Un pestone che pesta la vita: la storia di Santo Romano e il volto oscuro della movida napoletana

Un pestone che pesta la vita: la storia di Santo Romano e il volto oscuro della movida napoletana

3 Novembre 2024 Off Di Fabio De Biase

Una tragedia improvvisa, brutale e apparentemente inspiegabile ha scosso San Sebastiano al Vesuvio e l’intera area napoletana, portando via con sé il giovane Santo Romano, un ragazzo di 19 anni con un volto pulito e una passione autentica per il calcio. La sera della sua morte, Santo era uscito con amici, in un contesto che per lui doveva essere di svago e leggerezza, ma un banale incidente – un piede pestato – ha scatenato una furia cieca e assurda. Una lite che non avrebbe mai dovuto lasciare il campo delle parole è degenerata rapidamente, culminando in uno sparo al petto, un colpo letale che ha messo fine alla vita del giovane.

Una dinamica assurda

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il responsabile della tragedia è un diciassettenne con precedenti penali, già noto alle forze dell’ordine, che non ha esitato a estrarre una pistola e fare fuoco su Santo. Il ragazzo colpito non era solo: un suo amico è rimasto ferito al gomito, sebbene le sue condizioni non siano gravi. L’intero alterco è nato per un motivo futile, un piede inavvertitamente calpestato, trasformato da un’escalation di rabbia e orgoglio giovanile in una violenza definitiva. La situazione è degenerata in pochi istanti, sotto gli occhi impotenti di amici e passanti che mai avrebbero potuto prevedere l’epilogo tragico della serata.

L’arma usata per uccidere Santo, a quanto risulta, era un revolver, probabilmente portato con sé dal diciassettenne senza particolari ragioni se non quella di “protezione” o di esibizione di forza, come spesso avviene nelle dinamiche della “mala movida” napoletana​

La reazione della comunità

Il dramma ha suscitato profonda commozione e indignazione non solo a San Sebastiano, ma in tutta l’area vesuviana e napoletana, già ferita da episodi simili. “Bisogna disarmare Napoli,” ha dichiarato con forza l’arcivescovo Mimmo Battaglia, richiamando la comunità a una riflessione sulla disumanizzazione della violenza. “Non sarà la violenza a vincere,” ha aggiunto, esortando a costruire percorsi di pace, giustizia e rinascita​

Il sindaco di San Sebastiano al Vesuvio e le istituzioni locali hanno espresso la propria vicinanza alla famiglia e agli amici di Santo. La morte del ragazzo mette in discussione il sistema di sicurezza nella provincia e l’incapacità di fermare l’accesso alle armi da parte dei minori. Sempre più spesso, armi di piccolo calibro circolano tra i giovani, che le portano con sé quasi come un accessorio, pronte a trasformare qualunque banale diverbio in una tragedia irreparabile.

La comunità è paralizzata dal dolore e dall’incredulità. I genitori di Santo, familiari e amici descrivono il giovane come una persona tranquilla, che non aveva mai cercato conflitti, un ragazzo incensurato, pulito e con una passione bruciante per il calcio. Tutti lo ricordano come un talento del suo piccolo club locale, e la sua scomparsa lascia un vuoto immenso in chi lo conosceva​

Le radici della violenza giovanile

Questo dramma s’inscrive in un contesto più ampio e drammatico. Negli ultimi anni, Napoli e la sua provincia sono state teatro di una serie di episodi di violenza legati alla criminalità giovanile, con la diffusione di un fenomeno che in molti chiamano “mala movida”. Si tratta di un ambiente in cui, tra locali, piazze e strade affollate, s’intrecciano relazioni giovanili spesso influenzate dall’esibizione di forza, dall’ostentazione e dalla violenza latente. In questi ambienti, un’offesa accidentale o una provocazione può facilmente degenerare, portando con sé conseguenze irreparabili, come nel caso di Santo.

I dati preoccupanti sulle morti violente in contesti simili mettono in evidenza una questione sociale e culturale ancora irrisolta. La pistola che ha ucciso Santo non è solo un’arma da fuoco, ma un simbolo del degrado e della disperazione di una generazione che, invece di trovare rifugio nella solidarietà, si perde nella violenza.

L’interrogativo che resta

Resta aperta la domanda che questa tragedia ha lasciato: come siamo arrivati a questo punto? Cos’è che spinge un giovane a portare con sé un’arma in una serata qualunque, pronto a usarla per una banale provocazione? Si tratta forse di un’assenza di modelli positivi, di una mancanza di fiducia nella società? Oppure è il riflesso di un disagio sociale più profondo che non riesce a trovare risposte?

E infine, come possiamo, come società, cambiare questa traiettoria oscura per salvare i nostri ragazzi? Forse la risposta si trova nel coraggio di affrontare questi problemi alla radice, nell’educazione e nella ricostruzione di valori positivi e nella tutela dei luoghi di aggregazione. O forse, come ci suggerisce l’Arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, bisogna semplicemente imparare a deporre le armi, fisiche e morali, e costruire percorsi di pace. Ma sapremo farlo, prima che un altro innocente sia portato via dalla violenza?