Medici di famiglia, ok visite domiciliari ai pazienti Covid
24 Dicembre 2020L’Accordo Nazionale Collettivo attribuisce ai medici di medicina generale ed ai pediatri di libera scelta, un ruolo proattivo nel rafforzamento delle attività territoriali di diagnostica di primo livello.
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso proposto dalla Regione Lazio contro la Sentenza emessa dal TAR Lazio che vietava ai medici di famiglia di poter effettuare le visite domiciliari ai pazienti affetti da Covid, in quanto compito esclusivo delle Usca. In tal caso il Consiglio di stato ha sostenuto che vietare le visite domiciliari ai pazienti Covid da parte dei medici di famiglia, rappresenterebbe un grave errore esegetico, capace di depotenziare la risposta del Sistema sanitario nazionale alla pandemia in corso e di provocare un ulteriore nonché intollerabile disagio a detti pazienti. Nel corso del giudizio di primo grado, i Giudici del TAR avevano sostenuto che la norma di legge, con cui si prevedeva l’istituzione delle Usca, per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid che non necessitavano di ricovero ospedaliero, rendeva illegittima l’attribuzione di tale compito anche ai medici di medicina generale, i quali avrebbero dovuto, invece, occuparsi solo ed esclusivamente dell’assistenza domiciliare ordinaria in favore dei malati non Covid.
Ebbene, per il Consiglio di Stato, sarebbe da ritenersi erronea l’affermazione secondo cui la ratio dell’articolo 4 bis del D.L. 18/20, con cui sono state istituite le Usca, deve individuarsi nella necessità di non distrarre i medici di famiglia dal proprio compito istituzionale, atteso che i compiti di assistere a domicilio i pazienti affetti da Covid non sarebbero affatto avulsi dal Servizio sanitario, il quale in forza dell’articolo 4 del DPCM del 12.01.2017, avente ad oggetto i LEA, e dell’articolo 33 dell’Accordo nazionale che riguarda i medici di medicina generale, assicura le visite domiciliari a scopo preventivo, diagnostico, terapeutico e riabilitativo da parte del medico di medicina generale che ha in carico il paziente, senza che si debba e possa, in alcun modo, discernere se il paziente ha o meno malattie infettive.
Ed, ancora, per i Giudici d’Appello, tali compiti sarebbero confermati anche dal recente Accordo Nazionale Collettivo che attribuisce ai medici di medicina generale ed ai pediatri di libera scelta, un ruolo proattivo nel rafforzamento delle attività territoriali di diagnostica di primo livello e di prevenzione nella trasmissione del Covid.
Per tali motivi, nessuna distrazione dai propri compiti di istituto vi sarebbe, posto che la visita domiciliare effettuata in favore del proprio assistito, costituisce parte integrante dei compiti del medico di medicina generale ed, a maggior ragione, proprio nell’attuale fase epidemiologica dove l’elevatissimo numero dei contagi richiede sinergia degli interventi e pluralità di risorse mediche.
Pertanto, sostiene ancora il Consiglio di Stato, il senso della disposizione emergenziale è quello di alleggerire unicamente i medici di medicina generale, i pediatri ed i medici di continuità assistenziale, dal carico di lavoro derivante dalla pandemia, affiancando loro una struttura, le Usca, capace di intervenire a domicilio del paziente, a richiesta dei medici di famiglia, ove questi ultimi siano temporaneamente indisponibili poiché già impegnati in un altro intervento e, quindi, non possano recarsi al domicilio del paziente o ritengano, in piena scienza e coscienza, nell’ambito della propria autonoma e libera valutazione medica, che sia necessaria o preferibile l’intervento della struttura di supporto. Quindi, nessuna deroga ai LEA ma garanzia della loro effettività attraverso un supporto straordinario e temporaneo, da parte delle Usca, destinato ad operare in sinergia e nel rispetto delle competenze e prerogative dei medici di medicina generale, dei pediatri e dei medici di continuità assistenziale.
In conclusione, i Giudici del Consiglio di Stato affermano che un divieto per i medici di medicina generale a recarsi al domicilio dei propri pazienti, affetti dal Covid, così come sostenuto dai Giudici del TAR, costituirebbe un grave errore esegetico, che depotenzierebbe la risposta del Servizio Sanitario alla pandemia e provocherebbe un ulteriore ed intollerabile disagio ai pazienti, i quali si vedrebbero proiettati in una dimensione di incertezza e di paura oltre a sentirsi abbandonati dal proprio medico di fiducia.