Storia di ordinaria visita oculistica
25 Febbraio 2019Tradire Ippocrate non tanto per l’aspetto scientifico ma per la modalità di accoglienza della persona malata che, in casi non isolati, volge alla scortesia ed alla scarsa professionalità.
Occhiali scuri a specchio, l’immancabile cellulare nelle mani ed atteggiamento distaccato, come di chi non intende lasciare “varchi aperti” atti ad incoraggiare eventuali tentativi di approccio. L’ambientazione, però, non è quella del bordo piscina di un Hotel, né di qualsiasi altro luogo pubblico dove chi sta “sulle sue”, magari trincerato dietro occhiali scuri che impediscono la visione degli occhi, lancia un segnale inequivocabile: non ho voglia di socializzare e, pertanto, non disturbate.
Il siparietto, di cui sopra, si svolge in un locale del Palazzo della salute dell’Azienda sanitaria locale di Caserta. Un nome pretenzioso assai, dato che ci troviamo al cospetto di un fabbricato pieno di barriere architettoniche e con scarsi accessi per persone portatrici di handicap. Insomma, un plesso più adatto ad ospitare uffici privati piuttosto che riferimenti sanitari aperti al pubblico.
Ma torniamo a noi. Siamo nell’ambulatorio oculistico del distretto del capoluogo e la signora, affetta da grave forma di diabete, fa il suo ingresso nell’ambulatorio oculistico per effettuare la visita debitamente prenotata.
Comincia così la pantomima: Come mai questa controllo della vista? Soffro di diabete. Quali sono i valori della glicemia? Non li conosco. Si rende a questo punto necessario il controllo richiesto che è stato effettuato, in loco, attraverso una striscetta reattiva per la valutazione glicemica.
Una premessa, e conseguente scambio di battute, essenziale ma senza che la specialista abbia mai mollato occhiali scuri a specchio e messaggistica del cellulare.
Quando viene fuori il risultato del test ecco, però, il primo colpo di scena. L’oculista, sempre armata di cellulare e senza mai separarsi dagli occhiali scuri, ritiene superflua la visione del referto: “a me cosa interessa della glicemia? Un cambiamento repentino quanto inatteso, mentre fa il suo ingresso nella stanza un’infermiera per somministrare alla paziente gocce di atropina per ottenere la dilatazione delle pupille necessaria all’esame del fondo oculare.
Le perplessità della signora, già messa a dura prova dall’approccio “professionale”, diventa sconcerto quando la dottoressa annuncia che “massimo per le 10” sarebbe andata via. Ed io, semicieca per l’avvenuta dilatazione pupillare – si è chiesta a questo punto la malcapitata, sempre più frastornata – “sarò visitata o abbandonata in balia degli eventi? Alla fine, per fortuna, la prestazione è stata erogata, sempre con occhiali a specchio “incorporati”. Non mettiamo becco sull’attendibilità dell’eventuale diagnosi, ma una domanda sorge spontanea: sono questi i modi?