Penuria anestesisti e “oasi felici”
29 Agosto 2022Prima che la medicina fosse mancano gli anestesisti. Il ricorso, magari anche un po’ contorto, alla citazione tratta dal Vangelo (…prima che Abramo fosse, Io sono) è un accostamento ardito ma non fuori luogo perché il problema, gravissimo, legato alla esiguità del numero di questi specialisti, è da sempre.
I seicento, settecento posti l’anno che, nelle passate annualità, le Università italiane hanno messo a disposizione per la formazione di nuovi anestesisti, poi saliti a novecento, sono largamente insufficienti come dimostrano gli affanni patiti dai sistemi sanitari regionali proprio per la carenza di queste professionalità e relativi posti letto nei reparti di rianimazione.
Soltanto a seguito dell’emergenza pandemica i posti riservati agli specializzandi in anestesia-rianimazione sono saliti a 1.600 (un provvedimento peraltro neppure strutturale) ma chiaramente occorreranno i cinque anni della durata del corso per vedere affacciarsi in corsia i nuovi specialisti. In ogni caso, non bastano a coprire i buchi, anzi le voragini che si sono formate nella categoria anche a seguito delle naturali vicende lavorative legate ai pensionamenti.
I sindacati di categoria battono sul tasto della errata programmazione che, per oltre un decennio, ha consegnato questa “scabrosa” situazione. Una situazione, è doveroso sottolinearlo, che, more solito, va a ricadere in primis sugli ammalati.
Intanto, come riferisce il monitoraggio Istat, nel 2018 si registrava un totale di 12.966 anestesisti, l’equivalente di 0,21 specialisti ogni 1000 abitanti e, prima dell’insorgere della pandemia, il sindacato medico degli anestesisti Aaroi-Emac stimava una carenza di almeno 4mila anestesisti-rianimatori negli ospedali italiani.
Ovviamente la situazione in Campania non differisce di molto dal dato nazionale. Nel 2021, in piena emergenza Covid, denunciava l’attuale presidente dell’Ordine dei medici di Napoli, Bruno Zuccarelli, nella nostra regione mancano 250 anestesisti.
E del resto basta dare uno sguardo ai recenti bandi di Asl e Aziende ospedaliere per rendersi conto dei ripetuti tentativi che le stesse hanno messo in piedi per procurarsi gli introvabili specialisti. I risultati dei concorsi sono stati assai deludenti e, alla fine, per tamponare si è ricorso, ancora una volta, alle attività anestesiologiche in convezione.
Che si tratti di una crisi senza fine è dato dalle numerose convenzioni che sorgono come funghi fra aziende sanitarie campane per tentare di tappare qualche “buco anestesiologico” nei normali turni di lavoro. Ultima ed esplicativa, in tal senso, la richiesta proveniente dalla sanità sannita che propone di ricorrere al richiamo in servizio dei pensionati.
Eppure, di fronte a tanto problema, resistono delle nicchie di privilegiati che, invece di saltare da un ospedale all’altro per tappare i buchi, vivono, sicuramente con meno stress, facendo turni di routine in attesa di una chiamata (eventuale prelievo d’organi) al Centro regionale trapianti guidato da Antonio Corcione, direttore della strutture complessa di Anestesia e rianimazione al Monaldi di Napoli.
Val la pena di dire da subito che questa situazione non nasce da illecito o da difformità alle norme vigenti in materia ma, al di là della considerazione sul maggior costo, c’è quella ben più pregnante dell’opportunità.
La pattuglia di anestesisti, una mezza dozzina a quanto è dato di sapere, potrebbe con maggior profitto (per la sanità ed i malati campani) essere impiegata altrove. Per un intervento in campo oncologico, ad esempio, la tempistica è essenziale ai fini del risultato. Ed il discorso chiaramente non vale solo in campo oncologico.
Certo la mezza dozzina non risolverebbe il problema generale ma se immessa nel circuito un aiuto lo darebbe.
Tre le domande finali: perché non si programma adeguatamente, sulla base del fabbisogno, il numero degli ingressi alle scuole di specializzazione in anestesia? Il presidente De Luca conosce la vicenda? E se si, cosa intende fare?