Riorganizzazione degli screening oncologici in Campania
24 Novembre 2018Antonella Guida: “La Regione sta lavorando per realizzare modelli organizzativi in sanità che puntano a passare da una logica adempitiva ad una nuova cultura partecipativa”.
Negli ultimi anni, la Regione ha avviato una capillare campagna di screening oncologici: mammella, cervice uterina, colon-retto. Tali attività sono state organizzate in ogni Asl, prevedendo un percorso privilegiato e gratuito per tutte le donne arruolate allo screening, con la copertura di tutti gli eventuali livelli di intervento. Facciamo il punto con la dottoressa Antonella Guida, dirigente di staff Direzione generale tutela della salute Regione Campania.
Da dove sono arrivate le risorse?
Per la realizzazione di questo programma sono state utilizzate, dapprima, risorse proprie regionali e poi quote di finanziamento stanziate dal Ministero della Salute, finalizzate al potenziamento del progetto.
Qual è stato l’andamento del programma di prevenzione, si possono tracciare i primi bilanci?
Bisogna partire dalla considerazione che nella nostra regione, purtroppo, il tasso di adesione agli screening non è ancora soddisfacente, in linea, del resto, con le altre regioni meridionali. Le cose sono migliorate ma ancora non basta. Per questo abbiamo pensato ad una diversa organizzazione degli screening per potenziare ulteriormente questa importante azione di sanità pubblica. Partendo dall’individuazione dei “requisiti standard per l’accreditamento del programma”. Tale fase, naturalmente, presenta numerosi elementi di complessità, legati al fatto che sono coinvolte simultaneamente diverse unità operative sanitarie e non.
Si spieghi meglio.
Vanno ridefiniti con puntualità i requisiti strutturali, individuando Centri screening, possibilmente in relazione al numero della popolazione eleggibile, per svolgere funzioni di front-office, con attivazione del percorso, anche di secondo livello diagnostico terapeutico e di follow-up successivo al trattamento. A seguire, i requisiti tecnologici: oltre alle apparecchiature utilizzate per gli specifici accertamenti va utilizzato il software gestionale di screening unico per l’intera regione. Il che consente adeguati collegamenti con la rete delle strutture coinvolte, permettendo la gestione del percorso, dalla fase di pianificazione a quella di valutazione dei risultati.
Infine i requisiti organizzativi, con il personale coinvolto che deve aderire al piano annuale della formazione integrato, finalizzato all’acquisizione ed al mantenimento della competenza, documentata, in relazione alle attività svolte.
Alla popolazione, deve essere offerta, inoltre, la promozione informata e consapevole della partecipazione al programma.
Rispetto a questo modulo organizzativo, si può ancora migliorare qualcosa?
Già da subito, un elemento di ottimizzazione del percorso è dato dall’adozione di un unico sistema informatico per gli screening oncologici. Difatti, con l’adozione della piattaforma Web Sani.A.R.P. per la gestione dei flussi dei dati, i vantaggi concreti sono innumerevoli, a cominciare dall’aggiornamento delle anagrafiche aziendali con il conseguente aggiornamento della coorte della popolazione eleggibile agli screening, alla gestione degli inviti, alla prenotazione degli appuntamenti, al collegamento con i laboratori per i referti e, non ultimo, alla possibilità di consultazione in tempo reale (il sistema si aggiorna ogni notte) dei dati.
Sono sufficienti i Centri screening?
Addirittura sono in eccesso. Rispetto ad oggi, infatti, stiamo individuando un minor numero di Centri screening ma con personale dedicato, iniziando con gli acquisti di apparecchiature utilizzando la via della centralizzazione, per passare poi alla gestione degli inviti attraverso il software unico Sani.A.R.P., fino allo sviluppo di un Piano della comunicazione regionale che deve continuare ad essere “governato” direttamente dalla Regione per consentire interventi omogenei, comunicativi/informativi, in tutta la Campania.
Sino ad oggi i medici di famiglia si sono sentiti esclusi da questi percorsi.
Non sarà più così. Siamo convinti che per l’adesione della popolazione ai programmi di screening un ruolo fondamentale spetta proprio ai medici di famiglia, presenza capillare sul territorio, che rappresentano una possibilità privilegiata finalizzata al reclutamento della popolazione a rischio di contrarre un tumore. Ci stiamo già muovendo, pertanto, in questa direzione.
Il MMG può, pertanto, svolgere un ruolo fondamentale nei programmi di screening, in particolare nella selezione e nell’informazione della popolazione da invitare (soprattutto quella che non aderisce all’invito) e nel counselling per le persone risultate positive al test.
Insomma, lei mira ad un cambiamento “culturale” dell’intero approccio all’azione preventiva.
Il vero cambiamento deve avvenire, per dirla con Weber, nelle motivazioni all’azione organizzativa da parte di tutti i soggetti coinvolti, motivazione che deve passare da una logica meramente autoreferenziale ad una “cultura sanitaria orientata all’utenza”, dal fare per “adempiere ad un Progetto”, al fare per soddisfare una necessità clinica ed un reale bisogno sanitario.
In estrema sintesi, per una sanità che dovrebbe tentare di fare ogni sforzo per passare da una logica adempitiva ad una nuova cultura partecipativa.