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“‘O surdato ‘nnammurato”, per abbattere le frontiere
24 Febbraio 2025«‘O surdato ‘nnammurato» è uno dei brani più celebri della musica napoletana, un viaggio iniziatoa San Lorenzo di Sant’Egidio del Monte Albino, in provincia di Salerno, e finito nel cimitero cittadino di Sorrento, dove si trova la sua tomba, omaggiata dai cittadini e dai visitatori. «Tutto passe, fernesce e se scorde, è destino a stu munno accussì! (Tutto passa, finisce e si dimentica, è così il destino a questo mondo)» recitava Aniello Califano, ma Sorrento e Sant’Egidio del Monte Albino non dimenticano il loro poeta. Ieri, domenica 23 febbraio è stato ricordato l’autore di alcuni dei brani più noti del repertorio della canzone napoletana classica, da Tiempe belle a Ninì Tirabusciò, da Serenata a Surriento a ‘O surdato ‘nnammurato, il cui testo, realizzato da Aniello Califano e musicato da Enrico Cannio, nacque nel 1915 e racconta la tristezza di un soldato che parte per il fronte e soffre per la lontananza della propria innamorata: proprio in quell’anno infatti l’Italia era entrata nella Prima Guerra Mondiale.
L’Italia varca il Piave il 24 maggio di centodiecianni fa e chiama al fronte un milione e mezzo di uomini. Ragazzi di poco più di vent’anni, strappati alle proprie famiglie. L’ottanta per cento non sapeva scrivere, era difficile capirsi, si parlava quasi solo dialetto. Nella truppa, impreparata, bloccata in trincea, si fecero largo malinconia, sconforto, rassegnazione. Alla fine del 1915 l’esercito italiano aveva registrato 235.000 perdite tra morti, feriti, ammalati, prigionieri e dispersi. È nel dilagare di questo stato d’animo che nasce ‘O surdato‘nnammurato, in maniera semplice, spontanea. Aniello Califano scrive di getto una poesia, una notte d’agosto, e la porta all’editore Gennarelli, che leggendo i versi si commuove. Vuole musicarli per trasformare quelle frasi in una canzone. La scelta cade su Enrico Cannio, che compone una marcetta insistente ma allo stesso tempo malinconica. Il successo è enorme. Ma lo scandalo di quelle parole magiche non sfuggì ai gerarchi: quanto è pericoloso in tempo di guerra cantare l’amore, ricordare le braccia dell’amata? Per i fascisti del Ventennio, «è una canzone disfattista»perché anteponeva l’amore per una donna all’amore per la Patria.
I vertici dello stato maggiore ne capirono subito la forza, e la misero al bando, alla stessa stregua delle strofe anarchiche, di «Ta pum» e della nenia «maledetto Cadorna». Le leggi per la repressione e la censura erano severissime: revoca delle licenze, prigione, e si poteva anche finire davanti a un plotone d’esecuzione. Ma la leggenda vuole che la forza della musica, superando qualsiasi avversità, sia andata oltre qualsiasi divieto. L’orgoglio e l’onore di appartenere ad un popolo faceva crollare qualsiasi campanilismo, il successo della canzone, infatti, sta anche nella capacità di unire i soldati al fronte, in un periodo in cui dilagava l’analfabetismo e l’unica lingua che ciascuno parlava era il proprio dialetto. E la magia risiede qui: soldati veneti, lombardi e toscani intonavano con semplicità e spontaneità la canzone napoletana. Alice Rohrwacher con coinvolgente passione narra di quando la cantò Anna Magnani che è Flora nel film La sciantosa, una cantante in rovina che durante la prima guerra mondiale decide di esibirsi per i soldati al fronte, per l’occasione si acconcia con una corona d’oro in testa e si avvolge nella bandiera italiana. Ma quando il sipario si apre, li vede: un pubblico di ragazzi mutilati, soldati rotti e disperati.
Quale patria, quale vittoria? Flora getta via corona e tricolore, e senza orpelli canta commossa ’O surdato ’nnammurato. Ecco allora come un canto d’amore può diventare la più grande delle condanne al conflitto, senza mai nominarlo, senza mai dire una parola contro. «’O surdato ‘nnammurato» non ha tempo, non ha paese o frontiera, è un messaggio d’amore universale. ’O surdato ’nnammurato vive ancor oggi come messaggio universale di speranza nei momenti di sconforto, ricordando che è sempre possibile incanalare il dolore e la sofferenza in ciò che si ama e si sente. L’apoteosi della speranza che vince sulla paura e dell’amore che vince la guerra. Dal luogo di pace che ricorda il poeta auspichiamo che le sue note fuggano via per il mondo per raggiungere l’orecchio di ogni soldato, di ogni ragazzo che manovra un’arma capace di uccidere il prossimo suo, sussurrando nella sua lingua materna: «oje vita, oje vita mia». ‘O surdato ‘nnammurato da tradurre in russo, ucraino, ebraico, arabo e cantarla a squarciagola.