato dal mercato e lo dice una persona come me, certo non nativa-digitale, che frequenta poco i social media e non compra on line. Però il mondo, la storia, scorrono più veloci delle nostre singole vite, delle nostre difficoltà e delle nostre paturnie e chi non si adatterà sarà travolto. Come d’altronde è sempre successo.