Sempre meno chirurghi, da eccesso di contenziosi a stipendi bassi ecco le ragioni della crisi
12 Giugno 2023La crisi di vocazioni tra i giovani chirurghi italiani appare più dipendente che in altre specialità dal contenzioso. Perciò l’ACOI, Associazione Italiana dei Chirurghi Ospedalieri, proporrà alla Commissione del Ministero della Giustizia per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale medica alcuni correttivi ai meccanismi della legge 24/2017 sulla responsabilità. Inoltre, chiederà il rispetto della legge 402 sulle reti formative affinché cresca il numero di strutture nelle quali si formano gli specializzandi e cessi l’accreditamento delle scuole universitarie che pongono ostacoli all’invio di propri discenti in piccoli ospedali decentrati per le attività pratiche. Marco Scatizzi, presidente ACOI, approfondisce con Doctor 33 i temi lanciati ad ‘Acoi Studio’, format di approfondimento online della società scientifica. Innanzi tutto, il dialogo conla commissione del ministero della Giustizia, teso ad estendere i casi in cui l’errore medico non genera contenzioso penale rispetto all’attuale norma circoscritta ai casi in cui si sono seguite linee guida e protocolli esistenti.
È una strada praticabile?
«Non è possibile depenalizzare l’errore in caso di lesioni ed omicidio colposo, perché tutti i cittadini sono uguali davanti alla Costituzione, medici e non. Un buon lavoro in quella sede potrebbe però arginare il contenzioso legale, cresciuto negli ultimi 15 anni (e anche di recente), e all’origine di tante vocazioni perse nelle scuole di chirurgia, come attesta un recente questionario da noi posto ai neo-laureati. Va anche detto che il contenzioso eccessivo, com’è in Italia, è spreco: ogni 100 denunce penali di cittadini solo 3 evidenziano colpa del sanitario, e non c’è un medico in carcere se non per casi di dolo».
Ma se è il contenzioso con la sua frequenza a spaventare i chirurghi, perché la crisi vocazionalesembra vedersinel servizio pubblico, e meno nel privato?
«In questo caso distinguerei i giovani chirurghi dai veterani. Il fattore-contenzioso scoraggia per lo più i giovani. La frequenza di denunce tra chirurghi, medici di urgenza, ginecologi, ortopedici è altissima, e l’attuale normativa sulla colpa medica dissuade dall’iscriversi alle scuole delle specialità citate. Del resto, una causa penale dura fino a 7 anni, se si aggiungono i 3-5 anni di una causa civile e poi l’eventuale danno erariale evidenziato dalle procure delle Corti dei Conti e le rivalse delle aziende sanitarie il medico rischia di stare in ballo 15-16 anni. Per chi è già in carriera invece la deterrenza non è più nelle cause ma nella routine, faticosa, dell’ospedale pubblico: per resistere si deve forse avere anche un’inclinazione per l’aspetto sociale del proprio lavoro. Ma ad una certa età il chirurgo che non ha sbocchi di carriera valuta eventuali richieste giunte dal privato convenzionato, che gli presentano più vantaggi: maggior reddito, possibilità di proporre interventi di nicchia a pari se non minore probabilità di contenziosi, niente obblighi di guardie notturne sabato e domenica, o di presenza in Ps, ed infine “certezza del posto fisso” perché, proprio come l’ospedale pubblico, quello privato accreditato pesca il suo budget dal Fondo sanitario nazionale».
Che cosa proporrete al Ministro Nordio?
«Primo, disincentivare il ricorso al processo penale con strumenti che indirizzino il contenzioso nel suo corso naturale finalizzato quasi sempre al risarcimento. Secondo, nel contenzioso civile strumenti per accrescere le situazioni in cui è chiamata in causa la struttura ed è alleggerito di conseguenza il profilo del sanitario singolo, sulla falsariga di quanto avviene per la responsabilità dei Magistrati. Infine, un modello di conciliazione regionale già testato in Provincia di Bolzano ed adottato in Francia, nel quale anziché cercare di chi è la responsabilità si cerca di capire quanto quest’ultima sia evidente, sfumata o inconsistente, e di individuare un nesso tra probabilità di errore, alea ed entità del risarcimento eventuale».
Torniamo ai giovani chirurghi. Acoi sta approntando un documento per migliorare la qualità degli insegnamenti. Cosa chiedete?
«Chiediamo l’applicazione della legge 402/2017, che istituisce una rete formativa degli ospedali di insegnamento ma non ovunque è rispettata dagli atenei. Se adottata in modo corretto, fa sì che vengano utilizzati per la pratica degli specializzandi non solo la clinica universitaria ma anche gli altri ospedali, dove si espletano interventi più “routinari”. In questo modo crescono i posti e dunque le chance per il giovane chirurgo di eseguire gli interventi richiesti nel curriculum. In un percorso virtuoso la scuola universitaria mette in rete tutti gli ospedali dell’area dove insiste; ed incarica docenti a contratto tra i dirigenti ospedalieri, oltre ad attivare periodi di permanenza degli specializzandi in tutte le strutture. Ci sono però gli atenei che vogliono tenere tutto “in casa” e lì i posti per la pratica sono di meno; risultato: i neolaureati dall’inizio si rivolgono verso sedi d’ateneo dove gli si offre la possibilità di una rete formativa. Noi pensiamo che le scuole prive di una rete formativa efficiente non vadano accreditate: è scritto nella legge, del resto. Chiederemo una circolare dei ministeri di Salute ed Università, congiunta, per dare input uniformi per tutte le specialità, da applicare ateneo per ateneo. Per noi è un punto essenziale: un chirurgo non può imparare solo guardando, se salta il numero di interventi da dimostrare di aver svolto, la scuola dove ci si è formati non è accreditabile».
È una strada praticabile?
«Non è possibile depenalizzare l’errore in caso di lesioni ed omicidio colposo, perché tutti i cittadini sono uguali davanti alla Costituzione, medici e non. Un buon lavoro in quella sede potrebbe però arginare il contenzioso legale, cresciuto negli ultimi 15 anni (e anche di recente), e all’origine di tante vocazioni perse nelle scuole di chirurgia, come attesta un recente questionario da noi posto ai neo-laureati. Va anche detto che il contenzioso eccessivo, com’è in Italia, è spreco: ogni 100 denunce penali di cittadini solo 3 evidenziano colpa del sanitario, e non c’è un medico in carcere se non per casi di dolo».
Ma se è il contenzioso con la sua frequenza a spaventare i chirurghi, perché la crisi vocazionalesembra vedersinel servizio pubblico, e meno nel privato?
«In questo caso distinguerei i giovani chirurghi dai veterani. Il fattore-contenzioso scoraggia per lo più i giovani. La frequenza di denunce tra chirurghi, medici di urgenza, ginecologi, ortopedici è altissima, e l’attuale normativa sulla colpa medica dissuade dall’iscriversi alle scuole delle specialità citate. Del resto, una causa penale dura fino a 7 anni, se si aggiungono i 3-5 anni di una causa civile e poi l’eventuale danno erariale evidenziato dalle procure delle Corti dei Conti e le rivalse delle aziende sanitarie il medico rischia di stare in ballo 15-16 anni. Per chi è già in carriera invece la deterrenza non è più nelle cause ma nella routine, faticosa, dell’ospedale pubblico: per resistere si deve forse avere anche un’inclinazione per l’aspetto sociale del proprio lavoro. Ma ad una certa età il chirurgo che non ha sbocchi di carriera valuta eventuali richieste giunte dal privato convenzionato, che gli presentano più vantaggi: maggior reddito, possibilità di proporre interventi di nicchia a pari se non minore probabilità di contenziosi, niente obblighi di guardie notturne sabato e domenica, o di presenza in Ps, ed infine “certezza del posto fisso” perché, proprio come l’ospedale pubblico, quello privato accreditato pesca il suo budget dal Fondo sanitario nazionale».
Che cosa proporrete al Ministro Nordio?
«Primo, disincentivare il ricorso al processo penale con strumenti che indirizzino il contenzioso nel suo corso naturale finalizzato quasi sempre al risarcimento. Secondo, nel contenzioso civile strumenti per accrescere le situazioni in cui è chiamata in causa la struttura ed è alleggerito di conseguenza il profilo del sanitario singolo, sulla falsariga di quanto avviene per la responsabilità dei Magistrati. Infine, un modello di conciliazione regionale già testato in Provincia di Bolzano ed adottato in Francia, nel quale anziché cercare di chi è la responsabilità si cerca di capire quanto quest’ultima sia evidente, sfumata o inconsistente, e di individuare un nesso tra probabilità di errore, alea ed entità del risarcimento eventuale».
Torniamo ai giovani chirurghi. Acoi sta approntando un documento per migliorare la qualità degli insegnamenti. Cosa chiedete?
«Chiediamo l’applicazione della legge 402/2017, che istituisce una rete formativa degli ospedali di insegnamento ma non ovunque è rispettata dagli atenei. Se adottata in modo corretto, fa sì che vengano utilizzati per la pratica degli specializzandi non solo la clinica universitaria ma anche gli altri ospedali, dove si espletano interventi più “routinari”. In questo modo crescono i posti e dunque le chance per il giovane chirurgo di eseguire gli interventi richiesti nel curriculum. In un percorso virtuoso la scuola universitaria mette in rete tutti gli ospedali dell’area dove insiste; ed incarica docenti a contratto tra i dirigenti ospedalieri, oltre ad attivare periodi di permanenza degli specializzandi in tutte le strutture. Ci sono però gli atenei che vogliono tenere tutto “in casa” e lì i posti per la pratica sono di meno; risultato: i neolaureati dall’inizio si rivolgono verso sedi d’ateneo dove gli si offre la possibilità di una rete formativa. Noi pensiamo che le scuole prive di una rete formativa efficiente non vadano accreditate: è scritto nella legge, del resto. Chiederemo una circolare dei ministeri di Salute ed Università, congiunta, per dare input uniformi per tutte le specialità, da applicare ateneo per ateneo. Per noi è un punto essenziale: un chirurgo non può imparare solo guardando, se salta il numero di interventi da dimostrare di aver svolto, la scuola dove ci si è formati non è accreditabile».