Mattia Corsini: “Spirito, tecnica e corpo le tre componenti fondamentali delle arti marziali”
4 Luglio 2022La fase pandemica più acuta sembra essere alle spalle. Come vive e ha vissuto la situazione? Come l’ha affrontata? Come ha gestito la paura del contagio e il disagio legato alle misure restrittive?
Inutile negare che il disagio è stato grande, ma credo necessario. Io sarei stato ben più prudente dei nostri politici, ma è piuttosto evidente che nessun paese in occidente avrebbe realisticamente potuto fermarsi completamente, pena il collasso economico, quindi è stata fatta la scelta che viene fatta sempre: penalizzare lo sport, lo spettacolo, la cultura. Purtroppo questa tendenza politica è ben radicata nella testa degli stessi elettori, basti ricordare la fobia irrazionale suscitata dai poveri podisti isolati che durante il primo lockdown, senza infrangere alcuna regola, si sono visti guardar male e insultare in ogni città di Italia. Il nostro problema non è il covid, ma che in Italia lo sport non gode di alcun rispetto, è visto come un passatempo giovanile del tutto sacrificabile, quasi un capriccio, e non come un indispensabile strumento di benessere e gratificazione personale, quando non una professione a tutto tondo che richiederebbe ben altre tutele. Personalmente, ho accettato comunque di buon grado le limitazioni allo sport dovute alla necessaria profilassi, perché come istruttore ho sempre sentito la necessità di dare il buon esempio. Chi si pone come istruttore o modello deve essere irreprensibile, e penso sia nostro dovere anche calmare le persone e invitare alla prudenza e alla salvaguardia personale. Ho udito “maestri” invitare alla disobbedienza e rifiutare qualunque protocollo sanitario, di fatto esponendo i propri allievi (e relative famiglie) a gravi rischi. Questo sì che ci mette in cattiva luce come movimento e disincentiva il governo ad agevolarci. Durante il periodo pandemico, mi sono concentrato sui miei studi personali, sugli allenamenti in solitaria e ho cercato di mantenere unito il gruppo di allievi anche con lo strumento delle lezioni online che ho offerto gratuitamente come diretta Facebook. Oltre che con la condivisione di contenuti di tecnica e preparazione atletica.
Insieme alle restrizioni, i tentennamenti della politica hanno causato molti disagi al mondo dello sport, specie quello minore. Cosa è successo alla sua socialità?
Brevemente, l’ASD del mio maestro di muay thai ha dovuto chiudere i battenti, non riuscendo a pagare l’affitto dei locali e non avendo ricevuto alcun ristoro. Situazione odiosa, ma siamo in buona compagnia. Molti miei amici istruttori hanno vissuto di sussistenza, con ristori del tutto insufficienti. Altri, che avevano qualcosa da parte, sono riusciti a far fronte alle perdite e a riaprire, ma non navigano affatto in acque tranquille. Ho avuto a che fare con alcuni esperimenti di successo basati sulle lezioni online gratis e a pagamento. Ne ho seguite anch’io parecchie, con tutti i limiti dovuti all’assenza di contatto, e nel complesso le trovo un esperimento pregevole, da ripetere e rivalutare anche in condizioni normali. Purtroppo il mondo delle arti marziali ha subito troppo passivamente la crisi senza nemmeno provare ad adattarsi. Sarà il nostro attaccamento alla tradizione che ci frega, ma direi che avremmo potuto fare di meglio, se paragonati ad altri sport o al mondo del fitness che ha saputo destreggiarsi creando vere “palestre online”. E non possiamo dimenticare quanto tutto ciò abbia alimentato il nostro senso di isolamento e alienazione sociale, venendo di colpo a mancare l’ambiente e le persone che per un atleta fanno parte del quotidiano.
Chi è stato tra gli amici o in famiglia a spingerla verso l’attività agonistica? Oppure si è trattato di una sua folgorazione, magari guardando ai modelli dei grandi campioni?
Si è trattato di un mio percorso personale. La mia famiglia ne è sempre stata tutt’altro che soddisfatta, per i rischi connessi, ma ad un certo punto della mia vita marziale, anche se un po’ tardi, ho capito che il confronto agonistico è semplicemente imprescindibile per chiunque voglia fare il salto di qualità. E che la capziosa distinzione fra marzialista e atleta è unicamente funzionale alla sopravvivenza di situazioni di allenamento subottimali. Ho avuto a che fare per anni con maestri che condannavano aspramente il confronto tramite sparring anche solo fra allievi dello stesso corso di arti marziali, asserendo che “il combattimento è cosa da occidentali superficiali e ignoranti” o variazioni sul tema. Inutile dire che non è vero niente. Ogni volta che, forte del mio background tradizionale, ho cercato “ereticamente” il confronto con atleti di discipline più moderne e funzionali, ne ho tratto dure lezioni. E’ impossibile imparare a guidare l’auto senza guidare, a nuotare senza entrare in acqua, ed è impossibile imparare a combattere senza combattere. E il contesto migliore per farlo è certamente contro un atleta che come me quotidianamente si impegna al massimo per raggiungere il picco del livello psicofisico. In un contesto comunque regolamentato e con norme per la salvaguardia della salute. Non certo prevalendo in uno sparring da palestra contro qualche ragazzotto deallenato o qualche arzillo vecchietto. Non entro nemmeno nel merito di chi pensa di imparare qualcosa praticando unicamente esercizi marziali predeterminati con compagni di allenamento collaborativi o davanti allo specchio. Sono metodi che hanno una loro valenza, ma non sono sufficienti.
Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?
Le tre componenti fondamentali dell’arte marziale sono lo spirito, la tecnica e il corpo. Ci sono argomenti validissimi a sostegno dell’idea che ognuna di queste sia la più importante. Ciò che penso io è che nessuna componente deve oscurare le altre, e che ci sono momenti dove una conta più di entrambe le altre. Ma lo spirito non può mai venire meno e determina tutto il resto. La forza di volontà è una caratteristica dello spirito, senza il quale non solo non è possibile prevalere in combattimento, ma non è neppure possibile essere costanti, determinati e puntuali negli allenamenti, e per questa ragione non si potrà raffinare al massimo la tecnica né raggiungere la massima espressione fisica. Io sono il primo a sostenere che in qualunque disciplina sportiva o marziale il divertimento durante la pratica è fondamentale, ma questo non consente di superare i momenti duri, la stanchezza fisica e mentale, la convivenza con il dolore e il continuo processo di condizionamento e ricostruzione del proprio fisico e della propria mente. Solo uno spirito forte, una grande disciplina, una grande ambizione e determinazione può fare superare gli ostacoli. Ed è qualcosa che deve essere allenato e insegnato, per difficile che sia. Il mental coaching e il supporto psicologico devono essere una costante presenza nella vita di qualunque atleta di élite.
Se dovesse dare qualche consiglio utile ai ragazzi che si avvicinano alla specialità, cosa suggerirebbe?
Anzitutto il ragazzo dovrebbe trovare una disciplina che lo coinvolga e lo diverta al massimo. Il divertimento è la base nelle prime fasi, quando ancora non si può capire il senso di ciò che si fa e magari ci si deve ugualmente impegnare in lunghe e faticose sessioni di studio delle basi, che possono mettere alla prova le nuove leve. Dopo di che va compreso che gli atleti professionisti, per quanto siano un’ispirazione continua e un ottimo argomento di discussione, non devono diventare un modello di paragone, né come metodi di allenamento né come approccio tecnico-tattico ai combattimenti e all’esercizio. Sono professionisti, sono lì perché hanno compiuto un percorso lunghissimo di cui nessuno di noi vede che pochi attimi sui social network. Ho avuto esperienza di ragazzi che talvolta si scoraggiano sia perché si paragonano ad essi in negativo, sia perché pretendono di scimmiottare le loro movenze quando ancora non hanno acquisito solide basi, andando incontro a brutte sorprese e dure lezioni. O magari giovani atleti che si sono seriamente infortunati seguendo programmi e metodi fuori dalla propria capacità fisica e tecnica. Il professionismo è un obiettivo, ma non è per tutti e in ogni caso non subito. I migliori professionisti hanno avuto lunghe e proficue carriere dilettantistiche nelle rispettive federazioni. Penso a campioni olimpici come Giovanni Parisi e Vasyl Lomacenko. In generale, la fretta di arrivare ai risultati è un problema. Mi sento vecchio solo a dirlo, ma dovremmo, prima di pensare agli obiettivi, imparare ad apprezzare e assaporare ogni momento percorso. Il divertimento, e la qualità del gruppo di allenamento, la facilità con cui si ottiene rispetto e amicizia da esso, sono un segnale prezioso per capire di aver trovato un buon ambiente in cui crescere.