Serve un fondo per i sanitari esposti al rischio biologico
21 Aprile 2020Non si può imputare al medico la colpa per ritardi terapeutici causati dall’assenza di indagini diagnostiche o da problematiche derivanti da una organizzazione aziendale non in grado di rispondere all’emergenza.
Gli errori e le inefficienze nelle cure ai pazienti, affetti da Coronavirus, causati dalle mancanze delle Regioni, dalle deficienze delle direzioni delle Aziende sanitarie non possono essere addossate ai medici.
Riteniamo che, per tutti gli eventi avversi verificatisi durante la pandemia, e dopo la dichiarazione dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, gli esercenti le professioni sanitarie, siano essi medici dirigenti o medici convenzionati, non debbano rispondere civilmente, penalmente, e per danno erariale se non in caso di dolo.
La nostra richiesta trova giustificazione nella particolarità della malattia da virus Covid-19 e dell’inesistenza di consolidati protocolli da adottare che rendono la prevenzione e la cura della patologia derivante da tale virus di particolare complessità e difficoltà tecnica, anche alla luce della carenza di dispositivi di protezione individuali (Dpi) attualmente a disposizione del personale sanitario.
La carenza dei Dpi, inoltre, comporta che gli operatori sanitari medesimi possano essere fonte di contagio e pertanto, considerando la non imputabilità di tale carenza in capo ai medici stessi, essi non possono essere chiamati a rispondere in sede civile ed in sede penale, e nello specifico del reato di cui all’articolo 452, c. 1, c.p. Quindi non può essere ritenuto responsabile di pandemia colposa il medico che, in mancanza di Dpi, abbia visitato comunque i pazienti, al fine di non incorrere nel reato di omissione di soccorso, o il medico che, in assenza di linee guida e protocolli validati, abbia adottato procedure o somministrato farmaci anche off label, avvalendosi della clinica e della propria esperienza, al fine di impedire la morte e preservare l’integrità fisica del paziente e abbia agito in stato di necessità.
Siamo convinti che non si può imputare al medico la colpa per ritardi terapeutici causati dall’assenza di indagini diagnostiche disponibili o da problematiche derivanti da una organizzazione aziendale non in grado di rispondere all’emergenza. Denunciamo, inoltre, la mancata tutela del personale sotto il profilo della sicurezza dei lavoratori e sollecitiamo una normativa capace di tutelare i sanitari, ma anche i pazienti. Allo scopo proponiamo l’istituzione di un fondo di indennizzo per i sanitari esposti al rischio biologico, comprendente sia il rischio batteriologico che virologico ed una modifica del decreto legge 18 del 2020 in materia di tutela derivante dall’infortunio sul lavoro. Tale norma, infatti, non prevede alcuna tutela per i medici convenzionati e gli specialisti ambulatoriali. Sarebbe, pertanto, necessario, analogamente a quanto previsto all’articolo 42 del decreto legge 18, di introdurre una specifica tutela anche per tale categoria di operatori sanitari.
Siamo in attesa, inoltre, di linee guida e protocolli validati per la gestione della fase 2 sul territorio, ad oggi totalmente abbandonato a sé stesso, soprattutto in vista della pandemia influenzale e, in relazione a ciò, chiediamo che la campagna vaccinale venga estesa a soggetti under 65, anche in assenza di patologie concomitanti e che venga anticipata agli inizi di ottobre.
L’attuale pandemia deve essere spunto per ripensare anche allo status giuridico del medico convenzionato che, come da ampia letteratura giurisprudenziale, è considerato un parasubordinato. Anche se si parla formalmente di autonoma organizzazione dei medici di medicina generale, sostanzialmente gli stessi rispondono ai dettami richiesti dall’Ente committente (vedasi i codici di comportamento che assimilano i convenzionati ai dipendenti pubblici sulla base del decreto presidente della repubblica numero 62 del 16-4-2013) e per quanto riguarda la modalità di erogazione delle prestazioni e per quanto riguarda il rispetto dei budget messi a disposizione e per tale ragione l’Ente committente deve farsi carico della sua tutela a partire dagli idonei strumenti di protezione.
La mancanza di autonoma organizzazione è sottolineata da ampia giurisprudenza relativa alla non imposizione dell’Irap per i medici di famiglia. Si deve cominciare a ipotizzare un contratto unico per tutte le figure che lavorano per il Sistema sanitario regionale e, nello specifico, per quel che riguarda i medici di base prevedere, attraverso lo strumento contrattuale, le tutele già contemplate per alcune aree della medicina del territorio (Specialistica ambulatoriale e Medicina dei servizi)
*Segretario generale Sindacato medici italiani