Servizio sanitario, niente rimborsi se non c’è evidenza scientifica
12 Maggio 2019In mancanza di terapie validate dalla ricerca e di comprovata efficacia per il paziente, il Sistema assistenziale pubblico non è tenuto a pagare le prestazioni.
La Suprema Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, con recentissima Ordinanza recante n. 10719 del 2019 ha sancito il principio in virtù del quale il Servizio Sanitario Nazionale può erogare prestazioni solo in caso di evidenze scientifiche. Pertanto, non potranno essere pagate cure la cui efficacia non è dimostrabile in base ad evidenze scientifiche.
La Corte è giunta a tale determinazione partendo dal presupposto che il diritto alle cure deve essere accertato in base ai presupposti richiesti dalla disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 502/92, il quale detta le disposizioni in materia di tutela del diritto alla salute, programmazione sanitaria e definizione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza, definiti dal piano Sanitario Nazionale nel rispetto dei principi della dignità umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità dell’impiego delle risorse.
Inoltre, continua la Cassazione nella propria Ordinanza, sempre detto Decreto Legislativo 502 del 92 indica il contenuto dei cosiddetti Lea (Livelli essenziali di assistenza), individuando anche le prestazioni che ne sono escluse, ove prevede che sono posti a carico del servizio Sanitario Nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate. In tal senso devono considerarsi esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio Sanitario Nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio Sanitario, non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate.
In definitiva, sostiene la Cassazione, per l’erogazione gratuita di prestazioni sanitarie da parte del Servizio Sanitario si richiede il rispetto di alcuni criteri ovvero che le prestazioni presentino, per le specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, validate da parte della comunità scientifica; l’appropriatezza, che impone che vi sia corrispondenza tra la patologia ed il trattamento secondo un criterio di stretta necessità, tale da conseguire il migliore risultato terapeutico con la minore incidenza sulla qualità della vita del paziente; l’economicità nell’impiego delle risorse, che impone di valutare la presenza di altre forme di assistenza meno costose e volte a soddisfare le medesime esigenze, di efficacia comparabile, considerando quindi la possibilità di adeguati e tempestivi interventi terapeutici concorrenti o alternativi erogabili dalle strutture pubbliche o convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale.
Si tratta, in realtà, di requisiti concorrenti che coniugano, ragionevolmente, le diverse esigenze, concernenti la sfera della collettività e la tutela individuale.
Pertanto, sulla base di questi principi, la Suprema Corte ha sancito che il Servizio Sanitario Nazionale non è tenuto a pagare cure la cui efficacia non è dimostrabile sulla base di evidenze scientifiche.