Quando l’orco è ministro di culto (VIII parte)
10 Novembre 2019Il ruolo della psicologia giuridica nei casi di abuso sessuale perpetrato da sacerdoti in Italia. L’adozione di “Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili”.
Il caso italiano. Per poter meglio apprezzare una novità che riteniamo molto positiva in questo ultimo documento della CEI (“Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili”, del 24.06.’19) riprendiamo molto brevemente quanto precedentemente lamentato.
L’Italia ha delle particolarità in forza del Concordato in riferimento al tema riguardante l’esonero, da parte dei Vescovi, dall’obbligo di denuncia circa eventuali abusi sessuali commessi dai chierici, così come della facoltà accordata ai Ministri di culto di astenersi dal deporre o dall’esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto in ragione del loro ministero, nonché sulla possibilità di configurare in capo ai Vescovi o alla Curia diocesana, una eventuale responsabilità (penale o civile). Questo non trova riscontro in nessun’altra legislazione al mondo.
Il Vescovo, infatti, come anche il parroco, non riveste la qualifica di pubblico ufficiale (o meglio acquista tale qualifica tutte le volte in cui esercita delle funzioni che, per le conseguenze che producono, sono da ritenersi pubbliche come, ad esempio, la redazione dell’atto di matrimonio), pertanto, egli non potrà rispondere del reato di cui all’art. 361 c.p., rubricato «omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale», il quale stabilisce che: «Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito […]».
In ogni caso, sarebbe lecito domandarsi se ed in che modo il Vescovo potrebbe essere chiamato a rispondere per una eventuale compartecipazione di tipo commissivo – omissivo con il sacerdote imputato di un reato di pedofilia ai danni di un minore.
In pratica, i quesiti sono: nell’attuale ordinamento giuridico italiano, è possibile configurare (o meno), un preciso obbligo a carico dei Vescovi in merito alla denuncia di possibili abusi sessuali su minori?
C’è una possibile qualificazione giuridica della “posizione” dei Vescovi – in termini di “garanti” – nella prevenzione di ipotesi delittuose che ledano o mettano in pericolo l’integrità psico – fisica dei minori?
La normativa di riferimento è l’art. 40 cpv c.p., secondo cui: «Non impedire un evento di cui si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo».
Trattasi dell’ipotesi del c.d. reato omissivo “improprio” consistente nella violazione dell’obbligo di impedire il verificarsi di un evento tipico ai sensi di una fattispecie commissiva – base (ovvero, nel caso di specie, il delitto di cui all’art. 609 bis c.p.). In questi casi, infatti, l’omittente assume il ruolo di “garante” della salvaguardia del bene protetto e risponde anche dei risultati connessi al suo mancato attivarsi (Fiandaca – Musco).
Il principio di equivalenza tra l’omissione non impeditiva e l’azione causale presuppone non già un semplice obbligo giuridico di attivarsi, ma una “posizione di garanzia” nei confronti del bene giuridico protetto, la quale è in generale definibile come uno speciale vincolo di tutela tra un soggetto garante ed un bene giuridico, determinato dall’incapacità del titolare del bene a proteggerlo autonomamente.
La posizione di garante, quindi, è rivolta a riequilibrare la situazione d’inferiorità di determinati soggetti, attraverso l’instaurazione di un “rapporto di dipendenza” a scopo protettivo (Fiandaca – Musco).
Le posizioni di garanzia possono essere di due tipi: “posizione di protezione” e “posizione di controllo”.
La “posizione di protezione” ha per scopo di preservare determinati beni giuridici da tutti i pericoli che possono minacciarne l’integrità, quale che sia la fonte da cui scaturiscono (ad esempio: i genitori hanno l’obbligo di porre al riparo i figli minori da tutti i pericoli che li minacciano).
La “posizione di controllo” ha, invece, lo scopo di neutralizzare “determinate fonti di pericolo”, in modo da garantirne l’integrità di tutti i beni giuridici che ne possono risultare minacciati (ad esempio: il proprietario dell’edificio pericolante ha l’obbligo di impedire il verificarsi di eventi dannosi a carico di tutti i soggetti che possono trovarsi nelle vicinanze dell’edificio medesimo).
Pertanto, tornando al quesito di cui sopra, ci si chiede se possa configurarsi (o meno), nel nostro ordinamento giuridico, un preciso obbligo a carico dei Vescovi o, una possibile qualificazione giuridica della loro “posizione” in termini di “garanti”, nella prevenzione di ipotesi delittuose che ledano o mettano in pericolo l’integrità psico – fisica dei minori.
Orbene, la risposta non può che essere negativa.
Alla luce di quanto fin qui esposto, infatti, l’attuale assetto normativo italiano non consente di enucleare gli estremi di una c.d. “posizione di garanzia” e, quindi, di un “obbligo giuridico” del Vescovo di “vigilare”, nell’esercizio del proprio ministero, al fine di attivarsi per prevenire e/o impedire la commissione dei reati di pedofilia, da parte dei sacerdoti gerarchicamente a lui subordinati.
Il Vescovo, tuttavia ha sempre il diritto-dovere canonico di “eligere, formare et vigilare” sui sacerdoti a lui sottoposti. È il Vescovo che ha il diritto e la responsabilità di scegliere i candidati che potranno essere ordinati sacerdoti; egli è il primo responsabile della loro formazione e, dopo averli scelti e formati, dovrà anche vigilare su di loro.
In sintesi, allo stato attuale, in Italia il Vescovo non ha l’obbligo giuridico di denunciare (o di mettere a disposizione le sue informazioni) nei casi di pedofilia da parte dei suoi sacerdoti. Tuttavia, nonostante ciò, “… quanto appreso potrà essere trasmesso, in forma di esposto, alla competente autorità giudiziaria dello Stato… L’autorità ecclesiastica ha l’obbligo morale di procedere all’inoltro dell’esposto all’autorità civile qualora, dopo il sollecito espletamento dell’indagine previa, sia accertata la sussistenza del fumus delicti”. (8.2)
L’Autorità Ecclesiastica farà l’esposto all’Autorità Giudiziaria Italiana dopo una segnalazione scritta della notitia criminis e dopo un’indagine previa per accertare la sussistenza del fumus delicti.
In conclusione, l’attuale assetto normativo italiano non consente di enucleare gli estremi di una c.d. “posizione di garanzia” e, quindi, di un “obbligo giuridico” del Vescovo Italiano di “vigilare”, nell’esercizio del proprio ministero, attivandosi per prevenire e/o impedire la lesione – da parte dei soggetti (sacerdoti) gerarchicamente a lui subordinati – di beni attinenti propriamente alla sfera sessuale dei destinatari di tale funzione ministeriale (così M. Cazzolino, Profili di responsabilità del Vescovo nei confronti di minori vittime di abusi sessuali, p. 353).
Pertanto, l’ipotesi della condotta del Vescovo, il quale a conoscenza di atti contrari o delittuosi realizzati dal sacerdote, abbia adottato rimedi pastorali inadeguati o addirittura sia rimasto inerte, e la sua condotta in ipotesi abbia causalmente “agevolato” l’abuso ovvero ne abbia consolidato la consumazione del reato, non può qualificarsi rilevante nell’ordinamento italiano ai sensi e per gli effetti dell’art. 40 cpv. cod. pen. (così M. Cazzolino, Profili di responsabilità del Vescovo nei confronti di minori vittime di abusi sessuali, p. 353)”.
*Psicologo e psicoterapeuta, perito forense, già docente di psicologia generale e psicologia della personalità all’Università Lumsa-Humanitas di Roma.
** Avvocato