Mesotelioma pleurico, dubbi sulle nuove terapie
20 Marzo 2022Perplessità sulle nuove terapie per fronteggiare il tumore della pleura. Uno studio pubblicato su ‘Jama Network Open’ avanza, infatti, diversi dubbi sulle terapie approvate come trattamento di prima linea del mesotelioma pleurico maligno (Mpm), grave forma di tumore correlata all’esposizione all’amianto. Gli autori del lavoro sono scienziati della Sbarro Health Research Organization (Shro) americana, del Gruppo italiano mesotelioma (Gime) e del Dipartimento di Biotecnologie mediche dell’università di Siena, che si sono avvalsi della collaborazione di un gruppo internazionale multidisciplinare di ricercatori da diverse istituzioni tra Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Italia e Israele. Tutti insieme, i firmatari evidenziano la necessità di rivedere a fondo l’impianto dei maxi-trial sui quali poggia il via libera a nuovi farmaci contro il cancro da amianto.
Il team spiega di avere condotto “una rigorosa revisione” dei tre studi clinici sulla base dei quali sono state autorizzate tre terapie di prima linea anti-Mpm messe a punto tra il 2003 e il 2021: le combinazioni di farmaci cisplatino/pemetrexed (trial Mps, 2003), cisplatino/pemetrexed/bevacizumab (trial Maps, 2016) e ipilimumab/nivolumab (trial Cm743, 2021). “Quello che abbiamo dimostrato – sintetizza Luciano Mutti, presidente del Gime, collaboratore Shro e professore a contratto alla Temple University di Philadelphia – è che per tutti e tre gli studi analizzati non ci sono evidenze sufficienti per far ritenere che queste tre terapie siano realmente in grado di migliorare la sopravvivenza dei pazienti con Mpm. I biostatistici in Israele che hanno analizzato i dati hanno ricostruito le curve di sopravvivenza dei tre studi e applicato un’analisi approfondita di tutti i risultati. Questo – sottolinea in particolare Mutti – ha fatto emergere che la sopravvivenza con l’ultima terapia proposta per questa neoplasia (immunoterapia ipilimumab/nivolumab) si sovrappone perfettamente a una di quelle ottenute con precedenti terapie già utilizzate, come platino/pemetrexed/bevacizumab”.
Come primo elemento, quindi, gli autori dell’analisi ritengono che “ogni nuova terapia proposta per il mesotelioma dovrebbe essere comparata con la combinazione ritenuta finora più efficace, ovvero la terapia che include il farmaco bevacizumab associato con chemioterapia, anziché la sola chemioterapia” come è stato nei trial esaminati. Tuttavia, aggiungono gli scienziati, “a sua volta la ricostruzione delle curve di sopravvivenza ottenute con chemioterapia associata a bevacizumab non ha fornito alcuna evidenza di maggiori benefici rispetto alla sola chemioterapia, e questo getta un’ulteriore ombra sull’efficacia di tutte e tre le terapie proposte”.
“Le sperimentazioni cliniche sono condotte in condizioni artificiali, che raramente corrispondono a ciò che accade nel mondo reale – osserva Antonio Giordano, ordinario di Anatomia patologica nel Dipartimento di Biotecnologie mediche dell’università di Siena, presidente Shro e docente alla Temple University – Il tipo di pazienti selezionati è spesso in condizioni cliniche significativamente migliori, quindi con miglior prognosi anche senza terapia, rispetto ai pazienti che si trovano nella realtà”.
Gli studiosi riflettono anche sulla “fragilità dei risultati sulla sopravvivenza. E’ emerso infatti – rilevano – che nei tre trial sui quali si basano le attuali terapie per il mesotelioma, lo spostamento anche di una piccolissima percentuale di pazienti da un braccio all’altro di ciascuno studio determina la perdita di significatività statistica dei dati sulla sopravvivenza dei pazienti trattati con il nuovo farmaco rispetto ai pazienti trattati con i farmaci di controllo”. Non solo: “Analogo effetto negativo sull’affidabilità dei trial analizzati deriva dal numero dei pazienti arbitrariamente esclusi dagli sperimentatori nell’analisi finale dei risultati”, definita in gergo tecnico “censura. In particolare, il numero dei casi ‘censurati’ nello studio che testato l’efficacia di ipilimumab e nivolumab è davvero troppo elevato e tale – rimarcano gli scienziati – da determinare un ulteriore punto critico di debolezza dei risultati ottenuti”.
“La nostra analisi – precisano Giordano e Mutti – affronta questioni chiave in oncologia clinica: in primis, quanto dobbiamo fidarci dei risultati di grandi studi clinici sponsorizzati? Quando il beneficio ottenuto è reale? Quanto è rilevante il cattivo disegno di questi studi, ad esempio nella scelta del braccio di controllo o nella selezione dei pazienti da trattare con la terapia sperimentale? La questione da valutare – concludono gli autori – è se i pochi miglioramenti ottenuti in varie neoplasie, in particolare con l’immunoterapia, siano davvero clinicamente rilevanti e aumentino davvero la sopravvivenza dei pazienti. Tanta strada c’è da fare, ma è anche uno stimolo per una maggiore ricerca preclinica e la progettazione di studi clinici condotti in modo rigoroso”.