Politerapia nel diabete di tipo 2, un approccio integrato per il controllo delle complicanze
9 Gennaio 2025Nel trattamento del diabete di tipo 2, la politerapia sta diventando sempre più comune e supportata dalla comunità scientifica, smentendo l’idea che “meno farmaci sia sempre meglio”. Questo concetto, introdotto nella letteratura medica oltre 150 anni fa, è oggi più rilevante che mai, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle patologie croniche che spesso coesistono con altre condizioni di salute.
Attualmente, in Italia, circa 1.300.000 anziani (pari al 10% degli over 65) utilizzano 10 o più farmaci al giorno. Tra questi, il gruppo di età compreso tra i 75 e gli 84 anni è quello più rappresentato, con il 55% che assume tra 5 e 9 farmaci e il 14% che ne assume 10 o più. Uno studio recente di Johansson et al., pubblicato su “Diabetes Care”, ha osservato le variazioni nella politerapia dal 2000 al 2020 in oltre 460.000 adulti danesi con diabete di tipo 2, rilevando un aumento nell’uso dei farmaci dal 53% al 76%. In dettaglio, quasi il 90% dei pazienti ha utilizzato più di 5 farmaci durante i 20 anni di studio e il 47% ne ha usati più di 10.
Le persone con il maggior numero di farmaci sono prevalentemente uomini, con più patologie concomitanti e con livelli di istruzione e di reddito inferiori alla media. In Italia, un’analisi sui dati del REPOSI riguardante pazienti anziani ospedalizzati, mostra che il 79% degli anziani con diabete è in politerapia contro il 54% dei non diabetici, e il 22% di questi pazienti assume più di 10 farmaci, rispetto al 5% di chi non è diabetico.
Sebbene la politerapia sia stata associata a costi sanitari più elevati, minore aderenza alle terapie e maggior rischio di eventi avversi, per i pazienti con diabete di tipo 2 essa offre varie opzioni per controllare la malattia, rallentarne la progressione e ridurre ospedalizzazioni e complicanze. Ma come si spiegano questi numeri?
«Le persone con diabete di tipo due assumono una serie di farmaci per limitare il rischio di complicanze cardiovascolari, renali e metaboliche» spiega il Prof. Riccardo C. Bonadonna, Presidente Eletto della SID. «Lo studio danese ci dice infatti che l’uso di metformina è aumentato dal 31% del 2000 al 67% del 2020, e così l’uso di statine (dal 12% al 67%), di farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina (dal 37% al 64%), di beta-bloccanti (dal 16% al 30%) e di farmaci anti-trombotici (dal 32% al 43%). Questi incrementi sono spiegati in gran parte dall’aderenza alle linee guida, e vanno salutati come indicatori di maggiore appropriatezza della terapia, in termini di selezione dei farmaci prescritti e di inquadramento degli obiettivi terapeutici da perseguire, che vedono in prima linea non solo il controllo glicemico, ma anche, e soprattutto, la protezione dal danno d’organo, che colpisce cuore, rene, sistema vascolare cerebrale, sistema nervoso, ecc. Il numero medio di malattie croniche diagnosticate nella persona con diabete di tipo 2 è salito da 3.5 a 6.0. Più malattie, più prescrizioni di farmaci. Ma più farmaci si prescrivono, maggiore è la responsabilità di chi prescrive, e non solo riguardo agli effetti avversi, che ovviamente si moltiplicano. A un più grande numero di farmaci corrisponde un calo dell’aderenza, e, se l’aderenza di una terapia cronica cala sotto l’80%, crolla l’efficacia protettiva della terapia. Perciò, la politerapia, o polifarmacia, deve essere accompagnata da sforzi tesi a incoraggiare, controllare e, se necessario, migliorare l’aderenza con un attento monitoraggio degli effetti avversi» conclude.
Se fino a qualche anno fa l’idea di prescrivere multiple terapie poteva destare perplessità sia nei pazienti che nei medici, oggi la comunità scientifica riconosce come un approccio terapeutico integrato possa rappresentare la chiave per un controllo più efficace della malattia, delle sue complicanze e delle altre comorbidità croniche. La sfida non è utilizzare più o meno farmaci, ma come combinare gli strumenti terapeutici in modo ottimale per ogni singolo paziente. «Oltre alla valutazione accurata del rischio di interazioni e di effetti avversi, oltre agli effetti psicologici e sulla qualità della vita e all’impatto di costi ‘out of pocket’ che possono portare a tossicità finanziaria, bisogna ulteriormente segnalare il drammatico impatto della poli-patologia nella persona con diabete di tipo 2: la fibrillazione atriale è passata dal 2% al 6%, le neoplasie maligne dal 6% al 12%, le malattie polmonari croniche dal 5% al 13%, la demenza dall’8% al 20%. È una vera e propria emergenza di poli-patologia cronica con conseguente poli-trattamento, e un tremendo aumento del “fardello” sui pazienti, le loro famiglie, la comunità tutta, sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista economico» interviene la Prof. Raffaella Buzzetti, Presidente SID. «In questa emergenza, diventa irrinunciabile distinguere tra poli-trattamento appropriato e inappropriato e la sfida è quella di una migliore comunicazione e coordinamento, non solo tra medico e paziente, ma anche tra medici delle diverse specialità in modo che il poli-trattamento sia cucito addosso alla persona».