Marco Daniele, le mani per curare
9 Febbraio 2023Dietro ogni attività sportiva, segnatamente quelle agonistiche, c’è sempre un lavoro di squadra. Un lavoro che porta alla ribalta in pochi ma che impegna tanti operatori i quali, in maniera quasi oscura ma efficace, contribuiscono al raggiungimento dei risultati. Di questo parleremo con Marco Daniele, fisioterapista sportivo esperto in prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi neuro-muscolo-scheletrici attraverso trattamenti di terapia manuale, idro-kinesi-terapia e rieducazione funzionale. Tante le esperienze significative maturate in ambito professionale, attualmente è in forza alla Reale Mutua Basket Torino, società di serie A2 di pallacanestro.
L’evento pandemico è stato disastroso in tutti i settori ma in quello dello sport ha creato davvero problemi enormi. Questo è ancora più vero se si pensa alla sua attività che richiede un contatto diretto e manuale con l’atleta. Come avete fatto fronte a questa situazione?
Purtroppo, così come tutti gli operatori sanitari, come fisioterapisti ci siamo trovati in una posizione scomoda, poiché in un primo momento non è stato possibile soddisfare il bisogno di salute dei nostri pazienti. Occupandoci, tra l’altro, di patologie muscolo-scheletriche il cui trattamento poteva essere “rimandato”, abbiamo perso del tempo prezioso per la riabilitazione di pazienti con patologie anche a prognosi piuttosto lunga. Oltretutto, non abbiamo neanche potuto renderci utili nella risoluzione delle problematiche che il COVID-19 ha creato al nostro sistema sanitario, rimanendo di fatto a casa.
Da quando invece siamo potuti tornare in studio, fondamentale è stato l’apporto dei DPI (mascherine ed eventualmente guanti) per poter continuare ad operare al servizio delle persone. Ora speriamo di tornare a vedere il loro sorriso al più presto.
Man mano che la patologia virale ha perso di aggressività ci sono state sempre più liberalizzazioni. Oggi qual è lo stato dell’arte? C’è ancora il ricorso ai presidi di protezione personale?
Le disposizioni attuali sono ancora piuttosto restrittive per quanto concerne l’ambiente ospedaliero, ove si rende ancora necessario l’uso di camici, guanti e mascherine FFP2, con contingentamento degli accessi. Per i centri di medicina dello sport è ancora necessario l’utilizzo delle mascherine per proteggere la salute degli operatori e dei pazienti. Nello sport, invece, non è più necessaria l’adozione di alcun DPI.
Quasi una “nuova creazione”, le mani per curare…
… e non solo. Per comunicare, per trasferire serenità, fiducia, attenzione alla persona che abbiamo di fronte. Noi più di ogni altra figura sanitaria sappiamo quanto sia fondamentale modulare il nostro approccio manuale in base alla persona che abbiamo davanti e alla situazione bio-psico-sociale che sta attraversando. Le mani curano sì la causa meccanica del problema, ma comunicano anche alla persona che c’è qualcuno che si sta prendendo cura di lei, che la sta aiutando a trovare le strategie per superare il suo problema.
L’attività ravvicinata e continuativa che esige la sua attività professionale crea anche un rapporto amicale e fiduciario. Quanto pesano amicizie e fiducia ai fini della riuscita riabilitativa?
Rischiano di pesare molto. È fondamentale, soprattutto nell’ambito sportivo, entrare in empatia ma non in simpatia con l’atleta, mantenendo un certo distacco che permette il rispetto della nostra figura professionale e quindi delle nostre scelte, indicazioni e decisioni all’interno del percorso di cura. La fiducia è fondamentale, l’amicizia può essere sicuramente un’arma a doppio taglio. Sono però contento di aver mantenuto ottimi rapporti con tanti atleti con cui ho lavorato anche dopo la conclusione della nostra collaborazione.
Amore per lo sport o spinta ad aiutare gli altri, cosa ha pesato di più nella scelta di fare il terapista per la riabilitazione?
È un po’ strano e complicato a dire la verità. Sicuramente una radicata passione per lo sport in quasi tutte le sue declinazioni, però la scelta della fisioterapia come approccio lavorativo allo sport è dovuta alla passione che durante il liceo ho sviluppato per l’anatomia dell’apparato muscolo-scheletrico. Ero indeciso con l’ortopedia, ma preferivo un maggiore contatto col paziente.