Secessione e sanità
4 Gennaio 2019Il “sogno proibito” di Umberto Bossi di dividere il Paese si sta concretizzando ad opera del duo Salvini-Di Maio ma, nel Sistema sanitario il dado è tratto da tempo.
C’è un’Italia industriale e commerciale a due velocità. E questo è un dato di fatto incontrovertibile. C’è volontà palese di certa politica di “liberare” il Nord, ricco ed opulento, dalla zavorra del Mezzogiorno. Anche questo è un dato di fatto.
Certo, siamo lontani dai “rituali celtici” di ampolle riempite alle sorgenti del Po e di improbabili parlamenti padani. Ma, dietro le mentite spoglie della maggiore autonomia di alcune regioni del Nord, a passi lunghi, si fa avanti una secessione “mascherata”, e neanche tanto, che finirà per dividere nella sostanza se non nella forma il Paese.
La parola secessione, un tempo esorcizzata, oramai trova sempre più spesso spazio negli editoriali dei più importanti commentatori politici. Sembra, al di là dei comuni giudizi negativi sulla possibile divisione dell’Italia, che sia caduto l’ultimo tabù. Serve a poco rivendicare l’unità nazionale in nome di concetti quali la solidarietà e i valori comuni. Sembrano essersi persi da tempo in un clima di babilonia generalizzato. Oltretutto ci sono i precedenti preoccupanti che sono “passati” nel silenzio assordante dei più e nel dileggio delle voci di chi ha espresso dissenso. La sanità è uno di questi precedenti. Nel settore deputato a garantire il bene più prezioso della salute non ci sarà bisogno di “maggiori autonomie”.
Le regole “condivise” – chiamate a disciplinare il Sistema sanitario nazionale – che ne hanno delegato la gestione alle Regioni hanno finito per proporre venti sistemi sanitari regionali: con le regioni virtuose tutte “incredibilmente” allocate al Nord e quelle claudicanti tutte altrettanto “incredibilmente” insistenti nel Sud.
La differenza di finanziamento sulla base delle risorse assegnate per la quota pro-capite su base nazionale prevede che siano necessarie risorse differenziate in rapporto a: situazione epidemiologica, demografica, economica. E, per la verità,I criteri di base nella distribuzione delle risorse per finanziare la sanità sono tuttora vigenti ma vengono ridimensionati dal principio “pesato a parte” dell’incidenza della popolazione anziana nei territori. Nessun “pesata a parte” invece per il criterio della, cosiddetta, povertà relative. Vale a dire le condizioni socio-economiche delle popolazioni. E questo nonostante una precisa raccomandazione in tal senso dell’Organizzazione mondiale della sanità. Il che si è tradotto in un maggiore finanziamento delle Regioni del Nord a scapito di quelle del Mezzogiorno, penalizzate dall’indice di natalità che le rende “più giovani”. Certo esistono ancora problemi legati alla cattiva gestione ma intanto continua ad avere di più – ed a poter investire di più – chi già ha di più.
Dal rapporto OsservaSalute 2017 dell’Università Cattolica di Milano, si evince che la Campania è il fanalino di coda per quanto attiene al finanziamento pro-capite: 1.729 euro a cittadino. La media italiana è di 1.845 euro pro-capite. A pochissima distanza dalla Campania ci sono poi la Sicilia, con 1.738 euro, e la Calabria con 1.741. Una differenza di circa 500 euro con la “regione” in testa alla classifica, la Provincia autonoma di Bolzano, che spende per la sanità 2.285 euro a cittadino. Ai primi posti della classifica ci sono anche Umbria (2.111), Molise (2051), Liguria 2.037, e Valle d’Aosta (2.018 euro). La Lombardia, infine, spende 1.861 euro pro capite.
I dati parlano da soli e, per il commento finale ci rifacciamo a quanto dichiarato dall’ex e dimissionario Presidente dell’istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi: «È evidente il fallimento del Servizio sanitario nazionale, anche nella sua ultima versione federalista, nel ridurre le differenze di spesa e della performance fra le regioni. Rimane aperto e sempre più urgente il dibattito sul “segno” di tali differenze. Si tratta di differenze inique perché non «naturali”, ma frutto di scelte politiche e gestionali». E ha aggiunto: «È auspicabile che si intervenga al più presto partendo da un riequilibrio del riparto del Fondo sanitario nazionale, non basato sui bisogni teorici desumibili solo dalla struttura demografica delle regioni, ma sui reali bisogni di salute, così come è urgente un recupero di qualità gestionale e operativa del sistema, troppo deficitarie nelle regioni del Mezzogiorno».
Più chiaro di così?