Riccardo Corsolini: “Oggi la potenza dell’NBA non è più fatta di una sola bandiera”

Riccardo Corsolini: “Oggi la potenza dell’NBA non è più fatta di una sola bandiera”

12 Settembre 2023 Off Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

Appassionato di sport, olimpiadi e tecnologia, nato e cresciuto con il basket nella mente e nelle mani.
Collezionati più ferri che canestri da giocatore, da circa 10 anni scrive di questi temi su vari blog come radio & podcast speaker. Sensibile nella continua ricerca di informazioni, soprattutto se riguardanti le sue passioni.
La sua tesina del Liceo è stata “Una visione Olimpica della cultura” e in quell’anno ha vissuto una delle esperienze più belle della sua vita, partecipando ai Giochi di Londra.
Dopo un Master in Management dello Sport a Roma ha conosciuto NBN23 a Mantova, alla Finale Giovanile Under 17, durante la sua esperienza con la Federazione Italiana Pallacanestro.
Per NBN23, azienda che promuove la digitalizzazione nella pallacanestro amatoriale e non, è il Business Development Manager per l’Italia.
“Credo che lo sport abbia bisogno di innovazione e cambiamento e penso fortemente che il NothingButNet Group sarà una rivoluzione tecnologica per il basket italiano”.

Dietro il mondo patinato e luccicante degli sport più popolari c’è tutto un altro mondo senza il quale però il primo non potrebbe sopravvivere. Ce ne vuole parlare?

La casa del basket mette in mostra sempre il suo tetto, che per quanto riguarda l’Italia sono la Nazionale Senior, la Serie A e A2 di basket, le coppe europee e negli ultimi anni anche la Serie A Femminile. Possiamo ristrutturare o aggiustare il tetto quando e quanto vogliamo, ma la casa si reggerà sempre sulle sue fondamenta. Partendo dal minibasket, la prima vera mattonella; i campionati giovanili, per alcuni le scale per arrivare al tetto, per altri l’accesso al salottino delle Minors, che per quanto siano “Serie Minori” sono il grande bacino di utenza dal quale Federazioni e Associazioni/Organizzazioni parallele pescano tesserati o iscritti. Poi ci sono la prima e la seconda colata di cemento: il campetto e il 3×3. Per quanto la superficie e l’ambiente sia lo stesso, il campetto è veramente il contenitore della base del nostro sport, dove la democrazia regna sovrana, dando possibilità a tutti di giocare, scarso o forte che tu sia: “chi mette i tiri liberi gioca, altrimenti aspetta la partita dopo”. Il 3×3 sta perdendo un’altra strada. A livello europeo e mondiale, sotto l’egida FIBA, è già professionismo da anni, in Italia sta cercando di riprendersi il tesoretto dimenticato dello “Streetball” di anni fa e sta diventando sempre più strutturato e motivo per le città o i promoter di organizzare sempre un torneo, indipendentemente dalla stagione. Personalmente ritengo che il 3×3 sia sempre potuto essere per il nostro basket, quello che per il tennis è stato il padel, volano del movimento e molto più attrattivo per i giovani d’oggi e futuri. 10 minuti invece che 40, 12 secondi d’azione, invece che 24, con la palla che non si ferma mai, o quasi. Nuove stringhe di sponsor che il 5×5 non potrà mai o non può più attirare e in certi casi potrà essere il motivo di avviamento al basket, quindi reclutamento di cui tanto di parla per i più…ci siamo ancora lontani, ma ci stiamo avvicinando, spero presto.

Quanto ha pesato, se ha pesato, essere figlio di un giornalista sportivo nella sua scelta professionale?

Più che pesato direi influenzato dall’idea che lo sport, specie di squadra, sia un contesto privilegiato, così come mi è stata data l’idea che il mondo sportivo, per quanto in Italia sia statico e poco incline al cambiamento, sia comunque capace di offrire un contesto professionale. Sinceramente ho provato altre strade, ma la passione e l’idea che lo sport italiano possa viaggiare ad un’altra velocità rispetto alla zona 30 (km/h) su cui sta girando ora, mi hanno spinto ad intraprendere questo percorso.

Lei si occupa di dati e statistiche della Pallacanestro per conto di una società spagnola. Dati e statistiche che rappresentano per le società sportive la condicio si ne qua non per attuare un’adeguata programmazione.

In realtà non è sempre così. La pallacanestro italiana sta lentamente scoprendo l’importanza relativa al dato statistico. Alcune squadre stanno aggiungendo o hanno già aggiunto al loro staff dei Rilevatori Statistici. L’evoluzione di questa figura, il Match Analyst o il Data Analyst, che come materia deve ancora costruirsi una sua didattica e una sua bibliografia, la troviamo nei top team di Serie A e A2, ma credo siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi proprio sulla cultura del dato, la sua ricerca, la sua raccolta e la sua analisi. Già uno step importante sarà completare una digitalizzazione già avviata nella pallacanestro. Il dato, qualunque esso sia, rilevato su carta, non porta nessun valore aggiunto. Una volta creato un referto, una distinta, un documento cartaceo, questo viene messo in un raccoglitore insieme ad altri e lasciato in un armadio a fare la polvere. Andrò mai a cercare o rileggere quel pezzo di carta? Avrò la possibilità di trovarlo in maniera veloce (un filtro ricerca?) come posso farlo in digitale? Probabilmente no. Oggi contratti o clausole di contratti per i giocatori si basano su dati e statistiche. Tutto è misurato e tutto è misurabile, per cui credo che questo cambiamento, anche se solo avviato, non possa che far bene.

Il suo resta un osservatorio privilegiato. Come sta evolvendo il mondo della palla a spicchi?
Come si prospetta il futuro del Basket che sta diventando sempre di più uno sport di massa?

“Non siamo più nel 1992. I giocatori sono migliori in tutto il mondo, le squadre sono migliori. Non è facile vincere la Coppa del Mondo o le Olimpiadi”. Il fatto che la Germania arrivi in finale ai Campionati del Mondo è una dimostrazione plateale di quanto i confini del basket oggi si siano allargati. Questo ha detto Steve Kerr al termine della Semifinale persa dal suo Team USA, proprio contro la nazionale di Dirk Nowitzki, campione ed MVP NBA, ma che ha rinnovato completamente sulle note dei due fratelli Wagner, raggiungendo un traguardo storico. Proprio nel ’92, il Dream Team USA di Barcellona doveva vincere o stravincere per rivalutare la potenza dell’NBA fatta di americani. Oggi la potenza dell’NBA non è più fatta di una sola bandiera, ma di tanti giocatori extra americani che ne fanno le fortune. Oggi la pallacanestro, o anche solo una partita di basket, è più facile da giocare, più facile da organizzare, senza aver bisogno di troppi spazi e quando in asfalto (vd. 3×3) mediamente il campo non ha bisogno di manutenzione ed è uno sport che per definizione ci abitua a guardare verso l’alto. Quindi da Jordan in poi (quindi anche dal ’92) il basket ha sfondato anche i suoi confini diventando moda prima, poi cinema. Space Jam, la serie The Last Dance, la oggi in onda Winning Time sui Lakers di Magic e Kareem, quindi il film Air, sulla nascita delle scarpe che ancora oggi sono mito. Infine, l’intervento negli ultimi anni di NBA in Africa con il finanziamento di una Lega da parte degli stessi giocatori africani, il coinvolgimento di un personaggio come Obama, ha cambiato totalmente il profilo del futuro del continente, ricordando gli YOG Youth Olympic Games di Dakar nel 2026.