Mery Azman, il Covid ha messo la vita in stand-by
27 Aprile 2021Il commissario all’emergenza Covid, il generale Francesco Paolo Figliuolo, al Corriere della Sera: “Nel trimestre che va da aprile a giugno avremo 45 milioni di dosi, vuol dire 15 milioni al mese. È la quantità giusta”. E poi aggiunge: “Sbaglia chi pensa di poter trascurare anziani e fragili. Anche io voglio riaprire l’Italia, ma soltanto quando avrò messo al sicuro chi rischia la vita”. Il Governo Draghi ed i suoi consulenti sono in prima linea a fronteggiare, a testa alta, la pandemia, ma quanti danni hanno arrecato il virus ed i lockdown alla salute psicofisica-emotiva degli italiani?
Ne parliamo con un’Esperta di Pubbliche Relazioni, che conosce bene gli uomini dal punto di vista psico-emotivo. Mery Azman, Esperta nella Consulenza Risorse Umane, nella Relazione di Aiuto e in Relazioni Pubbliche e Convegni.
Come ha vissuto e vive Mery Azman la paura della pandemia ed il disagio legato alle indispensabili misure restrittive?
Il tempo improvvisamente si è fermato.
Alla frenesia, alla “rincorsa” continua di quel tempo che non bastava mai, è subentrato il momento dell’attesa. Tutte le attività sono state sospese da un momento all’altro, la vita stessa sembra stata messa in stand-by.
Il “bollettino giornaliero” ci ha portato in uno stato di “guerra”, in una situazione di grande emergenza e di paura, in cui tutto può finire in un attimo e ogni certezza viene minata. Vale tutto e il contrario di tutto.
All’improvviso ogni cosa è stata diversa, ogni abitudine cambiata, le priorità completamente riviste.
E che dire delle relazioni sociali, per me tra l’altro importanti a tal punto da farne una professione. Ogni interazione è stata per lo più “confinata” all’interno di uno spazio “tecnologico”: quanti webinar e videochiamate per “surrogare” gli incontri in presenza!
L’incredulità, lo smarrimento e lo scoramento sono stati inevitabili, soprattutto all’inizio.
Tutti noi abbiamo però avuto un dono: il tempo.
Quante volte l’abitudine e la frenesia quotidiana ci hanno portato ad andare avanti con automatismi, senza farci troppe domande, rincorrendo attività e saturando l’agenda a tal punto da sovrapporre gli impegni. Oggi siamo stati costretti a modificare modi e ritmi di vita. Abbiamo avuto la possibilità di cimentarci in attività che magari non facevamo da anni, ma il bello è stato riscoprire noi stessi, le nostre risorse e il nostro valore, validare, rivedere o affinare i nostri obiettivi per dare ancora di più un significato profondo alla nostra esistenza.
Come professionista consulente di carriera mi sono trovata ad aiutare persone che hanno deciso di andare in pensione anticipata, altre che hanno voltato pagina e deciso di cambiare lavoro. Non volevano più perdere tempo dedicandosi a qualcosa che non sentivano prioritario nella loro esistenza. Ed anche, la riscoperta di legami familiari e amicali, l’abbandono di situazioni di comodo, l’esplosione di conflitti latenti e la gestione di quelli in essere, sono alcuni temi che sono emersi più volte.
Nonostante abbiamo la sensazione che il tempo si “sia fermato” e siamo limitati nella possibilità di “fare”, stiamo vivendo un’incredibile accelerazione e trasformazione sociale con un conseguente “riassetto” che richiede ruoli più consapevoli, “negoziati” e “condivisi.
Grazie alle Sue competenze relazionali, in campo lavorativo, ha registrato Lei problematiche e danni nei rapporti interpersonali specifici a seguito del disagio pandemico?
Nei contesti aziendali sono stati istituiti dei protocolli di sicurezza che inevitabilmente limitano la libera espressione della persona. Innanzitutto, il rispetto della distanza, la mascherina e il timore del contagio, concorrono a limitare l’instaurarsi di un dialogo disteso e disinvolto tra i colleghi e le interazioni sono spesso ridotte all’essenziale. Inoltre, la rotazione del personale in ufficio limita la condivisione e il confronto, e rischia di spegnere il diffondersi dello spirito di squadra. Ed ancora, i passaggi di informazione sono più tortuosi e i processi decisionali rischiano di essere rallentati. Di fatto, essere fisicamente presenti in ufficio, permette di condividere in tempo reale delle notizie e questioni lavorative, confrontarsi e parlarsi. Basti pensare ad esempio che semplicemente trovarsi davanti alle macchinette a prendere un caffè, oltre a favorire il diffondersi di interazioni positive, può permettere di aggiornarsi in tempo reale su temi di lavoro. Oggi invece le persone di uno stesso ufficio, fanno spesso fatica a comunicare tra di loro, magari il collega che può essere dirimente è in smart working e non lo si riesce a rintracciare.
E cosa dire del collega che risulta positivo al Coronavirus, la tensione in ufficio sale alle stelle!
Nelle abitazioni, lo smart working o meglio “lavoro a distanza”, può essere particolarmente difficile da gestire. Ad esempio, in una famiglia con figli o con genitori anziani dove i lavoratori sono contemporaneamente genitori, figli, moglie o marito, non ci sono più confini. I ruoli si sovrappongono ed è consuetudine, in particolare per le mamme, vedere i figli che giocano sotto al tavolo mentre loro sono impegnate in qualche webinar di lavoro! Le donne, tra l’altro, sono davvero sotto pressione e non hanno un istante di tregua, depositarie della “cura” familiare, si prendono in carico lavoro e famiglia e faticano a trovare lo spazio necessario per se stesse e per ricaricarsi.
Un’adeguata organizzazione e l’andarsi incontro uno all’altro sono una sfida quotidiana ma permettono di evitare situazioni di tensione che purtroppo possono sfociare in importanti conflitti familiari.
“Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri.” (ALDA MERINI) Quanta solitudine, fragilità e vulnerabilità procura il distanziamento sociale?
Oggi i nostri confini sono di grande lontananza l’uno dall’altro, dobbiamo mantenere una distanza per proteggerci, ognuno può essere il “nemico” e sembriamo essere soli nel nostro mondo, che dobbiamo “proteggere”. Nessuno si può avvicinare, può essere fatale!
Camminando per strada gli sguardi nemmeno si incrociano, o se lo fanno, è solo per un istante furtivo! E quanti occhi spenti e tristi incrocio, con volti che nemmeno non si vedono più, coperti da mascherine che tolgono il respiro.
Ad un mio saluto al vicino di casa che mi conosce da trent’anni, mi sono sentita rispondere: “scusi ma noi ci conosciamo?!!”. Con la mascherina non mi riconosceva più!!! Il volto che contraddistingue ognuno di noi non è più visibile.
E se incontriamo qualcuno, meglio dire poche parole furtive, per evitare ogni veicolo di contagio.
Noi siamo però nati per interagire e stare con gli altri, siamo “animali sociali”.
Grazie all’incontro con l’altro la nostra energia si propaga e si moltiplica, l’umore ne beneficia, c’è uno scambio di idee e ne nascono continuamente di nuove, c’è evoluzione.
Oggi i casi di sofferenza, dolore e solitudine, continuano a moltiplicarsi. Le persone sono allo stremo, più passa il tempo e si sentono senza forze, non riescono a trovare l’energia e l’entusiasmo per lavorare o svolgere le attività quotidiane. La flessione dell’umore, l’apatia e il timore del futuro minano profondamente la qualità di vita. L’aumento di psicofarmaci e suicidi è cosa nota a tutti.
C’è anche un altro elemento particolarmente diffuso: la rabbia.
Le persone faticano a incanalare le energie e a trasformarle positivamente e unite all’insoddisfazione che provano, manifestano con maggiore facilità sentimenti di risentimento e di intolleranza.
La nostra fragilità è indiscussa, ma oggi abbiamo l’occasione di interrogarci sul nostro posizionamento nel mondo e possiamo fare qualcosa. Innanzitutto prenderci cura di noi stessi e degli altri con un atteggiamento responsabile.
In secondo luogo, valorizzare quegli “altri” da noi che abbiamo dato per scontati e magari mal tollerati e che ci accorgiamo, ci mancano quando siamo costretti a rimanere soli con noi stessi, come noi manchiamo a loro. Ognuno è fonte di ricchezza per l’altro e di evoluzione, siamo tutti interconnessi.