Medici ospedalieri, 1/3 non è felice del suo lavoro
22 Febbraio 2023Un medico ospedaliero su 3 è disposto a cambiare lavoro per avere più tempo libero e stipendi più alti.
Fra i medici più avanti con l’età compare anche l’esigenza di una maggiore sicurezza sul lavoro. La fascia di età più in crisi tra i 45 e i 55 anni.
Più della metà (56,1%) tra medici e dirigenti sanitari è insoddisfatta delle condizioni del proprio lavoro e 1 su 4 (26,1%) anche della qualità della propria vita di relazione o familiare. Un sintomo inequivocabile di quanto il lavoro ospedaliero sia divenuto causa di sofferenza e di alienazione.
Una insoddisfazione che cresce con l’aumentare della anzianità di servizio e delle responsabilità, tanto che i giovani medici in formazione (24,6%) si dichiarano meno insoddisfatti dei colleghi di età più avanzata (36,5%), tra i quali si raggiunge l’apice nella fascia di età tra i 45 e i 55 anni, un periodo della vita lavorativa in cui si aspetta quel riconoscimento professionale che il nostro sistema, però, non riesce a garantire.
Per quanto riguarda i cambiamenti desiderati nel lavoro, il podio è occupato da incrementi delle retribuzioni con il 63,9% delle risposte, e da una maggiore disponibilità di tempo con il 55,2%, con una prevalenza del fattore tempo per le donne (39,5%) sugli uomini (47,56%) che invece mirano, in maggiore misura, a retribuzioni più adeguate. Si evidenzia anche come per gli over 65 (15,8%) sia prioritaria una maggiore sicurezza rispetto ai colleghi più giovani (6,3%). Al contrario, l’esigenza dei giovani di una maggior disponibilità di tempo per la famiglia e il tempo libero è più alta (37,9 %) rispetto ai colleghi con maggior anzianità di servizio (27,6%). In generale, l’aumento delle retribuzioni e del tempo libero hanno un peso maggiore nelle aspettative rispetto alla progressione di carriera.
Il 36%, ovvero quasi 1 su 3, specie nelle classi di età tra i 45 e i 55 anni, appare disposto a cambiare il lavoro attuale. Il 20% degli intervistati si dichiara ancora indeciso, segno del fatto che almeno una volta si è interrogato sul futuro della professione e sul suo ruolo all’interno del sistema. La crisi della professione è più sentita al sud rispetto al nord: si va dal 53,6% del nord, passando al 56,3% del Centro per finire al sud e Isole con ben il 64,2% di insoddisfatti. Ma il dato appare – osserva il sindacato – talmente diffuso da “configurare quasi una patologia endemica con la quale convivere e per la quale non esiste vaccino o terapia”.
Pesa il fatto che l’Italia spenda solo il 6.1% del Pil per la sanità, la cifra più bassa tra i paesi del G7, ben al di sotto della media europea di 11.3% con il costo della sanità privata pari al 2.3%, poco sopra la media europea.
Occorre immaginare – propone l’Anaao Assomed – un nuovo modello che tenga nella dovuta attenzione la presa in carico del paziente, sia cronico che in acuzie, aumentando posti letto e personale, e implementando quella medicina di prossimità che appare oggi sempre più teorica, liberando i professionisti dalla medicina di carta che sottrae tempo alla cura.