Neuroscienze: le novità
18 Ottobre 2019A Bologna si è celebrato il congresso nazionale della Società italiana di neurologia. L’appuntamento ha riunito più di 2.500 specialisti provenienti da tutta Italia.
L’impatto dei disordini del ritmo sonno-veglia sulle patologie neurologiche come campanello d’allarme, le differenze epidemiologiche e terapeutiche tra uomo e donna in neurologia, la memoria come principale elemento per la diagnosi neuropsicologica delle fasi prodromiche della demenza, le terapie geniche nelle malattie neuro degenerative sono stati tra i principali temi del Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia che a Bologna ha nominato nuovo presidente della Società Scientifica; il professore Gioacchino Tedeschi, apprezzato docente dell’Ateneo “Luigi Vanvitelli” di Napoli.
“Un’importante novità – ha affermato il professore Gianluigi Mancardi, presidente della Clinica Neurologica Università di Genova – è la realizzazione di un bando di ricerca finanziato per la prima volta direttamente dalla Società Italiana di Neurologia: 120.000 euro a sostegno di 3 progetti di giovani ricercatori under 40 che operino nei 3 diversi territori italiani – nord, sud e centro – e che dovranno avere come obiettivo la realizzazione di studi clinici, epidemiologici, ricerche applicate o ricerche di base sulla “Neurologia di genere”.
Differenze importanti quelle tra uomo e donna, sia in termini di diverso funzionamento del cervello – maggiori capacità in abilità motorie e nell’orientamento spaziale per il sesso maschile, maggiore empatia e memoria soprattutto verbale nel sesso femminile – sia in termini di diffusione delle patologie neurologiche a causa degli ormoni femminili, sia come risposta alle terapie farmacologiche con maggiori effetti collaterali a svantaggio delle donne. Sta prendendo piede, come accadde 150 anni fa per la medicina pediatrica, una nuova strada della medicina che tiene conto delle profonde differenze uomo-donna e si indirizza quindi sempre di più verso una personalizzazione di genere, dalla diagnosi alla terapia.
Le patologie neurologiche in Italia, come in Europa e nel resto del mondo, fanno registrare numeri molto alti, destinati ad aumentare a causa del progressivo aumento dell’invecchiamento della popolazione: sono 1.000.000 le persone affette da demenza, di cui 600.000 quelle colpite da Alzheimer, mentre circa 800.000 sono i pazienti con conseguenze invalidanti dell’Ictus, patologia che ogni anno fa registrare 150.000 nuovi casi. Sempre nel nostro Paese, il morbo di Parkinson colpisce circa 300.000 persone, mentre all’epilessia sono attribuiti 500.000 casi, dei quali almeno un quarto con situazioni particolarmente impegnative. In minoranza, ma con un trend in costante aumento, i 120.000 pazienti, spesso giovanissimi, colpiti da Sclerosi Multipla e quelli con malattie dei nervi o dei muscoli.
A seguire una sintesi di alcuni temi trattati
Disordini dei ritmi circadiani in neurologia
Professore Giuseppe Plazzi, Centro per lo Studio e la Cura dei Disturbi del Sonno dell’Università di Bologna.
Il sonno è un comportamento altamente conservativo, universalmente presente e che occupa una parte sostanziale della vita di un animale. L’invecchiamento è associato a cambiamenti e alterazioni del ciclo sonno/veglia; in individui affetti da patologie neurodegenerative (malattia di Alzheimer, demenze correlate e morbo di Parkinson) tali alterazioni, tuttavia, raggiungono un livello di compromissione maggiore e solitamente precedono di alcuni anni l’inizio del declino cognitivo e la comparsa di sintomi motori.
Al tempo stesso, si è visto come l’accumulo di beta amiloide e, quindi, la progressione della malattia provoca disturbi del sonno. Sonno e malattia di Alzheimer sono, quindi, legati da una relazione bidirezionale su cui si sta iniziando ad indagare.
La rivista <Science> del 2019 ha pubblicato i risultati di uno studio da cui emerge come la privazione di sonno, sia acuta che cronica, causata da un’alterazione del ritmo sonno-veglia incrementi i livelli della proteina β-amiloide nel cervello e nel liquido cerebrospinale favorendo così la patogenesi della malattia di Alzheimer. Di conseguenza, la possibilità di identificare esami strumentali in grado di riconoscere precocemente queste alterazioni per trattarle opportunamente ripristinando un ritmo sonno/veglia regolare, potrebbe permettere di prevenire o arrestare la progressione della neuro degenerazione e mitigarne i sintomi correlati
La neurologia di genere: cos’è e quali sono le prospettive
Professoressa Gennarina Arabia, Coordinatrice gruppo di studio SIN “Neurologia di Genere” e Centro per lo studio dei disordini del movimento dell’Università Magna Graecia di Catanzaro
La nuova sfida della medicina moderna è di realizzare sempre più una “medicina di precisione o personalizzata”. La medicina di genere, tenendo conto delle sostanziali differenze tra uomo e donna, mira a realizzare proprie delle strategie per la prevenzione, diagnosi e cura delle patologie ottimali per ogni singolo individuo. Negli ultimi decenni, diversi studi hanno indagato le differenze strutturali e funzionali del cervello tra uomini e donne, con risultati contrastanti. È ormai noto comunque che uomini e donne presentano differenze nell’incidenza, sintomatologia e gravità di molte malattie, così come una diversa risposta alle terapie e un diverso rischio di sviluppare reazioni avverse ai farmaci. Le terapie agiscono in modo diverso sugli uomini e sulle donne e quest’ultime, che in genere hanno un peso corporeo inferiore e quindi un dosaggio per kilogrammo più elevato, più spesso presentano effetti maggiori, inclusi quelli indesiderati. In particolare, gli studi epidemiologici hanno dimostrato che alcune patologie neurologiche colpiscono in modo differente i due sessi. Tra le più diffuse, patologie come l’emicrania, la demenza di Alzheimer e la sclerosi multipla risultano più frequenti tra le donne, mentre malattie neurodegenerative come la malattia di Parkinson colpiscono prevalentemente gli uomini. La più eclatante è l’emicrania che colpisce le donne 3 volte più frequentemente degli uomini: su 6 milioni di pazienti in Italia, 4 milioni sono donne. Diverso è anche l’impatto della malattia: le donne riportano una qualità di vita peggiore rispetto agli uomini e perdono un numero maggiore di giornate lavorative e di attività sociali rispetto agli uomini. Nonostante ciò, le donne tendono comunque a recarsi maggiormente al lavoro con dolore o malessere rispetto agli uomini. Al contrario, per quanto riguarda la malattia di Parkinson, gli uomini sono colpiti 1,5 volte più frequentemente delle donne ma sono queste ultime a sviluppare molto più spesso – 300% in più – gli effetti indesiderati della terapia farmacologica, soprattutto movimenti involontari invalidanti.
La diagnosi neuropsicologica delle fasi prodromiche della demenza
Professore Stefano Cappa, ordinario dinNeurologia presso la scuola Universitaria Superiore di Pavia
Individuare precocemente i soggetti a rischio per declino cognitivo costituisce una priorità di salute pubblica. In particolare, un’attenzione crescente si rivolge verso gli interventi di tipo preventivo, che appaiono avere un ruolo centrale per la riduzione del rischio di progressione da deficit cognitivi lievi alle diverse forme di demenza, in particolare la malattia di Alzheimer e la demenza vascolare. Gli strumenti tradizionali per la diagnosi dei disturbi cognitivi sono i test neuropsicologici, che devono essere sensibili e specifici: nel caso della memoria, ad esempio, è importante essere in grado di individuare deficit molto lievi, e di distinguerli dalle modificazioni che si osservano nell’invecchiamento fisiologico. Infatti alcuni aspetti della memoria, come la memoria di lavoro e la memoria episodica, diminuiscono fisiologicamente a partire dai 50-55 anni; sono lievi e hanno un carattere lentamente progressivo, riguardano compiti come il ricordare precisamente dove e quando abbiamo ricevuto un’informazione, o la capacità di tenere a mente più cose necessarie ad eseguire un compito. Chi invecchia si rende conto di queste difficoltà, e impara a compensarle, ad esempio prendendo più appunti o organizzandosi in modo preciso la giornata. I deficit di memoria che assumono una dimensione patologica riguardano circa il 10% della popolazione sopra i 60 anni. Si calcola che in Europa la dimensione di questa popolazione a rischio possa essere di 7 milioni di persone.
La terapia genica nelle malattie neurologiche degenerative
Professore Adriano Chiò, ordinario di neurologia,rResponsabile del Centro SlaA, Università degli Studi di Torino
Le malattie neurodegenerative sono patologie progressive e non curabili, anche se in alcuni casi trattabili, che provocano la degenerazione progressiva e/o la morte delle cellule nervose. Nel complesso, causano disturbi nel movimento o del funzionamento cognitivo. Le più frequenti sono la malattia Alzheimer, la malattia di Parkinson, le malattie del motoneurone come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e l’atrofia muscolare spinale (SMA). Negli ultimi anni si sono sviluppate tecnologie che promettono di intervenire sulle alterazioni geniche, correggendole o bloccandone l’effetto. Fra le molecole più interessanti gli oligonucleotidi antisenso (ASO), già approvati per il trattamento della SMA, una grave malattia infantile dovuta a delezioni del gene SMN, e che hanno determinato un vero cambiamento della storia clinica dei bambini colpiti. Sono in corso sperimentazioni farmacologiche con ASO per il trattamento di pazienti portatori di due geni causali della SLA, SOD1 e C9orf72, e per il gene della malattia di Huntington. Nel prossimo futuro si attendono studi con ASO anche su alcune fra le più comune forme di atassia spinocerebellare.Sono in fase di sperimentazione clinica anche terapie geniche basate su vettori virali, che permetteranno di intervenire a livello genico con la sostituzione, l’attivazione o il blocco della trascrizione del gene alterato o il trasporto di geni che si pensa possano alleviare o arrestare specifiche patologie neurodegenerative. Queste metodologie sfruttano la capacità dei virus di entrare nel nucleo cellulare e di integrare il loro Dna in quello umano. Questo approccio terapeutico è già in fase di avanzata sperimentazione nella Sma, è in fase II nella malattia di Alzheimer ed è in fase I nella malattia di Parkinson e nella Sla.
Novità sulla malattia di parkinson
Professore Roberto Eleopra, UocC neurologia 1 – Parkinson e disordini del movimento, Fondazione IRCCS Istituto neurologico Carlo Besta di Milano
Le più recenti novità sulla malattia di Parkinson riguardano in primis la identificazione e caratterizzazione della sinucleina, che è stata ora identificata non solo come deposito patologico nei tessuti e/o nel liquor cerebrospinale (biomarcatore), ma anche perché possiede una diversa modalità di aggregazione proteica (misfolding), diversa tra Parkinson e altre malattie degenerative Parkinsoniane. Queste nuove conoscenze scientifiche hanno determinato in questi ultimi anni l’avvio di sperimentazioni cliniche anche nell’uomo, in particolare con terapie a base di anticorpi monoclonali diretti selettivamente proprio verso queste proteine anomale, al fine di rallentare o bloccare il processo degenerativo. Anche la identificazione di forme di Parkinson dovute a mutazioni del gene GBA ha portato i ricercatori alla scoperta di nuove molecole terapeutiche, come per esempio quella di un “attivatore allosterico specifico del gene mutato GBA”, che è già stato utilizzato in fase sperimentale in una piccola popolazione di soggetti con Parkinson da mutazione genetica. Queste nuove terapie nell’uomo avrebbero l’obiettivo di identificare una possibile cura della malattia degenerativa, non prescindendo dalle numerose e valide terapie farmacologiche attualmente presenti, con la speranza futura di modificare il decorso progressivo del Parkinson. Sicuramente saranno necessari diversi anni per una possibile applicazione clinica, ma la ricerca traslazionale tra scienza sperimentale di base e clinica è ora una certezza.