SANITÀ(ri) IN COMA (seconda parte)
12 Maggio 2024La sanità è in crisi! Sì! è in crisi perché condivide le contraddizioni, le sofferenze del quotidiano. Milioni di italiani non curano il proprio stato di salute per povertà economica. Ulteriori milioni portano sulla propria pelle i tempi biblici delle liste di attesa, la mancanza di personale, la inadeguatezza, la drastica riduzione dei posti letto, la fatiscente condizione di molte strutture sanitarie, i costi.
“Tutti dentro” come nel film-commedia che vede protagonista Alberto Sordi. Tutti siamo in parte colpevoli nel paese del Bengodi dove tutto è stato concesso, anche le discariche abusive. Colpevoli per i medicinali inutilmente prescritti e scaduti, di un surplus di analisi cliniche per esorcizzare l’ipocondria, di indagini strumentali alla identificazione del DNA delle goccioline di flugge. Molti svendono prudenza e intelligenza nel trita-pensieri del dottor Google ricco di promesse palestrate, corpi scolpiti, elisir di lunga vita, diete miracolose e frutti proibiti. Esiste un costante confronto su terapie di dubbia efficacia, veri e propri atti di fantascienza e promesse di vita eterna. Risveglio dalla morte nel tubo gelido dell’ibernazione.
La negazione del dolore e del lutto, il limite della scienza e il fine vita cadono nella gola profonda della speculazione di associazioni legali (e non solo) che negli ospedali e davanti alle sale mortuarie promettono indennizzi e rivendicazioni.
Un abile regista racconta, in un’estasi generale, del dr. House “l’illuminato” e della sua taumaturgia che non esiste nella realtà ma che diviene realtà sul piccolo schermo.
Mi chiedo, per capire il tempo presente e cosa potrebbe accadere nel tempo futuro, dove sia il principio di tutti gli interrogativi…. Inizio dalla nostra nuda virtualità, parlando del valore dell’uomo per l’uomo, del suo potenziale indifferenziato, della capacità di agire nella realtà. “La prima medicina che un buon medico prescrive è se stesso (Balint)”. Un medico consapevole che “dove non c’è nessun amore per il malato, là non c’è alcuna arte medica (Paracelso) “.
Una consapevolezza che ha tracciato la storia del progresso, il volto umano della medicina, la cui ricaduta supera, ancora oggi, i limiti dell’intervento scientifico. Ora resta l’interrogativo sul come un’improvvisa metamorfosi abbia modificato il pensiero, l’alleanza della inestricabile diade medico paziente.
Interrogativo complesso e di non facile soluzione. Sotto molteplici aspetti la violenza è sfuggita dall’ otre del Dio del vento portando indistintamente tutti in alto mare come accadde a Ulisse e ai suoi compagni di sventura. È sfuggita alle regole della convivenza civile generando diffidenza, disordine. In questo terreno di coltura dove sono sacche di emarginazione, povertà, fragilità, ingiustizia sociale e scontento, vite senza futuro, si diffonde l’intolleranza, il sospetto, la sfiducia, l’incomunicabilità, l’aggressività. Modelli comportamentali, giovanilismo, gossip e tanto altro esaltano quanto alla totalità delle persone è negato. Creano diversità, opposizione, senso di inutilità e indeboliscono con la forza mediatica la resilienza individuale predisponendo al rischio di una crisi del tessuto sociale.
In un crescendo di preoccupazioni si approda a iniziative estreme. Una chiamata alle armi pur necessaria nei limiti del dovuto ma illusoria per il contenimento del fenomeno in limiti fisiologici. Ospedali sicuri come strade sicure. Si investono del problema Prefetture, Questure. Si auspica la mobilitazione dell’esercito e corsi di autodifesa riservati a medici e personale sanitario.
È rischioso accreditare una medicina blindata.
Scrivo un concetto espresso da Karl Popper, filosofo ed epistemologo: “In che cosa consiste consapevolmente un modo civilizzato di comportarsi? Consiste nel ridurre la violenza. È questa la funzione principale della civilizzazione ed è questo lo scopo dei nostri tentativi di migliorare il livello di civiltà delle nostre società”.
In mancanza di provvedimenti si introducono vie di fuga, soluzioni inquietanti, le visite a cronometro, il disimpegno. Sotto il peso delle continue denunce di malasanità abbiamo, purtroppo, smarrito la sacralità del tempo da dedicare al paziente e la capacità di predisporre in un clima sereno e di fiducia l’eventuale diagnosi e terapia alla ricerca del migliore risultato possibile.
Ora vorrei condividere con chi legge un’amara riflessione sull’ “altro”. Il sospetto di una finta compassione, una sorta di ipocrisia, un cliché per le categorie deboli fatto di strenne natalizie e immagini e note musicali strappa lacrime, molto spesso, in assenza di una vera condivisione e in presenza di interessi speculativi. Resta una consapevolezza amara e senza appello, una maledetta incidenza di malattia che diffonde dall’odore acre e stomachevole di copertoni d’ auto e veleni industriali bruciati nelle tante terre dei fuochi, extra territori. Terre di nessuno dove non esiste legge ma una lunga lista d’attesa che ritarda diagnosi e cure favorendo lo sviluppo di tumori e malattie genetiche che infilano bambini, adulti, assenze e denunce senza risposte, speranza e rassegnazione, voci senza voce…