Studio innovativo: rapporto fra biologia e tumori
9 Giugno 2023Il lavoro del prof.
Massimo Pancione, ricercatore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università del Sannio (direttore Pasquale Vito) pubblicato su Cell Press https://doi.org/10.1016/j.isci.2023.106602 apre nuovi scenari nella comprensione della biologia delle cellule animali e l’origine di patologie rare.
In una nota si rileva, infatti, che “i risultati degli esperimenti sono, a detta degli stessi autori, sorprendenti perché hanno permesso d’identificare un nuovo meccanismo molecolare che determina l’identità cellulare”. Il lavoro nasce da una collaborazione tra diversi gruppi di ricerca nazionali (prof. Luigi Cerulo, docente di Bioinformatica del Dipartimento di Scienze e Tecnologie, Unisannio; Istituto Telethon di Napoli, prof. Brunella Franco; Università di Verona, dottor Mirco Galiè; Ospedale Fatebenefratelli di Benevento, dottor Nicola R. Forte; IRCCS di San Giovanni Rotondo, Foggia, dottoressa Paola Parente; Università di Foggia, dottor Guido Giordano) ed internazionali (Università di Strasburgo, Francia, dottor Johan Busselez). Il team ha usato una combinazione delle più recenti tecnologie bioinformatiche, proteomica spaziale e microscopia ad alta risoluzione per indagare la presenza di molecole prima sconosciute all’interno di singoli organelli intracellulari. “Il macchinario molecolare identificato chiamato ‘spliceosoma’ permette alle cellule animali di formare l’RNA maturo ed è stato trovato inaspettatamente su minuscoli organelli intracellulari chiamati ‘centrosomi’, fondamentali per la divisione cellulare e per la costruzione dei caratteri sensoriali chiamati ciglia delle cellule animali” si evidenzia nella nota del Fatebenefratelli.
Per anni e fino ai giorni nostri, si sottolinea, “la teoria dominante è stata che lo spliceosoma dovesse localizzarsi ed operare esclusivamente all’interno del nucleo dove risiede il nostro patrimonio genetico, il manuale di istruzioni che stabilisce ciò che saremo”. I risultati del lavoro di Pancione e colleghi “sono sorprendenti perché sfidano la visione dominante arrivata ai giorni nostri che il macchinario che permette l’espressione ed il funzionamento dei geni sarebbe confinato esclusivamente nei nuclei”. Gli studiosi hanno trovato che questo macchinario che modifica i nostri geni può trovarsi fuori dal nucleo, su organelli chiamati ‘centrosomi’, necessari per distribuire il corretto patrimonio genetico durante la riproduzione cellulare e consentire alle cellule di interagire con l’ambiente esterno. Il nostro corpo contiene centinaia di tipi diversi di cellule specializzate. Ogni cellula ha caratteristiche molto specifiche che le consentono di svolgere il proprio compito. Tuttavia ogni cellula contiene gli stessi geni – lo stesso ‘libretto di istruzioni’ biologico. Ma quindi cosa è che rende diversa ogni tipo di cellula? Il team ha scoperto che i corpuscoli che hanno definito ‘spliceosoma citoplasmatico’ opera distintamente nelle cellule, ed è più attivo nelle cellule staminali, capaci di autorinnovarsi e differenziarsi in cellule specializzate che producono caratteri sensoriali e che costituiscono i tessuti riproduttivi femminili. Ad esempio, nelle cellule epatiche del fegato, che in condizioni non patologiche non vanno incontro ad autorinnovamento, il meccanismo risulta inattivo. Quando si verificano alterazioni geniche come nel caso di tumori maligni relativamente rari del fegato e delle vie biliari (colangiocarcinomi), questi minuscoli corpuscoli si attivano determinando una proliferazione cellulare incontrollata di quel tessuto e un esito quasi sicuramente infausto.
La ricerca, quindi, apre nuovi scenari per comprendere fenomeni biologici finora sconosciuti che potrebbero avere un ruolo fondamentale nelle applicazioni in campo medico aiutando ad identificare nuovi bersagli per le malattie genetiche rare e non, attualmente incurabili. Soddisfazione del Superiore dell’Ospedale Sacro Cuore di Gesù Fatebenefratelli di Benevento, Fra Lorenzo Antonio Gamos, della Direzione Amministrativa e Sanitaria, per aver visto protagonisti nella ricerca, il dottor Nicola R. Forte direttore dell’Uoc di Patologia Clinica e i suoi collaboratori.