Psicorecensione Will Hunting Genio Ribelle
1 Settembre 2020Usa, 1997
Regia: Gus Van Sant
Interpreti: Matt Damon, Robin William, Minnie Driver; ben Affleck, Stellan Skarsgard
Will Hunting Genio Ribelle è un classico drammatico del 1997, che racconta la storia del giovane Will Hunting, cresciuto in un quartiere povero di Boston. Le vicessitudini di una vita sregolata e violenta convivono con una mente geniale, capace di risolvere anche i problemi matematici più complicati. Se ne accorge il professor Lambeau, docente al Massachussets Institute of Technology (MIT), dove il giovane lavora come addetto alle pulizie. Deciso a valorizzare (e forse a sfruttare) il genio del ragazzo, che però è riluttante nei confronti di qualsiasi possibilità di recupero, Lembeau lo affida al professor Sean McGuire, uno psicologo, suo vecchio compagno di studi. Inizialmente il rapporto tra i due non è facile. Sean soffre per la recente scomparsa della moglie e Will, che ha captato il suo disagio, tenta di servirsene per metterlo in difficoltà ed evitare così di collaborare. La sua spavalderia però è solo un meccanismo di difesa nei confronti della sua stessa sofferenza, delle violenze fisiche e psicologiche subite fin da bambino. E sarà proprio l’esperienza del dolore, condivisa dai due uomini, ad avvicinarli sempre di più: Will scoprirà, infatti, che anche Sean ha alle spalle un’infanzia e un’adolescenza difficili; questo lo porterà poco alla volta a fidarsi, aprendosi alla capacità di amare e di vivere più autenticamente e responsabilmente la propria vita.
La visione di questo film mi ha fatto riflettere sui seguenti due aspetti:
1. Dal film emerge una figura di psicologo molto suggestiva e coinvolgente, nella quale alla competenza professionale si affiancano la profondità della dimensione umana e la capacità di stabilire un “alleanza” con il soggetto che a lui si rivolge, essenziale per la buona riuscita di qualunque intervento terapeutico. Il fatto che Sean riesca ad aiutare Will a “chiudere i conti” con il passato dipende non solo dalle dolorose esperienze che i due hanno in comune ma anche e, soprattutto, dalla capacità umana di Sean di entrare in empatia con Will, mettendo in gioco quelle parti di sé e della sua esperienza di amore e di perdita, funzionali al processo terapeutico. Inoltre, come in ogni terapia psicologica, il terapeuta ha il suo vantaggio, la sua crescita professionale.
2. Il tema dell’imperfezione. Molto interessante il passaggio in cui Sean, lo psicoterapeuta, ridefinisce la tendenza di Will a scappare dalle relazioni, soprattutto quando le cose sembrano perfette per paura di scoprirne le imperfezioni, come una “super filosofia” per non rovinare l’idea di essere perfetto e trascorrere la vita senza dover conoscere veramente qualcuno. Le imperfezioni che ciascuno porta con sé non sono altro che le piccole debolezze di per le quali siamo ricordati da chi ci ama nel bene e nel male. Quello che la gente chiama imperfezioni sono, in realtà, la parte essenziale di ciascuno di noi, ciò che ci rende unici ed irripetibili.
E’ questo un film che non ha certo bisogno di raccomandazioni, ha in sé una forza contenutistica e metaforica molto potente, lascia emozionare e riflettere sulle relazioni, sull’intimità dei rapporti, sulle paure di chi porta con sé una storia di abbandoni e violenze e che per questo si ribella a quel sistema che non lo ha mai protetto, ma è anche un film che alleggerisce il dolore, quando racconta della speranza di un futuro migliore, dopo aver fatto esperienza di una “relazione che cura”.
*Psicologa-Psicoterapeuta familiare