Rav Roberto Della Rocca: “L’isolamento per sentire la nostra voce interiore”
19 Dicembre 2020
In questo momento sconvolgente d’insicurezza ontologica, in cui la stessa Medicina brancola alla ricerca di una soluzione scientifica, i Governi del Mondo si destreggiano tra gl’interessi faziosi ed il sostegno alle popolazioni, cosicché le Organizzazioni Religiose sono le uniche forze salvifiche al servizio della comunità dolente.
A tal proposito, dopo aver ascoltato alcuni insigni rappresentanti della Religione Cattolica, consultiamo una figura apicale del mondo ebraico italiano: Roberto Della Rocca, Rabbino e Direttore del Dipartimento Formazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. È stato Rabbino Capo di Venezia. Docente del Collegio Rabbinico Italiano. Autore di vari saggi di cultura ebraica tra cui: “Con lo sguardo alla luna. Percorsi di pensiero ebraico” ed. GIUNTINA 2005.
Quali difficoltà ha vissuto e vive Roberto Della Rocca nell’affrontare il dramma della Pandemia e delle indispensabili restrizioni?
In questi giorni di isolamento, terribili e angoscianti siamo spinti a soffermarci, a riflettere, tra le tante cose, sul senso della nostra esistenza e della nostra precarietà.
Cosa può insegnarci essere isolati dagli altri? Non poter condividere con nessuno, i pasti, la vita sociale, le preghiere, lo studio, il lavoro, la dimensione emotiva e affettiva. È una terribile dimensione. È molto tragica per un ebreo che dovrebbe essere sempre alla ricerca del “decimo” per raggiungere il “quorum “per espletare delle funzioni pubbliche fondamentali. Se pensiamo al fatto che la Torah prescrive che colui che fa maldicenza deve essere isolato dalla collettività, possiamo capire quale grave punizione sia quella del distanziamento, perché solo attraverso l’emarginazione si può comprendere il valore di una convivenza sociale costruttiva, basata su una comunicazione sana. La sospensione di molte attività può insegnarci come il fine non giustifica i mezzi, mai, e che persino nella realizzazione di progetti importanti, non si deve perdere il senso della propria direzione, lasciandosi sopraffare dall’impeto e dalla smania di costruire. In un’epoca in cui tutto è monetizzabile e nella quale ci sembra di non riuscire più a interrompere niente perché ci sentiamo sempre in ritardo, il tempo manca, il tempo non c’è. Non si riesce a raggiungere mai la propria mèta, che si rivela spesso fine a se stessa, come una forza che non si lascia più manovrare. Costruire una nostra dimensione spirituale non vuol dire solo trattenersi dal lavoro, ma anche trattenersi in sé, tornando a se stessi. Significa raccogliersi per lasciare spazio intorno a sé, prendendo quella distanza, dal consueto e dal quotidiano, che fa sì che tutto appaia in una nuova luce. Affanno, ansia, desiderio di captazione, caratterizzano i rapporti con le persone e con i progetti e finiscono spesso per coprirli, per renderli inaccessibili e per farsi divorare da questi. Questa “quarantena prolungata” può costituire una pausa momentanea per ascoltare la nostra voce interiore, un’interruzione, per chiederci chi siamo e dove stiamo andando, nel timore che l’agitazione, le energie profuse, i conflitti intrapresi (che la maggior parte delle volte non hanno neppure un perché), non ci facciano dimenticare i valori che giustificano la nostra stessa esistenza.
Cosa ha messo in campo l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per sostenere i propri correligionari?
L’Unione delle Comunità ebraiche italiane, come molte singole Comunità e organizzazioni ebraiche sono molto impegnate, da 9 mesi ormai, nella realizzazioni di piattaforme on line con, lezioni, dialoghi, sportelli di assistenza spirituale e psicologica etc. sia per adulti, sia per ragazzi e bambini. Sono iniziative molto apprezzate anche se nella nostra Tradizione il contatto de visu e non filtrato da schermi di nessun tipo, è fondamentale. Ma soprattutto in questa circostanza la tecnologia ci aiuta a continuare a sentirci una comunità, unita anche a distanza.
Quali sono le differenze nella gestione dell’Emergenza Sanitaria Covid-19 tra l’Italia e lo Stato d’Israele?
Le indicazioni sulla condotta da tenere in generale, disposte dalle autorità competenti dei due Paesi, sono state in generale le stesse. In queste situazioni c’è una precisa norma ebraica per la quale “la Legge dello Stato è Legge” e questo vale per tutti. In ottemperanza a queste disposizioni nei periodi più critici dei contagi, le Sinagoghe, come tutti i luoghi di preghiera e di studio sono stati chiusi. Tuttavia questa catastrofe ha costituito un’occasione per valorizzare ancora di più l’importanza di questi spazi che troppo spesso diamo per scontati. La loro continuità per la nostra sopravvivenza deve costituire un richiamo attivo e concreto per ognuno. Da sempre la nostra Tradizione ci insegna che anche nei momenti più drammatici della nostra vita dovremmo cogliere delle opportunità, sforzandoci di tirar fuori insegnamenti positivi anche dalle brutte esperienze. Ci sono dei valori come la Tefillà , la Preghiera , la Teshuvà, una profonda introspezione e un ravvedimento della nostra condotta, la Tzedakà , la giustizia sociale e la solidarietà, che costituiscono per noi ebrei il più forte antidoto contro la perdita di quel senso di responsabilità che ci rende umani.
“La Memoria è l’unico Vaccino contro l’Indifferenza” (Liliana Segre). Come restituisce Lei dignità alle vittime anziane cremate, agli scarti, alle vite spezzate dal Covid-19 ed al temibile virus dell’oblio? Qual è la lezione per tutti noi?
Si tratta di ricordare delle vittime inermi, delle creature divine che se ne sono andate senza una carezza e senza una parola di conforto e di preghiera. Siamo debitori verso queste persone di sentimenti di pietà e di misericordia particolari. Prego affinché il Misericordioso conceda loro la giusta ricompensa nel Mondo che è tutto Spirito. Quanto a noi, perché il ricordo non venga meno dobbiamo trarre da queste tristi storie l’insegnamento di quanto siano pericolose l’indifferenza e l’apatia. Immedesimarci nella solitudine dell’altro nella sofferenza ci deve aiutare nel presente a impedire la continuazione di sofferenza in casa nostra e nella casa del nostro vicino. Il ricordo delle proprie sofferenze -se non si vuole sia sterile deve aprire l’animo alle sofferenze altrui. Saper trarre lezioni dal male per volgerlo al bene è uno dei più importanti imperativi ebraici. Dobbiamo far rivivere l’esempio di queste vittime e cercare di realizzare ogni progetto positivo che a loro non è stato permesso mettere in atto. La Torah insegna che il giorno ebraico inizia alla sera quando è buio. Si va dal buio della notte verso la luce dell’alba e non al contrario. La Luce sorge, insegnandoci che dopo la terribile e lunga notte come quella che stiamo attraversando, usciremo dal tunnel per godere della luce. Se si scommette sulla vita, la luce di un giorno può durare per sempre. I giorni della luce possono moltiplicarsi soltanto se ognuno di noi è capace di mantenere, anche fra le macerie, l’olio consacrato per cui sta lottando.