Nursing Up, la libera professione degli operatori sanitari ferma a metà strada
6 Giugno 2023«Decreto legge n. 56 del 26 maggio 2023, disapplicazione del vincolo di esclusività: autorevoli pareti tecnici corroborano in queste ore la nostra analisi sulla precarietà e sulle controversie di una norma che va rivista nel profondo».
«Autorevoli testate nazionali, in queste ore, sollevano concrete e giustificate perplessità sul decreto legge 34/2023, convertito in legge n. 56 del 26 maggio 2023.
Stiamo parlando della Disapplicazione del Vincolo di esclusività delle nostre professioni sanitarie del comparto non medico, stiamo parlando di quella sacrosanta libera professione degli infermieri e degli altri operatori sanitari del nostro SSN che rappresenta l’unica strada percorribile per la ricostruzione di un sistema da troppo tempo costruito su labili scelte che, definire arcaiche, è oggi un eufemismo.
Ci conforta, ma non certo ci rende felici, che solidi pareri tecnici corroborano le nostre tesi, riguardo ad una legge sulla libera professione che, ad oggi, piena zeppa di vincoli, ma soprattutto di scarsa chiarezza, non rappresenta affatto quello che questo sindacato, prima di tutti gli altri, aveva chiesto al Ministro Schillaci, con una proposta presentata sul suo tavolo lo scorso 29 dicembre.
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
Non abbiamo negato, ed è coerente con il nostro modus operandi che, rispetto al passato, in termini di disapplicazione del vincolo di esclusività, oggi, seppur con il limite temporale al 31 dicembre 2025, qualcosa si è certamente mosso, ma siamo di fronte una norma che non rappresenta affatto quanto abbiamo auspicato, quanto gli infermieri e gli altri professionisti della salute si aspettavano e si aspettano, soprattutto in considerazione del fatto che il vincolo temporale di cui parliamo, in primo momento, non era stato inserito. E siamo per tanto di fronte, lo ripetiamo più volte, ad un dietro front che non giova a nessuno, soprattutto alla collettività.
E questo perché in primo luogo abbiamo sempre posto all’attenzione dei media che solo la libera professione, in ragione della voragine di infermieri, può rappresentare la reale e concreta soluzione per supportare la febbricitante sanità privata, ed è indispensabile per rilanciare quella sanità territoriale che è imperniata sulle competenze infermieristiche, su quell’assistenza al paziente, ai malati cronici, alle famiglie, che solo gli infermieri possono e sanno portare avanti.
E non è un caso che l’Oms, di recente, abbia ribadito che infermieri e ostetriche rappresentano le prime e le ultime figure che il paziente incontra nel suo complesso percorso di cura, dove, oltre alle competenze di questi ultimi, è forte di quel rapporto diretto e umano che fa la differenza nei lunghi iter assistenziali.
Equivoci e controversie: sono questi i punti saldi dell’analisi, schietta e lapidaria, che testate nazionali evidenziano sulla legge n. 56 del 26 maggio 2023, appoggiando in pieno quanto da noi fin qui sostenuto, e avallando le nostre richieste, al Governo, al Ministro Schillaci, di rivedere il tutto, con coerenza, con lucidità, per non rischiare di rimanere tristemente fermi al palo.
Innanzitutto appare chiaro che la norma non è strutturale ma, con la reintroduzione di un termine finale, che non c’era all’inizio, che non doveva esserci, continua ad essere provvisoria e legata a fattori congiunturali.
In secondo luogo ci conforta che autorevoli analisi tecniche evidenziano l’incoerenza e la precarietà dell’ormai celebre comma 2.
Un infermiere dovrebbe poter svolgere attività libero-professionale in favore di strutture private, strutture accreditate, singoli utenti, nonché attivare un rapporto di lavoro subordinato sia con altre strutture pubbliche che private. L’attività, ad oggi, è in ogni caso soggetta ai vincoli dell’art. 2015 relativo all’obbligo di fedeltà.
Proponemmo, lo scorso 29 dicembre, sul tavolo del Ministro Schillaci, che l’azienda sanitaria dovesse autorizzare il professionista che avesse fatto espressa richiesta di svolgere attività libero professionale al di fuori della struttura dove è dipendente e che, in carenza di un reale conflitto di interessi, una volta decorsi 15 giorni dal ricevimento di tale citata richiesta, anche nel silenzio dell’azienda interessata, l’autorizzazione dovesse intendersi come concessa.
E’ chiaro che, nei termini delineati nelle nostre riflessioni, non possiamo considerarci soddisfatti dell’attuale formulazione del Decreto 34/2023, anche se, oggettivamente, non possiamo non riconoscere i passi in avanti compiuti con tale provvedimento, rispetto ad un recente passato dove l’esercizio di attività fuori dal rapporto di lavoro per gli infermieri, le ostetriche e gli altri professionisti sanitari pubblici dipendenti, era solo una chimera.
Se stiamo parlando di libera professione, continua De Palma, il datore di lavoro non è tenuto e non dovrebbe effettuare alcun controllo e quindi desta perplessità la prevista verifica sul “rispetto della normativa sull’orario di lavoro”. Un infermiere, un’ostetrica o un altro professionista sanitario dovrebbero poter svolgere attività libero-professionale in favore di terzi senza ingerenze di sorta.
Siamo pienamente concordi sul fatto che, come avevamo fin dall’inizio sottolineato, la previa autorizzazione dovrebbe limitarsi esclusivamente all’assenza di pregiudizio relativo all’obiettivo aziendale relativo allo smaltimento delle liste di attesa anche conseguenti all’emergenza pandemica, circostanza questa ultima che era valida nel novembre 2021 ma che attualmente deve essere quantomeno riformulata.
Dire e non dire, fare e non fare, due passi avanti e sempre uno indietro: “autorizzazioni”, “attestazioni” e “monitoraggio” non mettono nella condizione gli infermieri e gli altri professionisti del comparto non medico nell’avere a disposizione concrete certezze di azione che minano nel profondo una libera professione ancora una volta ferma a metà strada.
Possiamo permetterci tutto questo, alla luce delle necessità impellenti di una sanità italiana che ha bisogno di correre veloce verso un futuro di crescita e di certezze, a partire dall’azione concreta di chi, con le proprie competenze sul campo, va messo in condizione di operare per il bene della collettività?
Urgono cambiamenti, urgono riflessioni urgenti, e noi, pronti al dialogo, ma non certo disposti ad accontentarci di quello che abbiamo di fronte, siamo qui ancora una volta a invitare la politica ad avere il coraggio di di compiere un doveroso ed ulteriore salto, cancellando lacci e lacciuoli dall’attuale versione del provvedimento», conclude De Palma.