Musicoterapia, Tony Tammaro: ovvero il primo antidepressivo senza effetti collaterali
27 Agosto 2024Metti una sera d’agosto, cu nu calor ca nun se respir; aggiungi che il caldo ti fiacca, cerchi l’altura per la frescura. Il Comitato Organizzatore Eventi di Castel Morrone pensa pure a te che affoghi in città, ed esibisce una Sagra delle Fresella che, solo a dirlo, già stai là, in cerca della villa comunale “Ganci-Pignatelli” dove si consuma l’evento. Perché, se la fresella morronese è una fresca delizia del palato e non confligge con diete ipocaloriche, può essere anche compatibile con chi ha intolleranze e scelte alimentari vegetariane e vegane, gli operatori sono disponibili a qualsiasi variazione sul tema.
Ma la vera star della serata è lui, il Maestro della musica comica e demenziale, fiorita negli anni ottanta del secolo scorso: Enzo Sarnelli, in arte Tony Tammaro, che riesce a radunare un folto pubblico di ogni età, accorso a farsi due sane risate, e a scivolare allegramente nei ricordi della perduta gioventù, un ossimoro che le canzoni canzonatorie di Tammaro brillantemente ci fanno superare.
Sarnelli si inserì, nei lontani anni ’80 del secolo passato, nel filone trash ma colto e satirico degli Squallor (che mai si esibirono dal vivo, trattandosi di professionisti, autori e parolieri di altissimo profilo, che hanno firmato le migliori canzoni italiane a partire dagli anni ’60 fino al ’90) e di Freak Antony e gli Skiantos (esponenti del rock demenziale ed iconoclasta della Bologna degli anni ’70), proponendo e giocando su di un tipico aspetto caratteriale che si manifesta nella popolazione compresa tra Terra di Lavoro e Interland napoletano: Il/La Tamarro/a.
E qui Tammaro, fraseggiando in vernacolo napoletano con cantilena nasale annessa, storpiando volutamente anche le parole in italiano, usando una base melodica che, nella migliore delle ipotesi, è un semplice blues in 12 battute (‘o trerrote) che arriva alla pancia dello spettatore, centra l’obiettivo e raduna un pubblico che più eterogeneo non si può. Dai ragazzini con bandierina gialla dove campeggia un supersantos da un lato e un apecar dall’altro, prontissimi a raccogliere l’invito a salire sul palco, all’anziano in deambulatore che arriva, si siede e fa il filmato. Trasversale come nessuno, sfodera tutto il repertorio che riesce a far entrare in oltre due ore di spettacolo, mai ripetitivo e godibilissimo, di scanzonata satira, col massimo rispetto (cit. di Tammaro stesso) per il filone della canzone napoletana e umoristica, il cui incipit più celebrato di sempre, resta il Canta Napoli! di Renato Carosone. Il pubblico, in delirio, fa da coro per ogni canzone proposta: c’è chi ride, chi accende l’accendino sventolandolo in aria con moto del pendolo e chi, più aggiornato, sostituisce la fiammella con l’app torcia dello smartphone.
Ci piace pensare a Tammaro come l’ennesimo menestrello che rielabora e attualizza, rivedendola e correggendola, l’Opera Buffa di settecentesca memoria, calandola sui tempi attuali; così come fecero a loro volta gli illustri Raffaele Viviani, Totò, Nino Taranto, Renato Carosone, Gegè Di Giacomo. E soprattutto ci piace trascorrere, in questi tempi cupi, un paio d’ore sotto l’effetto dell’antidepressivo più sicuro che c’è: ‘a resata.