Per vivere bene ci vuole Fegato
14 Novembre 2018“Un organo in salute – sottolinea il dottor Carmine Coppola, direttore della divisione di epatologia all’ospedale di Gragnano – contribuisce a mantenere in forma tutto l’organismo.”
Spesso si sottovaluta che la prevenzione è un aspetto fondamentale per vivere a lungo e in buona salute: soprattutto se parliamo del fegato, un organo complesso e delicato, che può essere attaccato da numerose patologie, tra cui la famigerata Epatite C. Un morbo gravissimo, che solo i progressi della ricerca in campo medico hanno rallentato: secondo i più recenti studi si tratta di una vera e propria “malattia sistemica”, infatti se non viene diagnosticata e curata può causare non solo la letale cirrosi epatica, ma anche il linfoma non Hodking, l’ictus ischemico, il diabete mellito ecc. Ma la scienza fa passi da gigante: a circa 4 anni dall’arrivo in Italia delle nuove terapie antivirali, circa 20.000 campani sono stati curati e guariti dall’Epatite C: un successo se si pensa che circa il 98% dei pazienti trattati si rimette completamente nel giro di tre settimane di terapia con l’assunzione di una sola pillola al giorno.
Ciò ha contribuito non solo a salvare migliaia di vite, ma ha anche accorciato i tempi per i trapianti di fegato: questi ultimi infatti sono ancora l’unica strada per guarire da alcune gravi malattie epatiche e la diffusione dei farmaci antivirali ha diminuito la platea dei potenziali trapiantati. Purtroppo la Campania resta una regione “maglia nera” per numero di malati di Epatite che non sanno di essere contagiati. Pertanto, più difficile, se non si svilupperà la prevenzione, sarà l’obiettivo di debellare completamente la patologia entro il 2030, come spera l’Organizzazione Mondiale per la Sanità. Tra i 25 centri prescrittori per la cura dell’Epatite C, dopo l’Ospedale Cotugno, che recita la parte del leone, si posiziona al secondo posto il piccolo ma attrezzato Ospedale di Gragnano: con più di 2000 pazienti guariti, l’Unità Operativa di Epatologia ed Ecografia Interventistica, diretta dal dottor Carmine Coppola, rappresenta un vanto non solo per L’Asl Napoli 3 Sud, ma per l’intera Regione Campania.
Dottor Coppola, l’Unità Operativa da lei diretta è ormai un’eccellenza, ma quando è iniziata la sua avventura nella cura delle patologie epatiche?
Per giungere ai lusinghieri risultati attuali, non posso nascondere che il cammino sia stato lungo e tortuoso: iniziai ad occuparmi di malattie epatiche nel 1992, in una stanzetta all’interno dell’Ospedale di Castellammare di Stabia. Mi occupavo di diagnostica e vaccinazione per l’Epatite B: ero costretto a recarmi regolarmente al Cotugno per prelevare personalmente le dosi di vaccino da inoculare ai pazienti. Poi man mano la crescita dell’Unità di Epatologia, sino al trasferimento a Gragnano nel 2005: da quel momento, con la presenza di validissimi collaboratori e l’inaugurazione di un reparto attrezzato, è iniziata la bella storia dell’Unità Operativa di Epatologia ed Ecografia Interventistica, che rappresenta un orgoglio per la mia vita umana e professionale.
Con quali risultati, nella sua Unità, è stata curato il virus dell’Epatite C?
Devo confessare con orgoglio che non mi aspettavo, nel momento in cui giunsero in reparto i nuovi farmaci antivirali, di arrivare a circa 2000 pazienti (da fine 2015 N.D.R.): circa 2000 vite salvate con una percentuale di successo del 98.6%.
Talvolta, per parlare dell’accesso alle cure per l’Epatite C, lei parla del “cesto di mele” della nonna. Ci vuole spiegare il significato di questa sua metafora?
È una metafora divertente, che forse rende meglio di tante cifre e paroloni il parlare dell’accesso alle cure per l’Epatite. Per l’alto costo dei farmaci antivirali, almeno all’inizio della loro diffusione, l’AIFA consigliava di trattare inizialmente i pazienti più gravi, i cirrotici, per evitare un eccessivo esborso per il Sistema Sanitario Nazionale: oggi, con i costi più contenuto, le direttive sono di curare tutti, ma io predicavo tale filosofia sin dall’inizio. L’esempio che portavo affondava le radici nella mia infanzia: la nonna, acquistando per tutta la famiglia le mele, ci invitava sempre a mangiare prima quelle quasi marce, quelle “toccate” come si diceva in dialetto. In questo modo lasciavamo i frutti migliori alla fine, ma, giunti al momento di gustarle, avevamo la brutta sorpresa: erano ormai quasi marce pure quelle. Con questo esempio, consigliavo a politici e colleghi di allargare subito a tutti le cure, per non trovarci sempre ad operare nell’ottica dell’emergenza clinica.
Oggi per i trapianti si parla di “modello Gragnano”, ci spiega di cosa si tratta?
Abbiamo predisposto un percorso dedicato per i pazienti che hanno subito un trapianto di fegato: dopo l’intervento, che di norma può avvenire all’Ospedale Cardarelli, a Pisa oppure a Padova, il paziente viene preso in carico dalla nostra Unità e seguito passo passo fino alla guarigione. Soprattutto per il protocollo d’intesa stilato tra la nostra Asl Napoli 3 Sud e l’Ospedale Cardarelli, mi preme ringraziare la nostra direttrice generale, la dott.ssa Antonietta Costantini, e l’ing. Ciro Verdoliva, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera collinare. Non a caso i nostri pazienti trapiantati, che ci aiutano quotidianamente in reparto e nelle campagne di screening con l’associazione denominata ASTRA, hanno premiato entrambi i manager nel corso dell’ultima Riunione Stabiese di Epatologia: un modo per riconoscere alla lungimiranza di chi guida le nostre strutture ospedaliere una parte dei meriti nella cura dei pazienti, poiché non bastano dei buoni medici, servono anche degli ottimi manager per guidare la nostra sanità.
Il 16 e 17, al centro congressi della Federico II, è in programma il convegno “Epatologia nel Terzo Millennio”, ci può fare qualche anticipazione sul suo intervento?
Certo: parlerò delle nuove sfide dell’epatologia, ma anche della rete trapiantologica che abbiamo messo a punto. Insieme al dottor Santaniello del Cardarelli, al dott. Cillo di Padova, al dott. Catalano di Pisa e al dott. Romagnoli di Torino abbiamo creato una complessa rete per seguire al meglio i pazienti bisognosi di trapianto e quelli già trapiantati: soprattutto alla luce del fatto che oggi si può trapiantare sino a tarda età, come abbiamo mostrato intervenendo su un paziente stabiese di 74 anni. Inoltre le terapie farmacologiche antivirali, che a Gragnano abbiamo usato su pazienti tra i 20 e i 91 anni, hanno aumentato le possibilità di accedere al trapianto, perché sono diminuiti i potenziali candidati. Per cui rinnovo qui il mio invito ai campani di affidarsi allo screening: bastano pochi minuti e un test salivale per scoprire la presenza di malattie epatiche. Non dimentichiamo che “per vivere bene ci vuole fegato”, come abbiamo scritto sul camper che usiamo in tutte le iniziative di salute e prevenzione epatica.