Matteo Rossi: “Un vero campione si crea con talento e forza di volontà”
24 Agosto 2023La fase pandemica più acuta sembra essere oramai alle spalle anche se i continui colpi di coda non lasciano del tutto tranquilli. Come ha vissuto, come vive, come ha affrontato e come affronta questa situazione di grande difficoltà per il mondo dello sport? Come ha gestito la paura del contagio ed il disagio legato alle severe misure restrittive?
Riguardo a come ho affrontato il periodo della pandemia, posso rispondervi con una affermazione magari un po’ insolita: l’ho vissuta, fortunatamente, bene. Prima dello scoppio pandemico io praticavo principalmente atletica leggera nelle varie discipline di mezzofondo e fondo (1500m / 5000m / cross ecc); ovviamente con l’avvio della quarantena era molto difficile poter proseguire determinati allenamenti, quindi mi sono dovuto adattare. La mia più grande fortuna è stata vivere a L’Aquila, dove il problema della pandemia si è sentito meno rispetto ad altre città e la presenza di boschi e zone naturali isolate è molta. Quindi in quel periodo, oltre ai vari esercizi fisici di potenziamento in camera, riuscivo a fare qualche lavoro di corsa anche nel bosco dietro casa. Oltre ad essere stati una momentanea salvezza, per la salute fisica e mentale, quegli allenamenti isolati si sono rivelati fondamentali per il cambiamento futuro della mia carriera da Trail Runner, perché, per esigenza e costrizione, ero riuscito a trasferire i lavori da pista su sentieri tecnici nei boschi, fatto che mi ha portato, all’inizio involontariamente, ad una iniziale preparazione per la corsa in montagna. È stato poi fondamentale anche il secondo periodo della fase pandemica, quando cominciavano ad addolcirsi alcune restrizioni e si potevano organizzare le prime manifestazioni sportive. Nonostante questo però, in quel periodo, la pista era ancora off limits perché ancora ingestibile in termini di assembramenti tra atleti. Al contrario le manifestazioni all’aperto, come il Trail Running e la Corsa in Montagna, avevano ripreso a organizzare gli eventi più gestibili in termini sicurezza. Quindi per cercare di rimettere in moto il prima possibile la stagione agonistica, io e il mio team abbiamo deciso di prendere parte ad alcune gare in montagna, e non perdere l’allenamento. Quelli che dovevano essere semplici test per vedere la condizione di forma, si sono trasformati, uno dopo l’altro, in tanti successi personali e nella scoperta di una grande passione. A distanza di tre anni dalla pandemia ora sono un atleta di corsa in montagna professionista, e credo che se non ci fossero stati quegli allenamenti, in parte clandestini, nei boschi, a quest’ora non sarei qui. E da quel periodo storico terribile delle nostre vite (sportive e non), ho ricevuto una grande opportunità, e per abitudine guardo sempre il bicchiere mezzo pieno.
Insieme alle restrizioni i tentennamenti del mondo politico hanno causato gravi danni allo sport, soprattutto a quello, cosiddetto, minore. Cosa è successo, in particolare, nella sua specialità?
È innegabile che durante il periodo della pandemia il mondo dello sport abbia avuto un crollo importante in termini di sicurezza e considerazione da parte dell’opinione pubblica. A pagare il conto più salato però sono stati i vari sport “minori” e soprattutto quelli di contatto. Eravamo entrati in un momento storico in cui se il proprio sport non aveva abbastanza importanza mediatica o semplicemente non si riusciva a garantire una sicurezza, si tendeva ad abortire gli eventi o a dare spazio ad altri che venivano ritenuti più importanti. In particolare l’atletica leggera viveva un periodo abbastanza buio, perché nonostante oggi abbia una maggiore visibilità grazie alla spinta mediatica data dalle olimpiadi di Tokyo, prima e durante la pandemia era considerata molto meno rispetto ad oggi. Ma in particolare il problema principale era sempre quello di non poter creare assembramenti prima, durante e dopo le competizioni. Mi ricordo di alcune iniziative e proposte che venivano discusse e testate a quei tempi per sopperire al problema principale delle gare di mezzofondo e fondo, ovvero la scia di ossigeno che si rilasciava a eventuali atleti inseguitori che potevano venire contagiati, che, con il senno di poi, strappano un sorriso; parlo ad esempio di maschere su tutto il volto fatte di plexiglas o far correre distanze più lunghe di un 800m su un’unica corsia per ogni atleta.
Non si può dire lo stesso però della disciplina della Corsa in Montagna, che al contrario di molti sport è riuscita a sfruttare al meglio il periodo iniziale dopo la quarantena con le prime agevolazioni rispetto alle restrizioni, per due motivi in particolare: uno perché essendo un’attività all’aria aperta permette di non doversi limitare ad appoggiarsi a palazzetti chiusi e fornire la massima sicurezza in termini di spazio, due perché la Corsa in Montagna ha un target più ampio rispetto agli altri sport agonistici, dando la possibilità di partecipazione non solo agli atleti professionisti, ma anche a molti amatori e appassionati di sport e natura che si divertono semplicemente nel cimentarsi in questa disciplina. Il connubio tra l’essere uno dei primi sport a riaprire le attività dopo la pandemia e il bisogno comune della maggior parte delle persone di voler uscire dopo mesi di reclusione, ha permesso alla Corsa in Montagna di avere una crescita esponenziale in termini di partecipazione. Non sono mancate anche in quel momento le iniziative per rispettare le norme determinate dal Covid, come fare partenze sfalzate distanziando ogni atleta per 30 secondi sulla partenza per poi fare un calcolo del tempo di percorso tramite chip, partire tramite una griglia schierata con le mascherine e mantenere la propria mascherina per i primi metri di gara, o addirittura dedicare uno staff intero su un percorso per 48 ore, dando la possibilità agli atleti di partecipare scegliendo ognuno un momento diverso per fare la gara seguiti solo tramite gps, senza creare assembramenti.
Chi è stato a spingerla all’attività agonistica? o si è trattato di una folgorazione magari guardando ai modelli dei grandi campioni?
Ho iniziato a correre come tanti ragazzi, in prima media ho vinto la classica campestrina che organizzavano le scuole della mia città e da lì non ho più smesso. Amo correre sempre e ovunque. Il mio punto di forza sono stati e sono i miei genitori. Oltre al fatto che mio padre corre da sempre per passione, entrambi mi spronano e mi aiutano in questo percorso dal primo momento, seguendomi anche, quasi a ogni gara, con il camper. Riguardo invece ai modelli a cui mi ispiro anche lì sono stato fortunato, perché non ho mai avuto bisogno di un modello lontano a cui guardare, mi sono bastate le figure che hanno fatto parte del mio lungo percorso sportivo e che ora rientrano nelle mie più care amicizie, come Leonardo Puca (ex Maglia azzurra nei 400hs) o Gaia Sabbatini (Maglia azzurra, più volte campionessa italiana ed europea negli 800 e nei 1500) e tanti altri che sono o sono stati campioni nelle loro rispettive discipline, con cui ho avuto e ho il piacere di condividere tanti momenti sportivi e non. Tutti loro mi hanno fatto crescere e dato la voglia di essere al loro livello, e per questo gli sarò sempre grato.
Una menzione va data anche a due miei grandi allenatori, Marcello Vicerè che ha creduto in me fin da piccolo e mi ha formato, e Massimo Santucci con cui ora mi impegno per arrivare insieme sempre più in alto.
Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?
Sono sempre stato del parere che un vero campione si crea grazie a due componenti: talento (fisico e mentale) e forza di volontà. Difficilmente grandi campioni hanno raggiunto i loro obbiettivi senza queste doti. Sono anche convinto del fatto che il talento senza la forza di volontà possa diventare qualcosa di limitativo, finendo per rimanere sugli allori dove la genetica ti ha portato senza però riuscire a superare magari i propri limiti. Al contrario la forza di volontà permette di esprimersi al massimo e avere la capacità di poter superare le difficoltà. Soprattutto nel raggiungimento dei propri obbiettivi è fondamentale la forza di volontà, perché ti permette di poter portare sempre più avanti le doti naturali raggiungendo target sempre più elevati, anche a costo di metterci più tempo.
Per di più ci sono alcune discipline dove la forza di volontà diventa una componente necessaria se si vuole crescere, soprattutto negli sport individuali dove manca la compagnia o dei momenti ludici, come la corsa. Durante un allenamento intenso, in inverno con il brutto tempo, in completa solitudine, è lì che emerge la forza di volontà, e non c’è talento che regga da solo.
Se dovesse dare qualche “consiglio utile” ai ragazzi che si avvicinano alla sua specialità, cosa suggerirebbe?
La corsa in montagna è una disciplina stupenda e molto apprezzata proprio perché può avere molteplici target a cui fare riferimento. Nella maggior parte degli eventi si possono trovare Amatori o appassionati della natura che affrontano il percorso con il proprio passo godendosi i paesaggi naturalistici. Si possono trovare anche molti atleti di altre discipline (ciclisti, triatleti, atleti spartan Race, alpinisti e sciatori di fondo ecc..), dato che la corsa in montagna grazie ai suoi percorsi tecnici può diventare propedeutica per una preparazione o per un rinforzo per prevenire infortuni futuri. Mentre, per chi ha l’interesse di avvicinarsi a questa disciplina per un puro interesse agonistico, posso dire che deve prepararsi ad uno sport di sofferenza, costringendo a volte il proprio fisico all’estremo e a dover mantenere una gran concentrazione per una salvaguardia personale, sempre in pieno rispetto degli avversari e della natura. Dopo questa faticosa dedizione si può trovare una disciplina che ti regala molte soddisfazioni, che ti porta a correre in paesaggi naturalistici meravigliosi, facendo parte di una community estremamente positiva, empatica e solidale, e nel mondo dello sport non è cosa da poco, come nella vita.