Microplastiche e macrorischio
23 Agosto 2019A lanciare l’allarme sugli effetti, estremamente negativi sulla salute, di queste particelle è l’Organizzazione mondiale della sanità che chiede verifiche urgenti.
Insidiose al di là di ogni immaginazione, si insinuano praticamente dappertutto. Parliamo delle microplastiche per le quali sembra non ci siano argini che tengano: dalle più scontate bottiglie monouso fino alle falde acquifere che originano sorgenti “cristalline”. Sul rischio grave che queste comporterebbero per la salute non vi è certezza, occorrerà fare ulteriori approfondimenti, ma intanto il grido di allarme proveniente dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) non può non preoccupare.
A lanciare l’appello, infatti, è proprio l’Oms, che ha pubblicato il rapporto “Microplastics in Drinking Water”, in cui chiede un’ulteriore valutazione della presenza di queste sostanze nelle acque che beviamo e delle loro conseguenze sul nostro organismo.
I potenziali pericoli associati alle microplastiche presenti nell’acqua potabile, osserva l’Oms, sono di tipo fisico (collegato al loro accumulo) e chimico (collegato alla loro tossicità), ma vi è anche la possibilità che possano essere veicolo per l’ingestione di microbi patogeni. Dall’esame della letteratura scientifica disponibile, sono stati identificati solo nove studi che hanno misurato le microplastiche nell’acqua potabile e, nei singoli campioni, sono stati riportate da 0 a 10.000 particelle per litro. “In base alle informazioni limitate che abbiamo – afferma Maria Neira, direttore del Dipartimento di sanità pubblica e ambiente presso l’Oms – le microplastiche nell’acqua potabile non sembrano rappresentare un rischio per la salute ai livelli attuali. Ma abbiamo urgentemente bisogno di saperne di più”. I dati oggi disponibili, secondo il rapporto, sono infatti “estremamente limitati”, “con pochi studi completamente affidabili”, spesso realizzati utilizzando “metodi e strumenti diversi per campionare e analizzare particelle di plastica”.
È necessario quindi, chiede l’Oms, sviluppare “metodi standard per misurare la presenza e per studiarne le fonti, così come per valutarne le conseguenze sull’organismo.
Le microplastiche provengono dalla degradazione di oggetti e tessuti sintetici che entrano nel ciclo dell’acqua potabile, ad esempio attraverso le acque reflue o scarichi industriali, ma “anche le stesse bottiglie di plastica e i tappi possono esserne fonte”. Comprendono una vasta gamma di materiali, con diverse composizioni chimiche (come polietilentereftalato e polipropilene), diverse forme (fibre o frammenti) e diverse dimensioni (da 5mm a meno di 1 micrometro). Si ritiene che le microplastiche superiori a 150 micrometri vengano espulse dall’organismo con la digestione e “che anche l’assorbimento di particelle più piccole sia limitato”. Tuttavia, “l’assorbimento di nanoparticelle, può essere più elevato”, perché attraverso il sistema linfatico e il sangue possono raggiungere organi, come fegato e reni. I sistemi di trattamento delle acque reflue e potabili sono efficaci anche nella rimozione del 90% delle microplastiche ma una parte significativa della popolazione mondiale “attualmente non ne beneficia”.