Progetto Istituzionale per ricordare la gravità delle conseguenze dell’HIV
26 Novembre 2020Simit: “La pandemia complica la gestione del paziente HIV, ma la ricerca va avanti e il 2021 porterà nuovi farmaci long acting”.
Martedì 1 dicembre si celebrerà la 34esima Giornata Mondiale contro l’AIDS, in un clima inedito per persistenza della pandemia di Covid-19. Lo stesso AIDS si è configurato come una pandemia che ancora non può dirsi superata, sebbene gli straordinari progressi scientifici degli ultimi anni abbiano trasformato l’infezione da HIV in una patologia cronica. Ma sono trascorsi 40 anni rispetto ai pochi mesi dall’insorgere del Sars Cov-2. L’HIV oggi si può controllare, garantendo al paziente una qualità di vita molto simile al resto della popolazione, e si può ridurre la viremia fino ad azzerarne il rischio contagio. Restano però aperte numerose questioni su cui bisogna ancora lavorare. Anzitutto, diversi studi hanno dimostrato una maggior frequenza di alcune patologie non infettive, legate normalmente all’invecchiamento, quali ad esempio le malattie cardiovascolari, per le quali il rischio è quasi il doppio nelle persone con infezione da HIV. Risultati raggiunti e nuove frontiere della ricerca sono stati al centro del Progetto Istituzionale “HIV e AIDS al tempo della pandemia”, promosso da Simit – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, organizzato da Aristea con il contributo non condizionato di Gilead Sciences.
Nella Tavola Rotonda sono intervenuti decisori politici, parlamentari, funzionari e dirigenti delle istituzioni, specialisti, volontari, rappresentanti delle associazioni pazienti. In apertura, il viceministro della salute Pierpaolo Sileri ha ricordato l’agenda di governo e le priorità per una necessaria riorganizzazione della medicina territoriale e di prossimità che possa consentire anche ulteriori servizi ai pazienti cronici, all’indomani delle novità terapeutiche emerse nell’ultimo anno. Barbara Suligoi, direttore Centro Operativo AIDS Dip. Malattie Infettive ISS, ha sottolineato la situazione statistica in chiaro scuro, con più luci e un calo del 38% dei pazienti positivi nell’ultimo decennio, – 20% decessi, e un aumento dei test anche tra i giovani con un +48% anche grazie alle iniziative con i laboratori mobili e i test in piazza alla ricerca del virus. Anna Caraglia, Direzione generale della prevenzione sanitaria, Ministero della Salute ha affrontato il tema del ritardo delle diagnosi, e delle politiche istituzionali per la gestione del paziente HIV in questa fase storica di assoluta emergenza. Il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico Simit ha puntato l’attenzione sulla necessità di utilizzare più infettivologi sul territorio, mentre il professor Andrea Antinori, direttore di Immunodeficienze Virali, Istituto Spallanzani si è espresso sulla comparazione, in vista di un auspicabile vaccino, della mutazione del virus Sars-Cov-2 rispetto al più mutevole Hiv. Tra gli altri clinici intervenuti Antonella Castagna, primario di malattie infettive all’Ospedale San Raffaele di Milano, il porfessor Massimo Galli, past president Simit; il professor Claudio Mastroianni, vice presidente Simit; la professoressa Cristina Mussini, professore ordinario di Malattie Infettive presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
Rosaria Iardino, presidente Fondazione The Bridge ha tracciato un bilancio dell’azione svolta da Fast Track City nei comuni a misura di paziente un tema che porta a parlare di benessere e non più solo di patologia. Promesse e disponibilità piena alla creazione di una Rete fattiva ed efficiente sono venute da Enzo Bianco, Presidente Consiglio ANCI e dal parlamentare Roberto Pella. L’onorevole D’Attis si è concentrato sulla nuova formulazione e l’aggiornamento dovuto della legge 135 del 1990, con la proposta incardinata nell’agenda della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati. A moderare la maratona, i giornalisti di Focus Medicina TV, Daniel Della Seta e di Medicina 24, Luca Borghi.
Le conclusioni del presidente Simit Marcello Tavio orientate a ribadire il ruolo della rete infettivologica nazionale e della necessità di interlocuzione con i MMG. “Occorre rafforzare il sistema di lotta all’AIDS, identificando alcuni punti chiave su cui le prossime strategie dovranno essere imperniate. Bisogna creare e rafforzare una “rete”, intesa nel senso di squadra, che possa mettere in contatto istituzioni, amministrazioni locali, Medici di famiglia, specialisti infettivologi, community dei pazienti. In particolare, bisogna portare gli infettivologi sul territorio a fianco del Medico di Medicina Generale, in quanto certe patologie infettive come l’AIDS non possono essere delegate nella loro gestione territoriale, senza interessare ulteriormente l’ospedale e puntando su di un modello meno caratterizzato dall’ospedale. In questo quadro serve una maggiore informazione e formazione che parta dalla scuola e dalla società in generale, con corsi di educazione sanitaria e sessuale. Inoltre, serve un’implementazione delle tecnologie in parte emerse con forza in questo periodo, a partire dalla telemedicina per raggiungere i pazienti lungo degenti anche nell’assistenza domiciliare. Serve poi un grande impegno nella lotta allo stigma, per permettere anche a quei pazienti marginalizzati di essere inseriti nel mondo del lavoro e nella vita sociale”.
Il virus dell’HIV rappresenta ancora una questione di salute pubblica a livello globale: sono circa 38 milioni le persone al mondo che vivono con questo virus, e ogni anno si verificano due milioni di nuove infezioni. Dopo anni di successi, in questi ultimi mesi siamo stati travolti dal Covid-19 che ha rallentato screening e trattamenti, ma la ricerca sull’HIV è comunque andata avanti e lascia intravedere nuovi scenari per 2021. “Gli studi HPTN83 e HTPN84 sono tra i più rilevanti dell’ultimo periodo – ha sottolineato la professoressa Antonella Castagna – l’introduzione di un farmaco long acting somministrato per via intramuscolare ogni 8 settimane ha portato a una significativa riduzione delle nuove infezioni di HIV, sia nelle donne che nei maschi che fanno sesso con maschi: questa è una delle acquisizioni più importati di questi ultimi mesi. Si sta muovendo anche la strada dei vaccini, ma resta molto complessa, per diverse ragioni tra cui la variabilità del virus e la mancanza di modelli utili nella dimostrazione dell’efficacia. Sul fronte della ricerca sono stati fatti altri grandi passi avanti: il nostro Paese è coinvolto nella sperimentazione di nuove molecole con meccanismi d’azione innovativi tra cui l’inibizione dell’ingresso nella cellula, l’inibizione della maturazione virale e quella del capside virale. Vi è innovazione anche nelle strategie terapeutiche: a fianco della triplice terapia nella sua attuale formula standard, adesso abbiamo la possibilità di proporre ai pazienti una terapia con due farmaci: una grande conquista nella gestione a lungo termine del paziente. In questo scenario si colloca il parere preliminare positivo di EMA sull’ autorizzazione in commercio dell’associazione rilpivirina+cabotegravir, 6 iniezioni intramuscolari l’anno nella terapia di semplificazione, una rivoluzione e una sfida che gestiremo nel 2021. Se riusciremo a controllare la pandemia di Covid-19, potremo offrire ai pazienti un percorso terapeutico nuovo, di semplificazione nei pazienti in soppressione virologica, di ottimizzazione nei pazienti con opzioni terapeutiche limitate ponendo più attenzione a quelli che sono gli outcomes rilevanti per la qualità di vita del paziente. Nonostante le difficoltà nella gestione dei pazienti cronici, per la ricerca è un momento di grande fervore”.
“Le oltre centomila persone che in Italia vivono con HIV in larga maggioranza lavorano, sono socialmente inserite e affrontano la malattia cronica da cui sono affette con coraggio, sopportando lo stigma ingiustificato di cui sono ancora oggetto – evidenzia il professor Massimo Galli, past president Simit – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – in quasi tutte loro, il trattamento antiretrovirale ha pieno successo. In una minoranza dei casi, tuttavia, il disagio è ancora del tutto evidente, l’emarginazione e la marginalità pesano, le difficoltà economiche e sociali sono rilevanti, la terapia spesso non è assunta correttamente e lo stigma pesa in misura ancora maggiore. La cronicità della malattia ha quindi due facce: quella della stabilità e quella della precarietà. Entrambe sono messe in crisi dalla pandemia, che ha indotto una rarefazione dei servizi, andando a pesare in modo più negativo, ovviamente, sulla minoranza dalla cronicità precaria, che ha più necessità di accessi frequenti ai nostri ambulatori, ora necessariamente meno accessibili a tutti. Il protrarsi della pandemia pone la necessità di nuovi strumenti, anche, ma non soltanto, di medicina a distanza, che possano consentire di affrontare le due facce sociali della cronicità: da un lato, infatti la terapia ha offerto l’opportunità di poter invecchiare; dall’altro, vi è la conseguente necessità di potenziare le reti e i servizi per l’assistenza multidisciplinare delle malattie associata a un invecchiamento talvolta più precoce. Un’ultima considerazione riguarda la necessità, a pandemia in corso e con i reparti di malattie infettive invasi da paziente con Covid-19, di garantire lo stretto necessario per il ricovero delle patologie acute HIV/AIDS correlate, considerando questa malattia né più, né meno delle altre a cui per questo è stato provveduto nel contesto specialistico corretto”.