Oggi nove maggio Rosario Livatino sarà beato. Il “ragazzino” con la toga ucciso dalla mafia
9 Maggio 2021Rosario Livatino nasce a Canicattì nel 1952, unico figlio di Vincenzo, impiegato dell’Esattoria comunale e di Rosalia Corbo. Dopo avere conseguito la maturità classica, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza a Palermo, dove si laurea, a pieni voti, nel 1975. Alla fine degli anni ’70 presta servizio, in qualità di vicedirettore, presso l’Ufficio del Registro di Agrigento. Sempre in questo periodo, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria al concorso di magistratura, viene assegnato al Tribunale di Caltanisetta. Nel 1979 diviene Sostituto Procuratore ad Agrigento per poi assumere il ruolo di Giudice a latere. Rosario è detto il “giudice ragazzino” proprio per il suo “essere pulito”, leale e onesto, minuto e semplice nei modi, si è sempre battuto contro la criminalità organizzata. Studia e conosce il fenomeno mafioso, è in grado di ricostruire intrecci, nessi e collegamenti del mondo criminale, per questo vengono affidati a lui inchieste molto delicate. Con determinazione, senso di abnegazione, porta a termine importanti indagini, firma svariate sentenze che lo fanno entrare rapidamente nel mirino delle organizzazioni mafiose come la nota Stidda, da sempre rivale di Cosa Nostra. Come ogni mattina, anche quel 21 settembre del 1990, si reca da casa sua, dove vive con gli anziani genitori, verso il Tribunale di Agrigento. E’ a bordo della sua auto, senza scorta, viene speronato dai suoi Killer, riesce ad uscire dalla vettura, inizia a correre, già ferito ad una spalla, verso i campi, ma viene freddato a colpi di pistola. Muore alla giovane età di 37 anni. Nel 1995 viene costituita l’Associazione “Amici del giudice Rosario Angelo Livatini”, fondatrice è la professoressa Ida Abate, docente di greco dell’istituto “Ugo Foscolo”, liceo frequentato da Rosario, Presidente è Giuseppe Palilla, amico e compagno di classe del giovane magistrato. Dal 2011 l’Associazione si batte per la beatificazione di Rosario Livatino. A differenza di altri Beati, al giudice ragazzino non vengono riconosciuti miracoli ma la prova del martirio in odium fidei, vale a dire in odio alla fede, gli è stata attribuita anche in seguito alle dichiarazioni rese da uno dei mandanti dell’omicidio che afferma “chi ordinò quel delitto conosceva quanto Livatino fosse retto, giusto e attaccato alla fede e che per questo non poteva essere un interlocutore della criminalità”, motivo per cui il “ragazzo con la toga” viene ucciso. Tali dichiarazioni sono risultate determinanti per dare inizio all’iter della procedura canonica delle Cause di Beatificazione. Rosario Livatino frequenta con assiduità l’azione cattolica e ogni domenica con i genitori va a messa nella Chiesa del suo Paese, la parrocchia di “San Domenico”. Per tale comportamento viene definito dai suoi aguzzini uno “scimunito” “uno santocchio”. Rosario Livatino sarà il primo giudice ad essere beatificato oggi, domenica 9 maggio, presso la Cattedrale di Agrigento. A differenza del giudice Paolo Borsellino, la cui agenda rossa non è stata mai ritrovata, accanto al corpo martoriato del giovane Livatino rinvenuti occhiali e agenda, sulla cui prima pagina si legge S.T.D. Non è stato facile per gli inquirenti capire il significato di quelle 3 lettere ma chi conosce Rosario subito traduce in “Sub tutela Dei” cioè sotto la protezione di Dio. Ciò stava a dimostrare che il giudice si affidasse al Signore non solo come “civile” ma anche nell’esercizio della sua professione. La sua vicinanza a Dio viene registrata anche il giorno in cui Levatino entra in Magistratura, infatti appunta tra le sue cose” Che il Dio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione che i miei genitori mi hanno impartito esige”. La sua morte, non si hanno dubbi, è riconducibile alla sua fede, la Chiesa lo riconosce come martire. Questo è il concetto che si evince dalla lettura dei Decreti relativi alla beatificazione di Rosario Livatino. Un altro giudice assassinato, un altro servitore dello Stato lasciato solo in una Italia dove i confini tra Stato e criminalità organizzata non sono ancora ben delineati. E’ doveroso ricordare, “La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé” come direbbe Oscar Wilde. Al di là del credo religioso si spera che la beatificazione di questo magistrato possa essere un richiamo, soprattutto per le nuove generazioni, a promuovere la cultura della legalità e al rispetto delle leggi. Solo quando si riuscirà a non essere più avvezzi alla logica della corruzione, ovvero a quell’ossigeno illegale che mette a dura prova i principi della democrazia, potremmo avere e vivere una Italia migliore, quell’Italia tanto desiderata dalle sole persone rette ed oneste.