Massimo Puoti, il timore della quarta ondata e l’efficacia dei vaccini antiCovid
15 Maggio 2021L’incubo Covid 19 ci affligge da più di un anno e nonostante siano stati fatti molti passi avanti nel campo della prevenzione, cura e ricerca, L’India ed il Brasile piangono molte migliaia di morti. In Italia la campagna vaccinale procede spedita al Nord, un po’ meno al Sud. I Vaccini impiegati per l’immunizzazione di gregge fanno a loro volta alcuni morti e questo impressiona la popolazione quasi quanto la paura di contrarre il virus.
Parliamo di prevenzione, cure e vaccini con un Medico impegnato in prima linea nella lotta al Covid-19. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1983 all’Università “la Sapienza” di Roma, dove poi ha conseguito la specializzazione in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva nel 1987. Nel 1993 si è specializzato in Malattie Infettive presso l’Università degli Studi di Brescia. Ha lavorato presso il Dipartimento di Malattie Infettive dell’A.O. Spedali Civili di Brescia, dove è stato responsabile dell’Epatologia Infettivologica del Dipartimento. Dal 2010 è il Direttore della Malattie Infettive dell’Ospedale Niguarda. Docente di Malattie Infettive presso l’Università degli Studi di Brescia, convenzionato con l’A.O. Spedali Civili continuando l’attività ospedaliera dal 2005 al 2010. Dall’ottobre 2020 è Professore Straordinario di Malattie Infettive presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca; Responsabile di diversi progetti di ricerca nazionali e regionali. Membro di varie società scientifiche nazionali ed internazionali. Dal 2008 è stato nominato European Expert nel campo delle Malattie Infettive presso l’EMA (European Medicine Agency). Fa parte del gruppo di esperti che cura le raccomandazioni sul trattamento dell’epatite C della Società Europea di Epatologia. Coautore di 354 lavori scientifici pubblicati su riviste censite su Pub Med dotate di impact factor (IF) complessivo superiore a 750. Le pubblicazioni in lingua inglese edite dal 1984 sono state citate complessivamente 14.847 volte con un indice di Hirsch pari a 56.
Come ha vissuto e vive Massimo Puoti la paura della pandemia ed il notevole disagio legato alle indispensabili misure restrittive?
All’inizio trovandoci tutti davanti ad un’infezione ed una malattia sconosciuta devo confessare che i sentimenti predominanti sono stati due: il timore per le possibili conseguenze dell’esposizione ad un virus ignoto nel personale medico e del comparto del mio reparto e del mio ospedale. Questo anche in ragione delle notizie che arrivavano dagli altri ospedali dove colleghi ed amici si erano contagiati ed avevano presentato in alcune circostanze quadri di malattia di una certa gravità. Questo aveva creato molta angoscia in chi sentiva il senso della responsabilità delle vite dei propri colleghi e collaboratori. L’angoscia per dover gestire una malattia grave e rapidamente progressiva in tanti soggetti per lo più anziani e polipatologici, ma che avevano una loro ottima qualità di vita che gli consentiva una vita sociale e familiare attivissima abbiamo vissuto al telefono con i loro parenti il dolore della perdita di una generazione che aveva dato tanto al nostro paese ed ad ogni singolo familiare. Peraltro io ho perso per questa malattia una persona a me carissima per cui questo dolore è stato particolarmente vivo. C’è stata una fase di studio “matto e disperatissimo” di tutta la letteratura che usciva, spesso anche prima della accettazione da parte delle riviste internazionali. Questa fase dura tuttora. E’ stato difficile distinguere il grano dal loglio, ma leggendo, studiando e confrontandoci ogni giorno sui casi clinici che vedevamo siamo stati in grado di definire protocolli di terapia e di gestione del rischio che hanno permesso di mitigare i timori iniziali. Poi, mano a mano che comparivano le buone notizie sui vaccini ed a partire dal giorno in cui si sono somministrate le prime dosi, abbiamo intravisto l’uscita dal tunnel. Per quanto riguarda le restrizioni, occupando le nostre giornate tra le 5-6 ore trascorse a casa e le 18 ore di lavoro in ospedale devo dire che non ce ne siamo accorti. In più sentivamo la solidarietà ed il sostegno di tutti gli Italiani. Ad ottobre con l’ondata autunnale è stata molto dura; abbiamo visto la situazione che riprecipitava, mentre la gente sentiva forte il morso delle restrizioni sulla propria qualità di vita e sulle possibilità di guadagnarsi da vivere. Sicuramente tra ottobre e novembre c’è stato il momento più duro. Poi il vaccino ha cambiato tutte le prospettive.
Sulla base della sua consolidata esperienza di infettivologo se la sente di rassicurare i nostri lettori o pensa che dovremmo aspettarci una quarta ondata del Coronavirus?
È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro, ma sono un inguaribile ottimista e mi piace pensare che avremo ancora a che fare con questo virus e questa malattia, ma sarà un fenomeno molto limitato che non configurerà una vera e propria ondata e che soprattutto non “dirotterà” il lavoro dei nostri ospedali, consentendo di riprendere l’attività quotidiana di cura di tutte le persone che in questo periodo sono “rimaste indietro”. Ovviamente non bisogna mollare sulle cautele in ospedale e nella vita comune e soprattutto bisogna vaccinare.
Quali le cure più opportune per chi contrae il virus?
Abbiamo nuove cure per la fase precoce e inziale della replicazione virale che possono consentirci di mitigare la malattia nei soggetti a maggior rischio di sviluppare forme gravi: anticorpi monoclonali oggi e domani farmaci antivirali somministrabili per bocca a domicilio. In ospedale, fin dalla metà di marzo abbiamo imparato ad usare il cortisone in chi aveva bisogno di ossigeno, un antivirale, il remdesivir, e la profilassi antitrombotica con eparina. Oggi le linee guida internazionali ed i risultati di studi a cui abbiamo partecipato ci offrono la possibilità di usare farmaci modulanti la risposta infiammatoria come Tocilizumab e Baricitininb e possibilmente altri farmaci della stessa classe come terapia di “rescue” in coloro i quali non rispondono al cortisone. Attendiamo una indicazione formale di AIFA per poterli usare in maniera estensiva al di fuori di studi controllati, seguendo le linee guida internazionali. In più le modalità di supporto all’insufficienza respiratoria si sono sempre più adattate alla malattia e ci hanno consentito di salvare tante vite. Come medici devo dire che dobbiamo tutti imparare ad evitare due errori fondamentali: usare il cortisone a domicilio in chi non ha bisogno di ossigeno e prescrivere a domicilio farmaci senza una provata efficacia al di fuori di studi clinici. L’immunizzazione di gregge sembra essere l’unica vera chanche che abbiamo per non contrarre il virus o, almeno contrarlo in una forma meno aggressiva.
Eppure molti sono preoccupati per gli effetti, talvolta letali di alcuni vaccini. Cosa pensa Lei a riguardo?
È un fenomeno estremamente raro la comparsa della piastrinopenia e della trombosi indotta, presumibilmente, da una reazione autoimmune che potrebbe essere correlata al virus “trasportatore” dell’informazione genetica che determina la sintesi di antigeni capaci di indurre una reazione protettiva. È infinitamente più pericoloso il COVID-19 rispetto al vaccino. Purtroppo c’è stata una comunicazione molto contraddittoria sia da parte dell’industria che da tanti più o meno presunti “opinion leaders” onnipresenti in vari talk show televisivi; i tentennamenti, a mio avviso ingiustificati, di AIFA hanno fatto il resto. Per questo il rischio percepito della vaccinazione da parte della popolazione è estremamente superiore a quello reale.