Sede del lavoro più vicina alla persona da accudire
8 Aprile 2019La Suprema Corte ha previsto che il lavoratore che assiste una persona disabile avrà diritto al trasferimento in una sede prossima al domicilio dell’assistito.
In tal senso una recentissima pronuncia della Cassazione (la numero 6150 del 2019) che chiarisce il diritto del c.d. assistente familiare al trasferimento più vicino alla persona assistita, ai sensi della legge 104.
L’assistente familiare è colui che gratuitamente, ed essendo legato da vincoli affettivi, aiuta un proprio congiunto non più autosufficiente a causa dell’età avanzata oppure di patologie croniche invalidanti. Si tratta di un’assistenza a tempo pieno o parziale, ma che tende a soddisfare tutte le necessità attinenti alla cura della persona. Si va, quindi, da attività espletate per sopperire a bisogni di tipo fisico, alla somministrazione dei pasti e di farmaci, od attività di tipo amministrativo, come per esempio l’esercizio di diritti connessi alla riscossione della pensione di anzianità, od altre attività che consistono in un supporto di tipo emotivo al fine di stimolare l’assistito a rendersi attivo nel corso della giornata.
Ebbene, la Cassazione ha chiaramente affermato che, con riferimento all’articolo 33, comma 5, della Legge 104 del ‘92, sussiste il diritto del familiare lavoratore, che assiste con continuità un parente o un affine entro il terzo grado in stato di handicap, di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Ha, altresì, statuito che tale diritto è applicabile non solo all’inizio del rapporto di lavoro, mediante la scelta della sede di primo incarico, ma anche nel corso del rapporto tramite domanda di trasferimento.
In definitiva, la ratio dell’articolo 33, comma 5, è quella di favorire l’assistenza al parente o affine diversamente abile, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all’epoca dell’inizio del rapporto stesso. Tale previsione rientra nel novero delle agevolazioni e provvidenze riconosciute, quale espressione dello Stato Sociale, in favore dei c.d. assistenti familiari, e ciò sul presupposto che il ruolo delle famiglie resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap.
Statuisce sempre in detta Ordinanza la Suprema Corte che il diritto alla salute psico-fisica, comprensivo dell’assistenza e della socializzazione, va dunque garantito e tutelato, al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, ivi compresa appunto la comunità familiare.
Pertanto, per i Giudici di legittimità né consegue che circoscrivere l’agevolazione in esame a favore dei familiari della persona diversamente abile solo al momento della scelta iniziale della sede di lavoro, equivarrebbe a tagliare fuori dall’ambito di tutela tutti i casi di esigenze di assistenza sopravvenute in un momento successivo, compromettendo i beni fondamentali protetti dalla Costituzione e dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 2006 e richiamati da numerose pronunce della Corte Costituzionale.