Un secolo senza saggezza

Un secolo senza saggezza

2 Novembre 2024 Off Di Corrado Caso

Questo è un secolo senza saggezza… Cose e persone non stanno più in piedi. Perdono continuamente il naturale equilibrio. Tutto è indefinibile, inopportuno, tutto è in flagranza, inatteso ma puntualmente presente. Come nel gioco del domino cadono i pezzi, uno dopo l’altro. Il successivo a causa del precedente e con essi il presupposto che, sotto un regime di morte, nulla di quanto abbiamo rimarrà in piedi. Questo è il secolo senza saggezza: il secolo atomico.   Per le strade della storia che ricorre, a nulla servirà un esercito di flagellanti dal petto scoperto e sanguinante, il decalogo di un’autopunizione collettiva alla ricerca di una purificazione per i tanti figli morti di fame, sete o per la violenza deflagrata in un ultimo atto di guerra. Si potrebbe ripetere, oggi, un’alleanza perversa   che vide, nel secolo breve, il connubio tra guerra e pandemia. Fu la Grande Guerra e alla Pandemia fu data una cittadinanza di comodo, strumentale alla propaganda di guerra chiamandola Spagnola. Ma le pandemie non amano la retorica e le menzogne vengono smentite dalla realtà.  Furono 30 o 50 milioni di morti nelle maledette trincee e in una popolazione stremata da fame e   guerra.
  I miei nonni persero, nel breve spazio del palmo della mano, sei figli e l’espressione del loro volto divenne l’urlo di Munch che nel tempo si trasformò in   una sofferta rassegnazione. Persero per giorni la parola ma le rughe della sofferenza erano solchi profondi più eloquenti delle parole e gli occhi guardarono il vuoto perché la realtà aveva l’abito della morte.
Nei sentieri di montagna, sul Carso, sulla riva del Tagliamento le fosse comuni, i precipizi e le foibe divennero la gola profonda della follia, l’esaltazione dell’odio. Una   vita non vita, legata al desiderio della sopravvivenza, alla speranza di ritrovare il mondo degli affetti. Nelle trincee come negli ospedali l’anima si frantumò. Diventò liquida, precipitata nel fango, tormentata dal desiderio di ritrovare i brandelli di carne di un corpo che gli era appartenuto.
Eppure, il grande libro del secolo breve si era aperto con Expo di Parigi con i suoi 51 milioni di visitatori prevenienti da ogni angolo della terra.  Era il preludio alla Belle Époque, la fede nel progresso, l’avvento della macchina, l’ebbrezza della luce e di un grande fervore artistico e culturale che, come tessere musive, avrebbero creato la nuova identità di una generazione felice, l’illusione che Marianne con il suo messaggio di Liberté, Égalité e Fraternité avrebbe scoperto il seno e nutrito la vita.
 C’era un mondo parallelo che di lì a poco avrebbe   risucchiato, al pari di un buco nero, il cosmo, la ragione, la religione, il senso critico, l’altezza della Tour Eiffel, espressione di una grandeur alla quale il mondo avrebbe rivolto la bussola, l’illusione del futuro. Era un elemento senza luce e perverso materializzato in atti nel Manifesto del Futurismo di   Filippo Tommasi Marinetti, pubblicato nel febbraio del 1909 da Le Figarò in Francia “…Noi vogliamo glorificare la guerra-sola igiene del mondo- il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna…”.
 La notte del 25/26 gennaio del 1938 e del 23/8/1939 un fenomeno straordinario fu, generalmente, interpretato come un funesto presagio. A parte le solite querelle su tempi e modi. Si racconta che il fenomeno era stato preannunziato come monito all’umanità nell’apparizione a Fatima della Madre di Dio ai tre pastorelli Lucia, Jacinta e Francisco. Fu  un’aurora boreale descritta da Eugenio Guerrieri dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte in Napoli come “un evento straordinario…per la sua inusuale estensione e il colore rosso fuoco che lo contraddistinse”.  Furono molteplici le testimonianze da più parti del mondo che confermarono l’eccezionalità di quanto accadeva. 
 Mia madre vide il fenomeno dal terrazzo di casa. Vide l’orizzonte e i paesi lontani sulle montagne e, nella vallata, il fiume Bianco e il Melandro   coprirsi di un fascio di luce rosso-sangue. Non era il Nilo delle sette piaghe ma per assonanza capì che il dio di Mosè e Aronne avrebbe punito questa generazione. Strinse al petto i figli piccoli e indifesi e chiese misericordia. Ma Dio si era ritirato nel più alto dei cieli e nel rispetto del libero arbitrio aveva abbandonato l’uomo a sé stesso e alla sua crudeltà.
 Albert Speer, Ministro degli armamenti della Germania nazista descrisse il fenomeno in “Memorie del terzo Reich”: “…come se ci fosse un incendio gigantesco. Anche i nostri volti e le nostre mani erano tinti di un rosso innaturale. Lo spettacolo produsse nelle nostre menti una profonda inquietudine. Di colpo, rivolto a uno dei suoi consiglieri militari, Hitler disse “Fa pensare a molto sangue. Questa volta non potremo fare a meno della forza”. Fu, allora, che cielo e terra si tinsero del sangue degli innocenti. La violenza divenne il totem degli adoratori dei campi di sterminio dove in ampie volute e in una sottile pioggia di cenere si volatilizzava il popolo dei diseredati della terra. Ippocrate morì a Auschwitz e Mengele nel suo sadismo   divenne con i suoi medici l’angelo della morte.
 Una follia sanguinaria fu il filo rosso di una guerra mondiale. Morirono sotto il peso delle città distrutte più civili che militari.  E, quando tutto sembrava finire, una luce accecante illuminò il palcoscenico del terrore e la consapevolezza della vulnerabilità e della follia del mondo:

         L’Atomica

Si aprì il libro dell’Apocalisse, dell’uomo capace di distruggere sé stesso e il creato. A Hiroshima e Nagasaki venne distrutta la vita, tutti i sentimenti, la dignità del corpo e il diritto primario alla sepoltura perché molti, disintegrati dagli effetti dello scoppio, divennero uno sputo nero, una macchia senza carne su una strada o un muro di un palazzo disfatto.  E, oggi, la democrazia, ove mai esistesse, è materia fragile in una società crepuscolare. Tutto si potrebbe ripetere… Caino risveglia il suo odio fratricida mai estinto dalla notte dei tempi. Il potere ritorna con la sua gola profonda e insaziabile.  La follia di un singolo individuo e di un   gruppo alienato di lacchè che strisciano sul ventre come la serpe della Genesi è la spoletta di una nuova esplosione di violenza. Trema la terra sui cardini che la sorreggono. Perde il suo asse e diventa un incendio che brucia e atomizzato, si assottiglia e si spegne.
Nietzsche fa stringere nelle mani dell’uomo forte una lanterna. Una luce che non illumina un   giorno senza luce. Chiede con forza alle persone che incontra “Cerco Dio! Cerco Dio!”. La gente lo deride e prendendosi gioco del suo interrogativo gli chiede “Si è forse perduto?” Si è smarrito come un bambino? Sta ben nascosto? Si è imbarcato?  Ha paura di noi?”.  L’uomo impazzito da sé stesso, dal suo interrogativo, dalle provocazioni della gente che lo deride scaglia lontano e rompe la lanterna, divenuta simbolo di una ricerca inutile e grida al mondo “L’abbiamo ucciso voi e io!  Siamo noi tutti i suoi assassini. Non stiamo forse vagando in un eterno nulla?… Requiem aeterna Deo”
Fa eco Dostoevskij nel romanzo “I Fratelli Karamazov “Se Dio è morto tutto è possibile “Quel tutto è uno sprofondare nel nulla, diventare ombre vaganti in una notte senza fine.