Rosario Paradiso: “L’arte marziale è vita”

Rosario Paradiso: “L’arte marziale è vita”

25 Giugno 2023 Off Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

La fase pandemica più acuta sembra essere oramai alle spalle anche se i continui colpi di coda non lasciano del tutto tranquilli. Come ha vissuto, come vive, come ha affrontato e come affronta questa situazione di grande difficoltà per il mondo dello sport? Come ha gestito la paura del contagio ed il disagio legato alle severe misure restrittive?

È quanto mai noto che il mondo dello sport sia stato travolto, assieme a tutti gli ambiti umani, dalla catastrofe virale. La peculiarità dell’ambito sportivo, però, è quella del contatto: parola difficile da pronunciare nel corso della pandemia. Forse è la più temuta. La privazione del contatto, soprattutto in ambito marziale, ha praticamente annichilito la pratica lottatoria nella prima tornata pandemica e con essa la socialità, la condivisione ed il senso di aggregazione che deriva dalla condivisione dei sudori. Nondimeno, la pratica si è riorganizzato sotto forma di intensi allenamenti individuali. In casa, negli spazi dei giardini, dei terrazzi o dei parchi la pratica sportiva è proseguita, come forma di terapia contro il male che ci attanagliava. La pratica marziale è stata un’ancora di salvezza, uno spiraglio di bellezza entro il contesto di soffocamento della paura vitale. Quasi un ponte con la situazione pre-pandemica, un appiglio al passato ed una proiezione di speranza per il futuro. I primi spiragli di ripresa, le prime riaperture hanno visto una progressiva ripresa del contatto, nella piena responsabilità degli attori coinvolti. Tamponi, igienizzanti e forme di fiducia sono state le chiavi per evitare contagi in pedana, sconfessando quei provvedimenti che hanno additato le palestre come potenziali focolai di contagio. Il presente risente inevitabilmente delle emorragie di praticanti date dalla fase pandemica ma il futuro prossimo lascia bene sperare.
Insieme alle restrizioni i tentennamenti del mondo politico hanno causato gravi danni allo sport, soprattutto a quello, cosiddetto, minore. Cosa è successo, in particolare, nella sua specialità?
Nel rispondere a questo quesito è forse opportuno chiarire preliminarmente un punto: la pandemia ha semplicemente messo in mostra la marginalizzazione delle arti marziali rispetto al mondo del calcio e facendo emergere la realtà italiana insomma, calciocentrica. Mi permetto di sollecitare il ricordo dei provvedimenti: alle riunioni settimanali dell’asse governo-Figc, improntate all’ansia di ripartire gli stadi e far ripartire il campionato quanto prima, ha fatto da contralateral il silenzio assordante sulla sorte delle arti marziali. Nulla, a dispetto della funzione educativa dello sport ed alla eguaglianza dei soggetti praticanti. In questo senso la fase pandemica, allora, è servita a far emergere la verità. Nondimeno, potrebbe essere il fomite per una sorta di levata di voci che recuperi la dignità dell’ambito marziale come valore di riferimento del contesto sportivo italiano. Per i suoi benefici molteplici, per la funzione sociale che riveste e per la tutela di coloro che muovono, con immani sacrifici economici, tutto questo apparato. La pandemia come. Momento di ripensamento della dignità del contesto marziale, fin troppo schiacciato e oscurato a discapito dei suoi mille meriti (e dei trofei vinti sotto leffige tricolore).
Chi è stato a spingerla all’attività agonistica? o si è trattato di una folgorazione magari guardando ai modelli dei grandi campioni?

Ho iniziato a praticare arti marziali sulla spinta di mio padre. In qualche modo lui rimase folgorato dalle arti marziali fin da piccolo. Avrebbe sempre volute praticarle ma, a causa delle condizioni economiche familiari, fu dirottato al lavoro sin da ragazzino. Senza alcun tempo per la pratica marziale. Fu lui ad accompagnarmi con insistenza nella mia prima scuola di arti marziali cinesi. Fu un’illuminazione, o amor a prima vista (come si suol dire). Da lì punti, calci e proiezioni iniziarono a divenire quotidianità e stile di vita, accompagnati alla filosofia della solidarietà, della protezione dei più deboli e della non belligeranza. Il tatami divenne scuola di vita è da lì iniziarono, per gioco, le prime gare, le scariche di adrenalina provate la prima volta mi piacquero a tal punto da innamorarmene. Non ne avrei voluto più farne ameno. Dopo 27 anni sono ancora lì, sul tatami, a sentire l’odore del palazzetto e ad emozionarmi. Il confronto migliora se stessi, è questo un dono immenso delle arti marziali che invito a testare da sé.
Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?
C’è un brocardo famoso secondo cui la forza di volontà batte il talento. Ci credo, ed è vero. Oppure potremmo dire che sia la forza di volontà, alla fine, ad essere il vero talento. Senza essa non ti spingi aldilà del sudore, del muscolo che cede, dei polmoni che scoppiano delle spalle che non si alzano più. Senza volontà, peraltro, non si riesce neppure a capire quale sia il proprio talento. Non si intraprende quel particolare percorso individuale che ti porta a scoprire quale sia la tua tecnica vincente, la tua strategia, il tuo punto di forza. Sudare, persistere, credere ed andare aldilà dell’ostacolo quotidiano. La forza di volontà è il punto archimedeo dell’arte marziale, è questa la mia tesi.
Se dovesse dare qualche “consiglio utile” ai ragazzi che si avvicinano alla sua specialità, cosa suggerirebbe?

Il consiglio che sento di dare è quello di praticare arti marziali per essere persone migliori. Ma migliori non solo in senso civico, come cittadini attivi e solidali, quanto come individui che prendano in mano la propria vita. L’arte marziale aiuta ad affrontare i propri demoni interni, le proprie paure. Ti pone dinanzi ad una sfida con te stesso, ti aiuta ad individuare i tuoi ostacoli ed a superarli. Essa fornisce un metodo di risoluzione dei problemi che può tranquillamente applicarsi alla vita fuori dalla tatami: la voglia di superare il dolore di un esercizio diventa quella di andare oltre un lutto, un licenziamento, così come la capacità strategica da applicare per una tecnica aiuta a risolvere complessi problemi della vita quotidiana (i cosiddetti dilemmi etici). L’arte marziale è vita. Vivetela, passateci attraverso. È questo il mio più sentito consiglio.