Valutazione condotta professionale indipendente da linee guida
11 Dicembre 2018La Cassazione: le linee guida non sono un parametro rigido e insuperabile di valutazione del comportamento del medico. Un principio, mai affermato prima in un’aula di tribunale.
Il Fatto
Un paziente, a causa delle lesioni patite in conseguenza d’un sinistro stradale, venne sottoposto a un intervento chirurgico di asportazione della milza e di riduzione di una frattura delle ossa del bacino.
Durante il periodo di degenza il paziente ebbe una trombosi venosa profonda (TVP) in conseguenza della quale venne dimesso e ricoverato nel reparto di medicina d’urgenza di un altro ospedale pubblico.
Successivamente il paziente chiese al Tribunale la condanna del primo istituto e di due suoi medici a risarcimento dei danni in conseguenza della trombosi venosa profondaaffermando che non gli era stato somministrata una dose adeguata di farmaco antitrombotico a base di eparina e che i medici non si erano tempestivamente accorti dell’insorgenza della trombosi venosa profonda, avendo così ritardato di quattro giorni l’inizio della terapia idonea.
Il Tribunale in prima istanza ha ritenuto che i medici avessero erroneamente interpretato il quadro clinico del paziente, e colposamente ridotto la posologia del farmaco antitrombotico a base di eparina e che, se fosse stata somministrata eparina in dose adeguata, la trombosi venosa profonda non si sarebbe verificata con ragionevole probabilità.
La Corte d’Appello a cui i medici sono poi ricorsi ha confermato la condanna sostenendo rispetto al primo comportamento (insufficiente somministrazione di eparina) insussistente sia la colpa, sia il nesso di causa, mentre in riferimento alla seconda condotta (tardive diagnosi e cura della trombosi venosa profonda) ritenne sussistente la colpa, ma non il nesso di causa.
La sentenza
I giudici della terza sezione civile hanno affermato che le linee-guida “non rappresentano un letto di Procuste insuperabile ma sono solo uno strumento per valutare la condotta del medico in un modo che non può tuttavia prescindere dall’analisi del caso concreto. Infatti se una condotta è diligente se conforme alle linee-guida, è anche vero che una condotta può essere diligente anche se non si attiene alle linee-guida e può non esserlo anche se vi si attiene, quando le particolarità del caso di specie impongono di agire in un certo modo.
Visto quindi che le linee-guida non sono a parametro rigido e insuperabile di valutazione del comportamento del medico, per la Corte di cassazione non può essere corretta la scelta di una sentenza in cui il giudice abbia ritenuto in assoluto colposa la condotta del sanitario che abbia agito senza rispettare le linee-guida.
Nel caso specifico è vero: il comportamento dei medici si discostava dalle linee guida applicate in casi simili.
Ma esistono tre circostanze che lo giustificano: la riduzione di eparina fu motivata dalla necessità di prevenire il rischio di emorragie che si presentava aumentato perché il paziente era stato sottoposto a intervento chirurgico, perché il paziente doveva iniziare un programma fisioterapico che comportava la mobilitazione di arti e perché il paziente era stato sottoposto a splenectomia. Il comportamento del medico quindi non può gidicarsi colposo.
In particolare, secondo la Cassazione “l’omesso esame di tre fatti decisivi, individuati nelle seguenti circostanze: dimezzando la dose di eparina, i sanitari del primo intervento si discostarono dalle linee-guida generalmente condivise dalla scienza medica per il trattamento dei politraumatizzati da sinistro stradale; dopo il ricovero, il paziente non fu visitato per tre giorni; durante il ricovero, le piastrine furono “scarsamente monitorate”, come risultava dalla sentenza di primo grado e dalle cartelle cliniche allegate”.
Per i giudici “il motivo è infondato, poiché nessuna delle tre circostanze sopra indicate è ‘decisiva’, nel senso richiesto dall’articolo 360, n. 5, c. p.c.. 3.2.1. Che i sanitari non si attennero alle ‘linee-guida’ generalmente condivise per la somministrazione di eparina è un fatto non decisivo per due ragioni.
In primo luogo non è decisivo perché le linee guida (ovvero le leges artis sufficientemente condivise almeno da una parte autorevole della comunità scientifica in un determinato tempo) non rappresentano un letto di Procuste insuperabile. Esse sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente. Ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (ad esempio, nel caso in cui le linee guida prescrivano la somministrazione d’un farmaco verso il quale il paziente abbia una conclamata intolleranza, ed il medico perciò non lo somministri); e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto (ad esempio, allorché le linee guida suggeriscano l’esecuzione d’un intervento chirurgico d’elezione ed il medico vi si attenga, nonostante le condizioni pregresse del paziente non gli consentissero di sopportare una anestesia totale)”.
In questo senso secondo la Cassazione “non costituendo le linee-guida un parametro rigido ed insuperabile di valutazione della condotta del sanitario, la circostanza che il giudice abbia ritenuto non colposa la condotta del sanitario che non si sia ad esse attenuto non è, di per sé e da sola, sufficiente per ritenere erronea la sentenza, e di conseguenza per ritenere “decisivo” l’omesso esame del contenuto di quelle linee-guida”.
“In secondo luogo – aggiunge la Cassazione – nel caso di specie la Corte d’appello ha spiegato che la riduzione della somministrazione di eparina fu giustificata dalla necessità di prevenire il rischio di emorragie, rischio che rispetto ai casi analoghi si presentava aumentato per tre ragioni: sia perché il paziente era stato sottoposto ad un intervento chirurgico; sia perché il paziente doveva iniziare un programma fisioterapico che, comportando la mobilitazione degli arti, aumentava il rischio di emorragia; sia perché il paziente era stato sottoposto a splenectomia. La Corte d’appello, in definitiva, ha individuato ben tre circostanze concrete che nel caso specifico giustificavano l’allontanamento dalle linee guida: il che denota, da un lato, che quelle linee-guida furono effettivamente (sebbene implicitamente) tenute in considerazione, altrimenti non avrebbe avuto senso alcuno la motivazione sopra riassunta; e dall’altro lato che, anche se il giudice avesse omesso di considerarle, il loro esame non avrebbe portato ad esiti diversi, per la già rilevata sussistenza di peculiarità del caso concreto che imponevano di derogarvi”.
La Cassazione aggiunge poi rispetto alla sentenza della Corte di Appello che “sono noti i princìpi ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, circa il criterio di accertamento del nesso di causa tra una omissione ed un danno. Essi possono così riassumersi:
– una omissione è causa di un danno quando, se fosse stata tenuta la condotta alternativa dovuta, quest’ultimo non si sarebbe verificato “con più probabilità che no” (c.d. regola della preponderanza dell’evidenza);
– questa regola è soddisfatta quando, tra tutte le teoricamente possibili cause del danno, la condotta omissiva colposa fu quella più probabile non in assoluto, ma in relazione alle suddette altre possibili cause.
“Alla luce di tale criterio – prosegue la sentenza – la Corte d’appello avrebbe dovuto stabilire nel caso di specie non già se una più tempestiva cura della trombosi avrebbe avuto ‘serie ed apprezzabili’ possibilità di successo, ma avrebbe dovuto stabilire se tali possibilità erano presumibilmente maggiorio minori rispetto alla possibilità che una tempestiva cura riuscisse infruttuosa. Giudizio che, a livello concettuale, come noto va compiuto comparando il caso concreto con una ipotesi: ovvero immaginando su una scala da O (falso) ad 1 (vero) quante possibilità avrebbe avuto un paziente tempestivamente curato di trovarsi nella medesima condizione fisica dell’odierno ricorrente”.
Secondo la Cassazione la Corte d’appello ha negato che una più tempestiva cura avrebbe potuto avere “serie edapprezzabili”possibilità di successo. Il che è un criterio scorretto, dal momento che per quanto detto il nesso di causa sussiste non solo quando la condotta alternativa corretta avrebbe avuto “serie ed apprezzabili” probabilità di successo, ma anche quando avrebbe avuto probabilità “ragionevoli”, e comunque superiori alle probabilità di insuccesso.
In seguito tuttavia la Corte d’appello aggiunge che una più tempestiva cura non avrebbe dato al paziente “maggiori probabilità” di guarire con postumi minori di quelli effettivamente subiti: il che sarebbe un criterio teoricamente corretto.
“Tra le due suddette affermazioni – si legge ancora – esiste dunque una irriducibile contraddittorietà,dal momento che esse non consentono di comprendere se la Corte d’appello abbia applicato un criterio causale di tipo penalistico e rigoroso (quello delle ‘serie ed apprezzabili’ probabilità), ovvero il corretto criterio civilistico del ‘più probabile che non’. Anche tale ambiguità pertanto, impedendo di ricostruire la ratio decidendi, comporta l’impossibilità di sondare la correttezza in iure della sentenza, e quindi la nullità di essa. Il giudice di rinvio provvederà a sanare le suddette mende motivazionali, applicando i princìpi sopra richiamati in tema di accertamento e valutazione del nesso di causalità tra una condotta omissiva ed il danno”.