Omicron, la variante “più buona”
26 Dicembre 2021Le prime evidenze raccolte sia nel Regno Unito che in Sudafrica sembrano suggerire che la variante Omicron di Sars-CoV-2 potrebbe essere meno grave, più mite. Si tratta di studi preliminari e hanno dei limiti ma queste evidenze sembrerebbero indicare che meno persone necessitano di cure ospedaliere rispetto ad altre varianti. La sensazione già espressa da esperti del Paese africano che per primo ha intercettato il nuovo mutante potrebbe dunque non essere infondata.
Un primo insieme di dati è quello che arriva dal Regno Unito, precisamente da uno studio scozzese che ha monitorato il coronavirus e il numero di persone che finiscono in ospedale. Secondo quanto riporta la ‘Bbc online’, la ricerca indica che, se Omicron si fosse comportata come Delta, sulla platea di pazienti esaminata sarebbero stati prevedibili circa 47 ricoveri in ospedale, mentre al momento sono 15. Tuttavia, lo studio scozzese si basa su pochi casi e nel campione ci sono poche persone con più di 65 anni, che sono le più a rischio. Quello che gli esperti continuano a temere, inoltre, è che – seppur più mite – la variante Omicron, vista la velocità con cui sta viaggiando, potrebbe portare un’enorme mole di casi. E questo, per la legge dei grandi numeri, potrebbe ugualmente rischiare di sopraffare gli ospedali. Lo studio è stato condiviso con l’Organizzazione mondiale della sanità e i consulenti scientifici del governo britannico. L’altro lavoro è stato condotto in Sudafrica e anche questo indica che le persone hanno meno probabilità di aver bisogno di ricovero per Omicron. Potenzialmente viene indicata una riduzione di circa due terzi, cioè si calcola un 70-80% in meno di probabilità di dover ricorrere a cure ospedaliere, a seconda che Omicron venga confrontata con le ondate precedenti o con altre varianti attualmente in circolazione. Lo stesso lavoro però suggerisce allo stesso tempo che non c’è alcuna differenza negli esiti per i pochi pazienti finiti in ospedale con Omicron.
“In modo convincente, i nostri dati suggeriscono una gravità ridotta di Omicron rispetto ad altre varianti”, ha affermato Cheryl Cohen dell’Istituto nazionale per le malattie trasmissibili, in Sudafrica. Non è ancora chiaro però se la variante Omicron sia più mite in sé o se appaia tale perché ora c’è molta più immunità. Nuovi dati nei prossimi giorni potrebbero chiarire ulteriormente il quadro. Questo studio è uno degli elementi che invita all’ottimismo Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta che invita a recuperare “una discussione seria, pacata, pragmatica e basata sui fatti”. “È di oggi la notizia dello studio del National Institute for Communicable Diseases del governo sudafricano diretto da Nicole Walter e Cheryl Cohen, secondo cui il rischio di ospedalizzazione nei pazienti che hanno contratto Omicron è il 20% di quello osservato nei pazienti che avevano contratto Delta (per essere chiari, se il rischio di finire in ospedale per Delta fosse stato del 5%, per Omicron sarebbe dell’1%). Nonostante lo studio utilizzi controlli storici (Delta è sparita dal Sudafrica adesso), l’analisi è stata fatta dopo aver corretto per età, sesso ed anamnesi positiva per aver contratto l’infezione in precedenza”. Non solo. Silvestri sottolinea come “la letalità calcolata di Covid-Omicron sembra molto più bassa di quella delle varianti precedenti. Il dato dal Sudafrica su quasi 400mila casi parla di 0,26% di letalità, paragonata al 2,5-4% delle ondate precedenti. Questo nonostante la popolazione sia pienamente vaccinata solo al 26,3% (42% degli adulti). In accordo con questa osservazione, la pressione sulle terapie intensive del Sudafrica, un Paese da 60 milioni di abitanti, rimane bassa, con un totale di 546 letti occupati (molto meno che in Italia)”.
Infine conclude il virologo “è dei giorni scorsi lo studio molto interessante della LKS Faculty of Medicine alla Università di Hong Kong, diretto da Michael Chan Chi-wai e John Nicholls, secondo cui la variante Omicron è più efficace nell’infettare le cellule delle alte vie respiratorie e dei bronchi, ma meno efficiente nell’infettare quelle del tessuto polmonare profondo. Questo studio potrebbe rappresentare la base meccanicistica della minore severità clinica osservata in Sudafrica, in quanto la polmonite interstiziale con danno alveolare diffuso e conseguenti complicanze sistemiche è l’elemento centrale nella patogenesi del Covid severo”. L’auspicio di Silvestri è che “questi dati possano essere usati per rimodulare il nostro approccio legislativo e comunicativo alla pandemia”.
Fonte: DoctorNews33